Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
ZINGARETTI - CONTE - DI MAIO
Il modo sbrigativo in cui la maggioranza ha sparecchiato il tavolo del rinfresco a Conte, è il segno di una fragilità che il risultato europeo non poteva sanare. La disputa su chi dovrebbe gestire i miliardi del Recovery fund è un falso problema, non solo perché quelle risorse sarebbero disponibili solo l'anno prossimo e - se acquisite - produrrebbero effetti sul Paese solo l'anno successivo. Il punto è che il sistema politico non può reggere sfidando le leggi della fisica: e se oggi la maggioranza si spacca su ogni provvedimento di governo e l'opposizione si divide su ogni iniziativa, è difficile che Conte possa essere l'unico a resistere sulle macerie.
nicola zingaretti giuseppe conte
Se ancora resta in equilibrio - come spiega un esponente della segreteria dem - è «perché la fragilità serve per tenere oggi tutto insieme, in attesa di costruire un nuovo assetto». E allora si capisce il motivo per cui Zingaretti ha voluto formalizzare la rottura degli accordi sulla legge elettorale e continua a sollevare la questione del Mes: questi temi, che insieme ad altri continuano a essere rinviati, sono come fascine che formeranno la pira politica su cui in autunno si incendierà il Parlamento. E più che il voto delle Regionali, a fare da innesco saranno i «fattori esterni».
I problemi del mondo del lavoro sono assai temuti, ma nel Pd come nel Movimento è la scuola «l'elemento detonante» considerato più pericoloso: «Se non dovesse riaprire regolarmente - dicono all'unisono - la crisi sarebbe di tali dimensioni che anche le massime istituzioni stavolta non potrebbero restare silenti».
NICOLA ZINGARETTI LUIGI DI MAIO
Al centro delle discussioni riservate, perciò, non c'è il Recovery fund, cioè il domani: a preoccupare è il presente, dato che l'ulteriore richiesta di uno scostamento di bilancio testimonia come le casse dello Stato siano vuote. Per far fronte a una situazione così delicata servirebbe una coalizione politicamente compatta. Il fatto è - come racconta un autorevole ministro - che «Conte per non farsi logorare è rimasto sempre estraneo ai problemi di tenuta della maggioranza. Per una logica di sopravvivenza, quasi fossero questioni che non lo riguardavano, ha lasciato che a sbrigarsela fossero i partiti o i capi delegazione».
È in questa clima che sono maturati sentimenti di rivalsa e - per citare un altro rappresentante del governo - si sta ragionando su «scenari inediti». Paradossalmente, insomma, la forza del suo mandato ha finito per isolare il premier, contro il quale raccontano che «Di Maio ogni giorno cerchi di preparargli un funerale».
alfonso bonafede, luigi di maio e giuseppe conte
Certo, da solo il ministro degli Esteri non può nulla, ma adesso il fronte degli scontenti sta crescendo, provocato dal peso insostenibile della paralisi della maggioranza: persino il rinnovo delle commissioni parlamentari si è dovuto rinviare per mancanza di accordo. E la retorica della vittoriosa mediazione a Bruxelles ha acuito il malcontento: ce n'è la prova quando nel Pd avvisano che «la regia della mediazione con la Germania stava al Quirinale, mentre Conte era quello che gridò alla Merkel "allora facciamo da soli"». Al dunque, persino i sondaggi del premier finiscono per essere un fattore di attrito nella coalizione, perché la sua popolarità non sembra riversarsi come un dividendo di consensi sulle forze che lo sorreggono.
conte di maio
E se in autunno le Regionali decretassero una vittoria del centrodestra, sarebbe scontato il contraccolpo sul governo. L'idea di un rimpasto, al cospetto dei problemi aperti e delle fatture politiche inevase, non sarebbe sufficiente: «Un Conte ter non esiste», è la tesi che unisce un pezzo rilevante del Pd e l'ala filo-Di Maio dei 5 Stelle. D'altronde, se venisse giù tutto, non potrebbe resistere solo il premier: verrebbe meno anche il mito della sua insostituibilità.