i fratelli graviano
Francesco Grignetti per “la Stampa”
È la sentenza che chiude un' epoca nella legislazione antimafia: la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale l' articolo 4-bis dell' ordinamento penitenziario. Il senso è chiaro agli addetti ai lavori. Finisce per incostituzionalità il cosiddetto ergastolo "ostativo", chiamato così perché era di insormontabile ostacolo ai benefici carcerari. Ringraziano gli ergastolani destinati finora a morire in carcere, quelli che gli avvocati chiamano «sepolti vivi». E entra in allerta rosso lo Stato. Il ministro Alfonso Bonafede ha già mobilitato gli uffici perché la «questione ha la massima priorità».
filippo graviano
È una realtà poco conosciuta, quella dell' ergastolo "ostativo" che interessa circa 1250 ergastolani (in genere condannati per mafia) su 1790 che in Italia sono stati condannati all' ergastolo. Già, perché in Italia gli ergastoli sono di due tipi: ce n' è uno normale che lascia qualche speranza di uscire di cella, scontati almeno 30 anni di detenzione e dimostrata la rottura con la vita precedente; e ce n' è un altro definitivo, il «fine pena mai» che terrorizza i mafiosi.
Funziona così dal 1992.
Sull' onda dell' emozione per l' omicidio di Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e gli agenti di scorta, lo Stato inasprì fortissimamente le norme sull' ergastolo. Fu deciso che per alcuni reati di grave allarme sociale la cella doveva restare chiusa a vita. Allo stesso tempo fu stabilito che si poteva derogare soltanto se il mafioso o il terrorista avessero collaborato con lo Stato. Di qui il dilemma: o si diventava pentiti, o era carcere a vita.
Carcere peraltro reso durissimo da un altro articolo dell' ordinamento penitenziario, il 41-bis, che impedisce i contatti del detenuto con l' esterno.
leoluca bagarella
Ecco, la Corte costituzionale, facendo il paio con una decisione della settimana scorsa della Corte europea dei diritti dell' uomo, ha stabilito che quel "dilemma" è incostituzionale. In futuro ogni ergastolano, mafioso compreso, potrà rivolgersi al giudice di sorveglianza per chiedere i benefici carcerari (che possono essere i permessi-premio, o la semilibertà, o la possibilità di lavoro esterno) in quanto l' automatica chiusura dell' articolo 4-bis contrasta con il principio costituzionale che «le pene devono tendere alla rieducazione».
Ventisette anni dopo quel fatale 1992, la Corte costituzionale dice che la collaborazione non può essere il requisito unico per valutare un mafioso all' ergastolo; ma ci sono altri requisiti: se si può escludere la partecipazione all' associazione criminale, o che non siano più collegamenti con la criminalità organizzata. Ovviamente, il condannato deve avere dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo.
LA VILLA DI SANDOKAN SCHIAVONE jpeg
«La presunzione di "pericolosità sociale" del detenuto non collaborante - scrive la Corte - non è più assoluta, ma diventa relativa. Può essere superata dal magistrato di sorveglianza, la cui valutazione caso per caso deve basarsi sulle relazioni del carcere, nonché sulle informazioni di varie autorità».
E' palpabile a questo punto l' imbarazzo della politica e l' allarme della magistratura. «È un varco potenzialmente pericoloso», avverte il pm antimafia Nino Di Matteo, ora al Csm.
«La mafia si può riorganizzare», gli fa eco Sebastiano Ardita, altro pm antimafia al Csm.
Cauto il commento di Nicola Zingaretti: «Una sentenza un po' stravagante, non mi sento in sintonia». Matteo Salvini invece urla allo scandalo: «Mi sale la pressione... Ma che testa hanno questi giudici? Vedremo se è possibile ricorrere perché è una sentenza che grida vendetta. O proviamo a cambiare la sentenza oppure la Costituzione, se è questa l' interpretazione che ne viene data».
2 - ERGASTOLO OSTATIVO
Giovanni Bianconi per www.corriere.it
francesco 'sandokan' schiavone e il figlio nicola schiavone
L’elenco dei potenziali destinatari della pronuncia della Corte costituzionale sull’ergastolo ostativo è lunghissimo: non solo i 1.106 ergastolani «ostativi» (quasi tutti, 1.003, rinchiusi da oltre vent’anni), ma pure i condannati a pene non perpetue finora esclusi da permessi premio e altri benefici a causa della mancata collaborazione con i magistrati. Mafiosi, terroristi, ma anche trafficanti di droga e di essere umani, contrabbandieri, sequestratori e responsabili di altri gravi reati come la pedopornografia.
La lista comprende tutti i principali boss di mafia, camorra e ’ndrangheta: Leoluca Bagarella e il nipote Giovanni Riina (figlio di Totò), gli stragisti Filippo e Giuseppe Graviano; i casalesi Francesco «Sandokan» Schiavone e Michele Zagaria, l’ex «re» di Ottaviano Raffele Cutolo, i capi delle ’ndrine di Gioia Tauro Domenico e Girolamo Molè. In teoria ci sarebbero anche i neo-brigatisti rossi Nadia Lioce e Roberto Morandi, ma nel loro rifiuto di qualunque dialogo con lo Stato rientra anche la mancata richiesta dei benefici carcerari. E tanti nomi per lo più sconosciuti alle cronache. A cominciare dal mafioso catanese Salvatore Cannizzaro e dallo ’ndranghetista di Reggio Calabria Pietro Pavone, i due casi finiti davanti alla Consulta dai quali è derivata la decisione di ieri.
il bunker dove si nascondeva michele zagaria 9
La sentenza «è una breccia nel muro di cinta del fine pena mai», affermano soddisfatti i dirigenti dell’associazione Nessuno tocchi Caino. E in effetti di breccia si tratta. Uno spiraglio. Perché pur dichiarando incostituzionale l’automatismo tra mancata collaborazione con i magistrati e impossibilità di accedere ai permessi-premio per uscire di prigione qualche ora o qualche giorno, i 15 «giudici delle leggi» non ne hanno stabiliti altri per cui a ogni eventuale domanda corrisponderà una concessione. Anzi: hanno introdotto esplicite e stringenti condizioni (difficili da applicare ai nomi noti di cui sopra) all’esito di una discussione in camera di consiglio approfondita e non semplice. Conclusa con una decisione presa con un solo voto di scarto: 8 favorevoli e 7 contrari. Questi ultimi espressi da chi si preoccupava di non intaccare le scelte di politica criminale compiute dopo le stragi del 1992.
arresto di michele zagaria 1
Come ricordato dall’Avvocatura dello Stato che chiedeva di rigettare le eccezioni di incostituzionalità, la norma sotto esame serviva ad aumentare la sicurezza della collettività perché era un incentivo ai «pentimenti» utili a combattere le mafie. Ed era stata inserita nell’ordinamento per impedire anche solo il tentativo di boss e gregari di tornare a dare manforte alle organizzazioni criminali. Dunque una misura eccezionale per fronteggiare una situazione eccezionale (la presenza delle organizzazioni criminali), sebbene poi il divieto dei permessi a chi non collabora sia stato esteso ad altri reati slegati dalla mafia. Alla fine ha prevalso però l’idea che il silenzio con i magistrati (che può derivare da ragioni diverse dal continuare ad essere un affiliato ai clan) non possa essere l’unico indice per valutare la presunta pericolosità sociale del condannato.
D’ora in avanti i giudici potranno così valutare il grado di risocializzazione del condannato «non collaborante», verificando però almeno tre condizioni che fanno da contrappeso all’abolizione della «presunta pericolosità assoluta»: la «piena prova di partecipazione» al percorso rieducativo durante la detenzione; l’acquisizione di elementi concreti per escludere «l’attualità della partecipazione all’associazione criminale»; la mancanza del «pericolo del ripristino» di quei collegamenti. Un tentativo di bilanciamento di interessi contrapposti (individuali e collettivi) per una decisione faticosa e contrastata.
RAFFAELE CUTOLO raffaele cutolo