Maria Giovanna Maglie per Dagospia
Ci mancava solo l’appello dei premi Nobel a far venire voglia agli americani di votare per il cattivone, per il pericolo mondiale, in un unico stentoreo vaffanculo. In Israele ha già vinto Donald Trump: 30000 elettori americani che vivono o sono in questo momento lì gli hanno infatti secondo il Jerusalem Post dato la vittoria in assenza, per una percentuale del 49% contro il 44% di Hillary Clinton.
hillary clinton
Il sondaggio dopo il voto anticipato l'ha fatto un'organizzazione che si chiama Vote Israel, ed il campione, piccolo ma certamente significativo, secondo me racconta tutto di queste elezioni. Gli americani legati a Israele infatti sono i più conservatori ma questa volta, fin dall'inizio delle primarie, su Donald Trump si era tentato di appiccicare l'etichetta di anti israeliano e antisemita. Gli americani legati ad Israele hanno votato in quantità minima perché nel 2012 erano stati 80 mila, e questo riflette perfettamente la poca simpatia o comunque la fiducia scarsa di cui godono tutti e due i candidati.
La Clinton non ce la fa nonostante un battage enorme della lobby israeliana in America a suo favore, ma ha contato anche un grande silenzio e freddezza verso di lei e soprattutto verso Barack Obama del governo israeliano e del premier Benjamin Netanyahu. Però Donald Trump non vince con un grande margine, nel 2012 il repubblicano Mitt Romney aveva ottenuto addirittura l’ 84% e solo il 14% aveva votato per rieleggere Barack Obama. Si rifletterà questo metodo martedì prossimo sulle elezioni vere e proprie?
donald trump
Per la Cnn, che pure ora apre le trasmissioni dichiarando la preoccupazione democratica e l'ansia della Casa Bianca, c'è ancora un 4% di differenza a favore di Hillary Clinton. Per l'Istituto Rasmussen reports il sorpasso di Trump è invece avvenuto; tra gli elettori che sono certi di come voteranno Trump ha un sostegno sopra il 50%. Il dato generale del sondaggio è 45 a 42 per lui, con ancora un 4% all'eterno candidato fantasma libertario Gary Johnson e solo un 1% di testimonianza alla verde Jill Stein che non dev'essere stata particolarmente aiutata dal pubblico endorsement dell'attrice Susan Sarandon.
Per Rasmussen Clinton e Trump erano stati in testa a testa nei precedenti giorni e mai Trump era stato in testa nelle ultime due settimane. L’88% degli elettori si dice certo di come voterà e in questo 88% Trump avrebbe 10 punti più dell'avversario, 53 a 43. Tra quelli che ancora potrebbero cambiare idea siamo alla pari, 36 a 36, e addirittura un 22% di Johnson e un 6% della Stein.
la sarandon in platea
Il panico si fa sentire a Hollywood dove c'è un mondo tutto liberal e tutto schierato con la candidata democratica, tutto fatto di amichetti di Clinton e degli Obama, tra una Cher che twitta insulti e una Streisand che minaccia di trasferirsi all’estero. I quali amichetti si guardano la mattina il sondaggio tutto speciale che da un anno va facendo il Los Angeles Times, se ne sarà probabilmente pentito, e oggi leggono uno spaventoso 47,5% al candidato repubblicano Donald Trump, 42,5% alla candidata democratica Hillary Clinton.
Barack Obama, diciamoci la verità, ha veramente sbragato questa volta , rivelando quanto dei suoi affari futuri ci sia in ballo con queste elezioni,perché mai si era visto un presidente che andasse in giro accusando all'improvviso il suo direttore del FBI, perché lui lo ha nominato 3 anni e mezzo fa, di double standard per aver aperto un'inchiesta, non per averla nascosta, e soprattutto che andasse in giro parlando di rischio di caos e pericolo vero per le democrazie.
Non è un vulnus dal quale i democratici si libereranno facilmente soprattutto perché è probabilmente vero che la gran cagnara seguita alla riapertura dell'inchiesta da parte del Fbi sulle mail non ha sostanziali ripercussioni sul voto ma solo sulle pubbliche dichiarazioni delle intenzioni di voto, ma meno ancora ne avrebbe avuto e ne avrebbe se il comportamento di tutto il mondo democratico fosse più dignitoso.
JILL STEIN
Voglio dire che erano abbondantemente esagerate le notizie di una vittoria già scritta della Clinton e tanta agitazione nel dare Trump per spacciato nascondeva in realtà un timore. Oggi sono abbondantemente esagerate le notizie di un effetto dirimente dell' apertura dell'inchiesta sugli elettori, perché in realtà per ora e fino all’ 8 tutto quello che è venuto fuori è che tra le tantissime bugie dette dalla Clinton e dai suoi collaboratori c'era anche quella che non ci fossero più mail in giro;
ce n'erano invece a centinaia di migliaia solo sul computer di un ex deputato democratico ed ex marito della principale collaboratrice della Clinton, col vizietto di mostrare il pisellone in erezione sul web alle signore, meglio se minorenni. Le due signore avrebbero dovuto preoccuparsene, e non lo hanno fatto. Capirai che notizia, in un anno come questo!
James Comey
La riapertura dell'inchiesta da parte di James Comey era d'obbligo, a meno di non voler fare il capro espiatorio per scoperte e scandali che potrebbero venire dopo il voto; probabilmente la colpevole e arrogante negligenza di Clinton e company gli ha offerto l’occasione, tutto qui.
Ma se lo staff della Clinton fosse andato avanti per la sua strada, ignorando addebiti pesanti come hanno fatto per un anno e più, probabilmente oggi parleremo di previsioni reali e di come va avanti la campagna, indipendentemente dall'inchiesta. Gridare al lupo quando sei suo amico non è una gran trovata. Se per ritorsione dal Fbi venisse fuori con nomi e cate come una serie di inchieste che s’avevano da fare sulla Fondazione Clinton siano state bloccate dall’alto?
Lamentazioni sulla democrazia perduta e appelli di premi Nobel a parte, a quattro giorni dal voto servono a uno dei due 270 voti elettorali. Per Trump la strada è ancora ardua. Ha investito 25 milioni di spot tv in quest'ultima settimana negli Stati in bilico ma anche in quelli più favorevoli alla avversaria, ovvero Colorado, Florida, Iowa, Maine, Michigan, New Messico, North Carolina, Ohio, Pennsylvania, Wisconsin, Virginia, Nevada e New Hampshire. Se ce la farà in Florida, Ohio e North Carolina, che sono i must wins, e naturalmente se si conferma in tutti gli Stati solidamente o abitualmente repubblicani, arriva a 260 voti elettorali.
michigan
A questo punto quindi serviranno un grande Stato come Pennsylvania o Wisconsin o Virginia o Michigan, e due più piccoli come Nevada o New Mexico New Hampshire. Sono le roccaforti di Hillary Clinton e deve conquistarne qualcuna.
Sul New York Times, che ogni giorno assomiglia di più a una lady in piena crisi isterica invece che alla mitica lady in grigio, interviene dottamente Jim Messina, che nel 2012 guidava la campagna di Barack Obama, e ora va in giro per il mondo a consigliare candidati premier e campagne elettorali. Ce l'ha con i sondaggi tradizionali e come dargli torto, perché sostiene che ormai servono invece modelli più sofisticati.
Troppa gente ormai ha solo telefoni cellulari e non i telefoni fissi che si usano per i sondaggi, i giovani sono difficili da raggiungere, in troppi parlano una lingua che non è l'inglese o non sono a proprio agio nel rispondere in inglese, insomma è necessario entrare nel merito nei piccoli dati per capire a chi ci si rivolge, per avere un'idea accurata degli elettori. Piuttosto che la inclinazione al voto le campagne che Messina raccomanda sono quelle che fa lui, che tendono ad avere un'idea più precisa di chi siano questi elettori possibili per fare delle previsioni sul comportamento di ogni specifico lettore.
JIM MESSINA
Bisogna identificare gli elettori chiave non semplicemente per gruppi grandi come le donne indipendenti per esempio, con i quali si intende comunicare a ogni stadio dell'elezione e sapere che cosa vogliamo dire per persuaderli o ricordare loro del voto. In Florida non si deve guardare più all'elettorato cubano americano come un monolite, i giovani cubano americani sono molto meno conservatori dei loro genitori e hanno simpatia per il Partito Democratico. Alla luce di questo quindi secondo Messina negli ultimi giorni della campagna del 2016 il denaro speso bene è quello che usa il potere della raccolta dati per trovare fino all'ultimo voto, ovvero ciò che sta facendo la campagna della Clinton.
Messina oggi è il consigliere principe di Matteo Renzi, gran regista del viaggio a Washington, uno che dice a Renzi dove fare la piega ai pantaloni e quante uscite fare con la signora Agnese. Ma non è anche quello che ha toppato clamorosamente seguendo Cameron per la Brexit e con Rajoy anche le elezioni spagnole?