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    PRIMARIE FATTE A MAGLIE - TRUMP È AL VERDE, È VERO, MA HA FATTO LA CAMPAGNA PIÙ ECONOMICA DEGLI ULTIMI DECENNI. E TUTTO GRAZIE AL SUO ''SOCIAL TEAM'' CHE INONDA TWITTER, INSTAGRAM E FACEBOOK DI MESSAGGI SEMPLICI, LAPIDARI E COMPRENSIBILI - 15 SECONDI DI VIDEO E VIA, E SI RISPARMIANO MILIONI IN PUBBLICITÀ TV


     
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    Maria Giovanna Maglie per Dagospia

     

    twitter for trump twitter for trump

    Guarda i social, usa i social, bellezza, e vedrai che se lo sai fare, arrivi dove vuoi senza buttare dollari al vento. Davvero Donald Trump è tanto nei guai economicamente da vedere messo in discussione il prosieguo della campagna, come doverosamente si affannano a scrivere tutti, di qua e di là dell'Oceano, sostenendo che un conto è la campagna per le primarie, altro quella del rush finale verso il primo martedì di novembre?

     

    Certo, 1,3 milioni contro 27, rispettivamente raccolti da lui e dalla Clinton nel mese di maggio, fanno una bella differenza, ma anche la prima parte della campagna di Trump è costata un quarto di quella di Hillary, e se l'è finanziata da solo, facendosi un prestito di 45 milioni di dollari, meglio, ripagandosela in parte perché ha affidato alcuni servizi a società di proprietà sua o dei figli.

    il tweet di trump contro bush il tweet di trump contro bush

     

    Anche il vino dei ricevimenti veniva dalle cantine del figlio Eric. Pure su questa trovata i media e i politici storcono il naso, e giù a dire che Forbes non lo aveva fatto e Bloomberg neanche, ma lui è Donald Trump, e francamente se ne infischia. Oggi è fiducioso che dopo la convention, finite le illazioni su candidati alternativi, ipotesi che fa ridere perché il partito repubblicano rischia l'assalto alla Bastiglia, ma tiene i soldi fermi nelle casse del partito, i soldi arriveranno.

    donald trump tweet finta foto di megyn kelly con lo sceicco alwaleed donald trump tweet finta foto di megyn kelly con lo sceicco alwaleed Donald Trump e il tweet di Sawyer Burmeister contro Hillary Clinton Donald Trump e il tweet di Sawyer Burmeister contro Hillary Clinton

     

    Nessuno ricorda che succede quasi sempre così, il denaro serve per l'intera tornata di elezioni, parlamentari e presidenziali, e capita che se il candidato è dato per perdente, il Comitato elettorale decida di destinare tutto il budget agli altri.

     

     E' vero che mai nella storia americana un candidato aveva condotto una campagna così di successo, e nel contempo così avversa, ed avversata, quindi Donald Trump sapeva dall'inizio e non può che accettare che finanziatori che gli hanno fatto la guerra perché da lui minacciati nelle prerogative, per esempio chi si è portato aziende all'estero, preferiscano l'obolo disgiunto, insomma diano i soldi a futuri possibili deputati e senatori, che si metteranno al servizio, piuttosto che a lui.

     

    Il punto però è un altro. Come ha fatto Trump a spendere così poco? Potrà continuare così, rivoluzionando il sistema delle elezioni più costose del mondo? La vulgata sostiene, senza tema di contraddirsi visto che sono gli stessi che gli davano del cretino, che è merito della capacità istrionica e affabulatoria, della presenza scenica del personaggio Trump, che ha esperienza di vendita e di televisione.

     

    E' vero, ma il candidato ha soprattutto risparmiato in costosi ad, in spot televisivi Stato per Stato, e lo ha fatto perché si è affidato alla rete e ai social, nei quali spopola: Facebook, Twitter, Periscope, Vine, Instagram e YouTube. Ha settant'anni, ma è bravissimo nel linguaggio brutale e sintetico, inoltre lì ha fatto un investimento serio, assoldando i “social guys”, tutti ragazzi con a capo Justin Mc Conney, figlio di un vecchio collaboratore di Trump, e non ha cominciato un anno fa, ma nel 2012.

     

    trump su hillary disgustato trump su hillary disgustato

    A dimostrazione che comandano i social, bellezza, i seguaci su Facebook sono diventati da centomila a 8 milioni, su Twitter 9 milioni, 2 milioni su Instagram, YouTube dichiara 20 milioni di visualizzazioni. Aumentano ogni giorno. Viene da ridere pensando ai tweet ampollosi e sterminati dei candidati sindaco in Italia, sempre accompagnati a link che nessuno avrebbe letto, pensati male e di malavoglia, a quel “mentre l'artri magnavano io digiunavo”, di Giachetti, che passerà alla storia degli sfigati.

     

    Trump e i suoi ragazzi stanno sempre in meno di 140 battute, usano sempre gli stessi epiteti e gli stessi aggettivi, insistono, martellano, sono ficcanti, no retropensieri, no allusioni. Com'è la Clinton? Liar, reckless, crooked, hearthless, bugiarda, spregiudicata, disonesta, senza cuore, che è il linguaggio di tutti e per tutti.

    donald trump donald trump

     

    Che cosa hanno fatto lei e Obama? Aumentato il debito, depresso l'economia, sguinzagliato il terrorismo. I testi sono di questo tipo “ Come può Hillary Clinton gestire l'economia se la sua gestione delle email ha messo a rischio l'intera nazione”, oppure “Volete avere informazioni sulla capacità di giudizio di Hillary Clinton? Chiedete alla famiglia dell'ambasciatore Stevens”.

     

    TRUMP HILLARY TRUMP HILLARY

     Il massimo della costruzione è “Hillary says things can't change. I say they have to change. It's a choice between Americanism and her corrupt globalism #Imwithyou “.. Sono con voi, dalla vostra parte, è l'ultimo hashtag, da qualche giorno usato ossessivamente, gli elementi sono tre: Hillary dice che le cose non possono cambiare, frase che colpisce gli arrabbiati; Io dico che devono cambiare, che li rianima; la scelta è tra l'americanismo, che ricorda America first, prima l'America, di Ronald Reagan, e il suo corrotto globalismo, che ricorda tutto ciò che spaventa l'elettorato nel 2016.

     

    I tweet sono una trentina al giorno, li approva lui personalmente, sono tanti, per colpire e passare ad altri, mentre su Facebook sono più articolati e non più di tre al giorno perché è una bacheca di commenti e dibattiti più lenta e duratura. Su Instagram, dove la parola da sola non conta, è la vera genialata.

     

    poster obama poster obama

    Primo piano, occhi stretti, sguardo fisso in macchina, praticamente un monocolore rosato, parla per quindici secondi secchi, quattro righe scarse di testo, del tipo: “Hillary Clinton si sente così destinata all'incarico che lo slogan della sua campagna è “noi siamo con lei”, i mio no, il mio è “io sono con voi", con il popolo americano”. Oppure: “Hillary Clinton dice che è esperta di debito, è vero, ci ha costruito sopra una fortuna, e mentre Obama raddoppiava il debito lei stava a guardare”.

     

    Sono frasi semplici, che tutti usano, non allontanano dalla politica, al contrario danno voce a chi legge, non evitano l'emotività, anzi la cercano, ma non temono di esprimere un giudizio tagliente, le lacrime e il ghigno che si trovano al bar e allo stadio. Alla fine Donald Trump è uno di loro, pazienza se è miliardario, anzi meglio: E' una cosa che Hillary Clinton proprio non riesce a fare, anche se i suoi usano molto twitter, ma sempre persi in concetti astratti, complessi, tesi a distinguersi dal populista.

    Obey Obey

     

    Non c'è uno slogan digitale che si possa ricordare. Eppure questa storia l'aveva cominciata proprio Barack Obama nel 2008, con hashtag come “hope”, “change”, l'ormai abusato, ma che fece sognare, “yes we can”. Non si può più.

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