Estratto dell'articolo di Giovanna Cavalli per il “Corriere della Sera”
manuela arcuri pieraccioni
«Che sai fare?». «Ballerina sadomaso sui cubi». «E si guadagna bene?». «Sì, sulle 25 mila lire a vergata» («I Laureati», 1995).
«Avevo solo quella scena. Ma quanto mi sono divertita sul set con Leonardo Pieraccioni».
Come debutto assoluto al cinema non c’è male , dai.
«Il primissimo ruolo in realtà è stato con Pappi Corsicato per I buchi neri. A 17 anni compiuti da poco. Lo incontrai a Napoli, nel suo ufficio. Mi vide ed esclamò: “Adelaide!”. E io: “Mi scusi, veramente mi chiamo Manuela”. “No, no, Adelaide è il mio personaggio, sei tu, sei perfetta”. E mi prese al volo. Non sapevo recitare, non lo avevo mai fatto prima. Però ho scoperto subito che il set per un attore è la scuola più importante».
Manuela Arcuri, 46 anni, nata in quel di Anagni, ma presto adottata da Latina (città che zitta zitta vanta nel tempo una singolare concentrazione di bellezze: lei, Francesca Dellera, Elena Santarelli, Debora Salvalaggio, Ilaria Spada), per anni reginetta delle fiction Mediaset (Io non dimentico, l’Onore e il Rispetto, Sangue caldo), tornerà presto, manco a dirlo, con una fiction, titolo provvisorio: La donna della Seconda Repubblica.
Carlo Verdone in «Viaggi di Nozze» le insegnò l’arte della coatta perfetta.
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«Ero Mara, la tamarra di “’n’ascella sì e ‘n’ascella no”, nell’episodio con Carlo-Ivano e Claudia Gerini- Jessica (“E che è ‘na trovata? Due anni fa l’ha fatta già Cùrtneylòv”. “Ma che davéro? Che siluro m’hai tirato”). Mi ha aiutata tantissimo, ha impostato il personaggio, la voce, l’atteggiamento da borgatara (“Ottanta sacchi pe ‘na biretta”). Un ruolo nelle mie corde».
Avanti così.
«Carlo si era inventato il format dell’Orgoglio coatto, che abbiamo portato in tv anche dopo il film. Facevamo insieme un ballettino su musica disco, con le dita a V passate davanti agli occhi. La scena dell’ascella se la ricordano tutti, è rimasta impressa, per anni le persone mi fermavano per chiedermi: “Te prego Manuè, che me la rifai?”».
Venditrice di bomboloni per Panariello («Bagnomaria», 1998).
«Film girato tutto a Forte dei Marmi. Primo ruolo da protagonista. Giorgio lo ricordo un gran signore, fu molto carino con me».
Ne assaggiò qualcuno, di nascosto, magari in una pausa?
«No, mai. I bomboloni erano un pretesto per mettere in risalto le mie forme, c’era tutto un riferimento manco tanto nascosto».
E tanto per chiudere il cerchio, fu presa pure da Vincenzo Salemme per «A ruota libera».
«E finalmente non ho fatto più soltanto la parte della ragazza brava e bella, il mio personaggio era una matta indemoniata, è stato uno spasso».
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Però da ragazzina fu scartata da Massimo Troisi per «Il Postino».
«La mia prima delusione, avevo 16 anni. Gli ero piaciuta, avevo anche fatto un provino in costume, gli sceneggiatori erano molto indecisi. Troisi fu gentilissimo, mi consigliava di essere naturale: “Parla come se fossi con le tue amichette di scuola”. Alla fine però non mi prese. Ci rimasi male, lo ammetto. Ma ci sta, non sa quante occasioni non sono andate a buon fine, succede. Già mi ritengo fortunata ad averlo conosciuto. Forse quello non era il mio momento, non avrei fatto una bella figura».
(…)
A «Mai dire Gol» era la vittima prediletta della Gialappa’s.
«Mi infilai nella tana del lupo. Mi hanno massacrata di scherzi. Sul copione non c’era scritto. Ma di colpo qualcuno mi gettava addosso acqua colorata. O dall’alto mi cadeva in testa una secchiata gelata. Una gabbia di matti. Ma quanto mi sono divertita con loro».
A Sanremo 2002 — con Pippo Baudo e Vittoria Belvedere — Roberto Benigni le si infilò sotto al vestito rosso-arancio di Valentino: «Uh mamma mia, signorina, un momento solo, esco subito».
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«No vabbè, già ero agitatissima per l’emozione di stare in diretta su quel palco, sapendo che ci seguivano milioni di persone, non ci ero abituata. Con Benigni non sapevo che fare, se ridere o sgridarlo. Era incontrollabile. Avevo paura di inciampare e cadere. Sul web la scena la fanno vedere di continuo, è cult».
Con Baudo tutto bene?
«Si, fu super-carino, preparatissimo, sceglieva tutto lui».
Le dedicarono una statua a grandezza naturale (1 metro e 75) in pietra leccese, esposta sul lungomare di Porto Cesareo, con tanto di epigrafe: «A Manuela Arcuri, simbolo di bellezza e prosperità».
«Fu un’idea di Gianni Ippoliti, per attirare più turisti. E in effetti ha funzionato. Il giorno dell’inaugurazione arrivai dal mare, su una barca, sembrava una favola. La piazza del paese era strapiena. Applausi, foto, interviste».
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Le mogli dei pescatori protestarono, non si sentivano rappresentate, così nel 2010 la statua fu rimossa. Ma l’anno dopo fu rimessa al suo posto, dopo il restauro delle natiche, consumate a forza di tocchi portafortuna.
«A quanto pare funzionava. Mi arrivano tuttora un sacco di messaggi su Instagram di gente che ha sfiorato il fondoschiena della statua ed è stata premiata. O di chi si è giurato eterno amore e alla fine si è sposato. Ben venga se porto bene».
Il suo amico Vittorio Sgarbi le ha mai fatto una stima del valore artistico dell’opera?
(Ride) «No, non ne abbiamo mai parlato».
Ha girato un videoclip per Prince.
«Forse il fiore all’occhiello della mia carriera. Pensi che mi contattò per mail, scrivendo al mio commercialista. Ero reduce da Scherzi a parte, pensai che qualcuno mi stesse prendendo in giro. Risposi con freddezza: “Vedremo”. Invece era proprio lui. Mi aveva visto su una rivista americana che mi aveva inserito tra le dieci donne più belle del mondo. E Prince ordinò: “Voglio lei”».
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Incontro segreto a Londra.
«Era lì per un concerto. La sicurezza mi accompagnò nel suo camerino. In penombra, solo con delle lucine accese. Mi venne incontro. Bassino, ma con un viso bellino, la vocina sottile e due occhioni così. Emanava un’energia che ti trapassava. Ci siamo seduti sul divano e abbiamo parlato, con quel poco di inglese che conoscevo».
E dopo?
«Rimasi per il concerto. A un certo punto mi chiamò sul palco. Presentandomi come la star del suo nuovo video,Somewhere here on earth , che poi girammo a Praga, di notte. Che imbarazzo, davanti a tutta quella gente».
La corteggiò?
«No, zero, giuro che non ci ha provato, solo tanti complimenti».
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In passato i suoi celebri amori hanno animato i settimanali di gossip. L’ex calciatore Francesco Coco, in una recente intervista, ha detto che la vostra relazione finì per colpa dei paparazzi.
«Fu una storia d’amore, la prima, la più importante. Una grande passione».
Nati lo stesso anno, lo stesso mese, lo stesso giorno: 8 gennaio 1977.
«Due gemelli. In realtà di carattere non ci somigliavamo per niente. Eravamo troppo giovani perché potesse durare, anche se era un sentimento bello e profondo. È finita per forza di cose. No, non ci sentiamo più, lui poi è andato all’estero e ci siamo persi di vista».
Aldo Montano , lo spadaccino gentiluomo.
«Una dolce storia d’amore. Ci siamo tanto divertiti, conservo u n bel ricordo».
Gabriel Garko.
«Un breve flirt senza molta importanza, non si può paragonare agli altri».
Poi è arrivato suo marito Giovanni Di Gianfrancesco. Nozze a Las Vegas, nel 2013.
«Ci eravamo stati insieme tre anni prima, poi però ci siamo lasciati. Con la lontananza siamo maturati e ci siamo ritrovati e ri-fidanzati. Così abbiamo deciso di tornarci. E sposarci lì, io e lui da soli, al Bellagio. Al momento del sì sono partiti i giochi d’acqua, meraviglioso».
Bis il 23 luglio dell’anno scorso. Al Castello Odescalchi di Bracciano. Che non porta proprio bene alle coppie celebri: vedi alla voce Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker, Tom Cruise e Katie Holmes.
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«Lo so, si sono lasciati, me lo disse pure mia suocera: “Cara, hai letto cosa si dice del castello?”. Che c’entra, a tanti altri è andata bene, no?».
Finora tutto okay?
«Tutto a posto, siamo super-collaudati. Anzi, penso: per fortuna che l’abbiamo fatto, sposarsi è stupendo, lo che vivo di emozioni lo consiglio a chiunque».
Come suo testimone, oltre ad Alberto Tarallo, ex produttore della Ares Film, c’era il presidente del Coni Giovanni Malagò. Siete così amici?
«Da molto tempo, fin da quando ero ragazzina. D’estate mi invitava spesso nella villa di Sabaudia insieme agli altri della compagnia».
(...)
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