Estratto dell’articolo di Ilario Lombardo per “la Stampa”
GIORGIA MELONI GIANCARLO GIORGETTI
Lei, Giorgia Meloni, va via prima di ammettere l'inevitabile. Che il parlamento sarà esautorato dai lavori sulla manovra. La premier punta la porta d'uscita prima che i giornalisti possano chiederle conto delle dichiarazioni date spontaneamente dal suo vice, Matteo Salvini. «Sarà una manovra senza emendamenti di maggioranza», annuncia il leader leghista, lasciando solo alle opposizioni il naturale ruolo di controparte del governo.
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L'appuntamento fissato con il re di Giordania Abdullah II consente a Meloni di lasciare la conferenza stampa in anticipo, prima delle domande che le avrebbero sicuramente ricordato quanto poi le opposizioni le hanno rinfacciato. Per anni la leader di Fratelli d'Italia ha contestato ai governi di turno di strozzare i lavori di deputati e senatori, accorciando i tempi e tagliando ogni tentativo di modifica al testo della Finanziaria.
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L'ammissione di Salvini sarebbe suonata ancora più radicale e problematica se a pronunciare quella sentenza sugli emendamenti di maggioranza fosse stata esplicitamente la premier. La linea però è la sua. Ufficializzata mercoledì scorso durante la riunione politica, prima con i leader di Lega e Forza Italia, Salvini e Antonio Tajani, e poi con i capigruppo della coalizione di destra.
[…] Lega e Forza Italia lo hanno accettato non senza qualche malumore. Ed è stata soprattutto Licia Ronzulli, capogruppo degli azzurri in Senato, a porre la questione di metodo (nonostante ieri abbia parlato di «decisione condivisa»).
GIANCARLO GIORGETTI - MATTEO SALVINI
Il compromesso è stato rifinito con un giro di telefonate di Meloni a Salvini e a Tajani, nel weekend. C'è stata qualche concessione – per esempio sul canone che i leghisti avevano promesso di eliminare dalla bolletta – ma il grosso era stato già deciso. Ci sarà un pacchetto di emendamenti del governo, ma le modifiche, anche le più piccole, che alla fine potrebbero spuntare dai lavori in commissione, dovranno essere prima condivise e dovranno avere una chiara copertura.
Meloni ha in testa un obiettivo: consegnare la Finanziaria licenziata prima del tempo, senza affollamenti ansiosi durante le vacanze di Natale, per presentarla alla tradizionale festa di Atreju, ritrovo annuale di Fratelli d'Italia, che si terrà dal 14 al 17 dicembre. Per arrivare in anticipo rispetto ai predecessori, dovrà però ammorbidire le opposizioni e scongiurare l'ostruzionismo.
GIANCARLO GIORGETTI GIORGIA MELONI
Ieri, dopo le parole di Salvini, i toni non erano certo dialoganti. «Un colpo pericolosissimo alle più elementari regole della nostra democrazia - ha detto il capogruppo Pd al Senato, Francesco Boccia - Dubito che i parlamentari di maggioranza accetteranno questo diktat, che è anche un messaggio minaccioso alle opposizioni: non discuteremo i vostri emendamenti». In realtà, Meloni ha già una proposta da offrire. Per consuetudine e cortesia istituzionale, la maggioranza concede sempre qualcosa alle opposizioni nella fase di esame parlamentare della manovra.
Questa volta saranno spiccioli, misure che peseranno circa 500 milioni di euro o anche meno. Ma per dare uno sfogo alle loro richieste, la presidente del Consiglio, a gennaio, vorrebbe lasciare a disposizione degli avversari un provvedimento di «mance», da affiancare al Milleproroghe (o a integrazione di questo decreto).
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Per quanto riguarda gli alleati, la premier è costretta a fidarsi di Salvini e dei forzisti, anche se conosce la macchina parlamentare e sa bene che le insidie – soprattutto dal fronte leghista - potrebbero arrivare lo stesso. Due mesi di dibattito sono lunghi e tutto può succedere. Appare abbastanza scontato, invece, che da FdI non arriveranno problemi.
L'imbarazzo è comunque forte, dentro il partito della premier. «Poiché questa manovra comprende vari collegati - ha spiegato il capogruppo in Senato Lucio Malan - il parlamento avrà pienamente il suo ruolo sui collegati e sui numerosi altri provvedimenti che abbiamo sul tavolo, trattandosi di una legge di bilancio che non comprende micro-interventi». Una dichiarazione che è suonata a tutti i colleghi come una giustificazione, per spiegare anni di difesa delle prerogative parlamentari finite nel nulla.
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