Fabio Martini per “la Stampa”
candidati delocalizzati
Sembra un paradosso, ma è vero: nei prossimi trentadue giorni tutti i leader continueranno a scambiarsi fiammeggianti invettive, ma nel frattempo la competizione per la scelta dei parlamentari si è già chiusa. Senza che nessuno se ne accorgesse, è accaduto quarantotto ore fa, con la presentazione delle liste nelle Corti di Appello: i nomi dei 600 parlamentari che rappresenteranno gli elettori di fatto sono stati già tutti scelti. Tutti.
I 367 parlamentari di Camera e Senato che saranno eletti col sistema proporzionale (dando il voto al partito) usciranno da listini bloccati, secondo un ordine deciso dai partiti e agli elettori non resterà che prendere o lasciare. E lo stesso potere assoluto da parte dei leader si è prodotto nella scelta dei candidati per i 221 collegi.
MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI
Ma non è finita qui: molti dei candidati nominati dai partiti sono stati "paracadutati" in realtà locali a loro poco conosciute e tutto questo produrrà un risultato davvero originale: un Parlamento ricco di onorevoli senza radici. Di notabili che hanno alle spalle una cospicua esperienza virtuale - anni e anni di tweet, ore e ore di trasmissioni tv - ma che spesso conoscono a malapena i propri elettori in carne ed ossa ed ancora meno le realtà sociali, politiche ed umane che sono chiamati a rappresentare.
Certo, la "colpa" è della legge elettorale, ma è pur vero che il criticatissimo "Rosatellum" è stato approvato nel 2017 col voto favorevole di Pd, Lega, Forza Italia e nei 5 anni successivi non è stato cambiato per la resistenza passiva di chi quella legge l'aveva voluta e la resistenza attiva di chi non l'aveva votata: Cinque stelle e Fratelli d'Italia.
roberto speranza
E in ogni caso la storia insegna: anche una cattiva legge elettorale può essere corretta con una buona interpretazione. Stavolta una speciale applicazione è stata invece dedicata nella ricerca delle migliori "location", anche a costo di "delocalizzarsi".
Il caso più significativo è quello del ministro ai Beni culturali Dario Franceschini, uno dei capicorrente del Pd: dal 2001 è stato eletto ininterrottamente, prima nel collegio uninominale della sua Ferrara e poi nei listini dell'Emilia-Romagna, ma nel 2018 è stato battuto nel collegio della sua città: stavolta, per andare sul sicuro, si è trasferito lontano da casa. È il numero uno nella lista bloccata in Campania: rielezione blindata.
ANDREA CANGINI ANNA MARIA BERNINI LICIA RONZULLI
Altrettanto originale, sempre in casa Pd, uno scambio di postazioni: il lucano Roberto Speranza, capofila di Articolo Uno (movimento che da quattro anni non si è mai cimentato in elezioni di alcun tipo) sarà capolista nella lista bloccata della Campania, mentre il campano Enzo Amendola guiderà le liste dem in Basilicata.
Altro caso di "delocalizzazione" è quello di Piero Fassino: dopo sei legislature, l'ex leader Ds ed ex sindaco di Torino, incontrando resistenze in diverse circoscrizioni, ha trovato casa in Veneto, in cima al listino bloccato.
LA FOTO DI GRUPPO LEGA FORZA ITALIA A CASA DI BERLUSCONI
E proprio in Veneto, regione con due anime (una prevalente leghista e una cattolico-democratica) si incrociano, in modo bizzarro, altri destini. Anna Maria Bernini, presidente dei senatori di Forza Italia, bolognese, davanti ad una rielezione incerta in Emilia-Romagna (dove era passata nel 2018) ha chiesto a Berlusconi un posto al sole nel listino bloccato in Veneto, proprio nella circoscrizione che sarebbe spettata alla presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati: un modo per indicare al "mondo" chi è più importante in casa azzurra? Una cosa è certa: Casellati è dovuta riparare suo malgrado in Basilicata.
Sorride Paolo Giaretta, già sindaco di Padova, uno dei "grandi vecchi" del centro-sinistra veneto, l'unico in tanti anni che sia riuscito a battere Casellati nel collegio uninominale: «Curioso davvero questo brusco dirottamento di Casellati ma è figlio dei tempi: nella Prima Repubblica, quando c'erano le preferenze, erano i tuoi elettori che ti mandavano in Parlamento e così negli anni del Mattarellum: venivi eletto nel collegio ed erano i segretari dei partiti che chiedevano di candidarsi agli esponenti più stimati del collegio.
MATTEO RENZI
Ora - ed è questo il cambio di sistema - i segretari regionali non cercano i migliori, se c'è un posto ci si mettono loro e d'altra parte una volta che sei dentro la logica strettamente di partito, se da Roma ti chiedono di paracadutare qualcuno, non resta che adeguarsi».
E i leader di partito? Nei due tempi della Repubblica, la Prima e la Seconda, candidarsi e farsi eleggere a casa propria era una sorta di obbligo morale: lo fu per De Gasperi e per Togliatti, per Moro e per Fanfani, per Craxi e Andreotti, ma anche per Berlusconi e Prodi, per Fini e per Bossi. E stavolta? Ognuno ha fatto a modo suo.
Con qualche grossa sorpresa: Enrico Letta, eletto pochi mesi fa nel collegio uninominale di Siena, ha preferito due listini proporzionali bloccati (Lombardia e Veneto) e la stessa scelta minimalista l'ha fatta Matteo Renzi: anche lui preferisce evitare sconfitte e dunque soltanto proporzionale. Come Matteo Salvini: all'ultimo momento ha rinunciato a correre in un collegio lombardo. In quello di Monza ci sarà invece Silvio Berlusconi e in quella dell'Aquila Giorgia Meloni.
MATTEO RENZI - ENRICO LETTA
Chi ha chiesto e ottenuto un collegio uninominale sicuro è il leader dei Verdi Angelo Bonelli: Bologna-Imola. Ma i casi di paracadutati in posti sicuri sono diversi altri. Come il cuneese, ex Forza Italia e ora col Terzo polo, Enrico Costa che guiderà la lista proporzionale a Milano, la marchigiana Laura Boldrini (per il Pd) nella sicura Toscana, che ospita anche la umbra Anna Ascani. Il metodo dei nominati e paracadutati produce una prima sorpresa.
La anticipa a La Stampa Arturo Parisi, proverbialmente l'"inventore" dell'Ulivo e tra i fondatori del Pd: «Al Senato, nel collegio più importante d'Italia per il Pd, quello di Bologna, è stato scelto Pierferdinando Casini, uno dei principali fautori del Porcellum, la legge che ha aperto la strada al peggiore dei vizi, poi ereditati dal Rosatellum: un Parlamento nominato dai capi-partito, con parlamentari privi di un mandato personale distinto. Questa candidatura mi impedirà di votare per il Pd».
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