E DIEGO DISSE: GIANNI MI HANNO TRADITO
Giuseppe Smorto per “il Venerdì di Repubblica”
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«Giani llámame», chiamami. Nessuno ha più il coraggio di riascoltare quell' audio WhatsApp. Il suo amico Diego sta male: biascica, si blocca nel discorso, respira male e poi chiude il messaggio: Gianni Minà pensa di richiamarlo, ma prima deve passare dal cardiologo Colivicchi, quello che gli ha messo i quattro stent, così stacca il cellulare. Torna a casa e trova le telecamere sul pianerottolo: Diego Armando Maradona non c' è più. Minà manda via tutti, fa un breve post su Facebook e chiede il silenzio.
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Lui lo conosceva bene, questa è la sua versione. Quasi sei mesi dopo quel 25 novembre, dice: «È morto in solitudine perché è sempre stato solo, visto come uno da sfruttare». Non c' è commozione nelle sue parole, dice che i cronisti devono trattenere le emozioni: «Non ho mai pianto, e se piango non lo dico a un giornale. Sono antico e me ne vanto».
Però l' occhio si fa lucido davanti ai due gol al Belgio nell''86 («rallenta un attimo, belli come quelli all' Inghilterra»), o a certe foto che rimandano un' amicizia forte. Come quella volta che Minà portò lo scrittore Osvaldo Soriano nel ritiro dell' Argentina, ed el Diez si mise a palleggiare con un' arancia. Triste, solitario y final come il romanzo, il titolo con cui tutto il mondo ha salutato Maradona.
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La sua vita tombola, canta Manu Chao. «E Diego ha sempre cercato un posto in cui ripararsi». Spesso in fuga, niño de oro braccato, a testa alta davanti alla xenofobia sottile di Barcellona o dei baschi che gliel' avevano giurata, con le gambe massacrate e il cortisone, magro e sovrappeso, con Napoli per mano, 22 chili da perdere per fare i Mondiali '94, drogato, forse dopato, padre di un numero imprecisato di figli, un bypass gastrico per dimagrire, allenatore, nonno, venerato e odiato, perseguitato e solo, intontito di psicofarmaci, cuore e fegato a pezzi, abbandonato alla fine anche dal suo medico. «Solo anche in campo: l' unico che poteva cambiare una partita. Quello che ci metteva la faccia sempre, sincero fino all' autolesionismo. Diceva: "Non voglio finire male come Masaniello"».
Quante vite. Gianni Minà da un anno stava scrivendo un libro su Diego.Non sarò mai un uomo comune esce ora per minimum fax. In quelle pagine sono fissati alcuni faccia a faccia, momenti segreti di un' esistenza in prima fila, per raccontarla tutta ci vorrebbero I miserabili, scene prima di un addio senza pace.
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I MONDIALI MALEDETTI
Come ai Mondiali del '90. A Napoli Maradona trascina un' Argentina stanca, piena di botte, esordienti e pensionati, tirando il rigore decisivo contro l' Italia. A Minà, che lo aspetta sempre in un sottopassaggio, dietro l' angolo o nella stanza dei massaggi, dice: «Ho festeggiato, poi mi sono calmato, perché ho visto la tristezza sui volti di molti amici».
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Negli spogliatoi palleggia con una saponetta, lo portano di peso sotto la doccia. Minà gli suggerisce: «In finale gira lontano dall' arbitro, cercheranno di impallinarti». Dopo il labiale più famoso del calcio - quel «hijos de puta» mormorato al maxischermo, quando l' Olimpico fischia l' inno argentino -una partita orrenda e sbilanciata. Celebrata la vittoria mondiale, i tedeschi vanno uno a uno ad abbracciare Diego.
Come quella notte in un motel di Boston, la squalifica per efedrina ai Mondiali del '94 per un errore del medico, nella partita in cui prese 24 falli. Per la stessa infrazione, il messicano Calderé era stato squalificato per una giornata nel 1986. Questo è il racconto di uno scoop, ma prima si parla di amici. «Dopo l' esclusione dai Mondiali, Maradona è furioso e mi chiama: "Giani, voglio dire tutto". Arriva dal Texas con il preparatore Fernando Signorini.
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Che è una delle poche persone che non lo ha spremuto, uno che non si è fatto ricco e campa ancora facendo il maestro di tennis». Ecco quindi Diego a Boston, asciugato dal dolore. Dice: «Sono stato tradito, la Fifa aveva bisogno di me per salvare i Mondiali negli States. Abbiamo giocato a orari infernali, è stato un massacro». Oggi Minà sorride: «Facemmo il giro dei network con quella cassetta Bvu, i francesi ci presero per imbroglioni. Poi hanno guardato l' intervista e l' hanno acquistata, loro come le tv di tutto il mondo».
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Ernesto, Fidel e cuba Ma Diego era anche un burlone, dice Minà, che lo ha visto soprattutto dietro le quinte. Al gran gala della Fifa del 2001 per il calciatore del secolo, uno scherzo dei suoi. Diretta Rai, parterre di campioni. Vince Maradona, i dirigenti della Fifa non hanno calcolato il voto popolare: inventano nel panico per il designato Pelé un premio parallelo. El Pibe si presenta sul palco e dice: «Dedico questo premio all' argentino più famoso del mondo». Eccolo, il solito, si sente dio, mormorano dalle prime file i benvestiti del calcio internazionale. Diego studia la pausa e aggiunge: «L' argentino più famoso, Ernesto Che Guevara».
Qui è forse il caso di ricordare i suoi tatuaggi - Fidel sul polpaccio sinistro, il Che sul bicipite destro - e il suo rapporto con Cuba. Solo un anno prima, Maradona vuole curare la sua dipendenza dalla cocaina, dopo una crisi cardiaca molto grave: «Il Barba (come gli argentini chiamano Dio ndr) aveva paura che facessi casino lassù, continuerò a fare casino sulla Terra». Fidel Castro, intuendo anche la portata propagandistica dell' operazione, lo invita all' Avana: «Questo ragazzo che ha dato tanto al football e all' allegria dei tifosi è venuto a chiedere aiuto per la sua salute. Stupisce che pochi gli abbiano voluto dare una mano. Visto che non ci ha pensato il mondo del mercato, lo facciamo noi». E poi arriva anche Minà.
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È l' ennesima rinascita di Diego, che poi vince il premio Fifa, va a ballare e cantare in tv. Non dimentica i diritti umani, dice no all' indulto per i generali assassini: «La dittatura ci aveva nascosto tutte le sue infamie. Fu nei viaggi con la Nazionale argentina che scoprimmo i loro crimini, fu sconcertante e mortificante». È il Maradona fuori campo che continua a far paura, ma è una potenza fragile, un uomo che non vede all' orizzonte la sua salvezza. Sullo sfondo, l' amore per Napoli: quegli anni hanno cambiato la sua vita? Minà si irrita: «Provò la cocaina per la prima volta in Catalogna, e mi diceva: "Maledico quel giorno. Io non l' ho mai comprata. Me l' hanno sempre portata".
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Ferlaino doveva liberarlo. Platini resistette cinque anni nel calcio italiano. Diego era in gabbia, prigioniero dei suoi eccessi e del calcio. Ma ha fatto male solo a se stesso». Resta una storia grottesca che Minà ci tiene a raccontare: Maradona evasore fiscale, accolto da 40 agenti della Finanza a Fiumicino, gli sequestrano anche un orecchino, poi ricomprato da un tifoso. «L' 11 marzo del 2021 la Cassazione ha sentenziato che non era debitore al fisco italiano, i suoi contratti erano uguali a quelli di due compagni di squadra».
Pubblica l' intera sentenza nel libro, Diego è morto senza saperlo, condannato in partenza dalla famosa opinione pubblica. Con una certa ostinazione, Minà aggiunge: «Lui era umano, come Ali, come Mennea, le mie stelle ribelli.
Oggi lo sport vuole robot, non persone. Mi diceva: "Ho paura come tutti. Io non sono Superman, io non sono Batman, gli eroi degli americani che non muoiono mai"». Ma se oggi lo stadio di Napoli porta il suo nome, vuol dire che anche Diego Armando Maradona continua a volare.
IL TESORO DI MARADONA
Cristiano Tarsia per "il Messaggero"
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Si sarebbero messi d' accordo i cinque figli di Diego. Via gran parte del suo tesoro: ricordi, premi, regali, attestati. Tutto venduto all' asta, dalle magliette al pallone Fifa come miglior giocatore del secolo, alla lettera che Fidel Castro scrisse a Maradona. E poi anche case, ville, auto. Tutto convertito in soldi, da dividere tra i cinque figli, unici eredi secondo la giustizia argentina.
Una liquidazione vera e propria, con tempi e modalità non ancora precisi. Ma che parte dalla volontà dei figli, Diego Junior, Dalma e Gianinna, Jana e Dieguito Fernando, di arrivare a un accordo e di finire la guerra che si stava appena scatenando dopo la morte del Diez. La notizia rimbalza dall' Argentina. Caratteri cubitali, visto che, come scrivono in Sud America, a Diego è riuscito in morte quello che non aveva fatto da vivo: vedere i cinque fratelli vivere in pace.
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C' è da aggiungere che gran parte degli oggetti erano chiusi in un container alla dogana di Buenos Aires. Un vero e proprio scrigno dei tesori del Pibe de Oro, con magliette autografate di calciatori di ogni squadra e palloni, anche del Napoli. Oggetti che Maradona portò da Dubai. Lo ha confermato l' avvocato Mariano Baudry, tutore del minore dei figli dell' ex Campione, Diego Fernando. Ad occuparsi dell' asta sarà il gruppo Adrian Mercado. E già filtrano indiscrezioni, nonostante alla fine non sia stata neanche ufficializzata, sull' asta. Che diventerà un vero e proprio spettacolo. L' intenzione è di chiamare a fare il banditore Victor Hugo Morales, giornalista sportivo, scrittore e saggista uruguaiano. Una celebrità in Sud America. Dipende, scrivono i giornali argentini, dalle sue condizioni di salute.
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L' avvocato Baglietto resta in attesa che il collega Matias Morla completi la consegna dei documenti relativi ai conti bancari e ai contratti delle società di Maradona, da lui gestite. Perché la parte spettacolare sarà pure rappresentata dagli oggetti - che comunque compongono la vita e la carriera di Diego - ma la sostanza è data anche dai conti in banca e dalle proprietà immobiliari sulle quali faticosamente si sta facendo luce. Anche questi da dividere rigorosamente per cinque.
Mario Baudry ha confermato in tv che l' idea di indire un' asta è venuta dall' amministratore Adrian Baglietto e che tutti i figli hanno subito acconsentito alla proposta. Come spiegato, il giudice responsabile della successione, Susana Tedesco del Rivero del Tribunale civile e commerciale n. 20 di La Plata, deve autorizzarlo. Lunedì gli avvocati si incontreranno con lei per discutere di questo e di altri temi.
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Secondo il rappresentante legale di Dieguito Fernando, l' idea è che l' asta sia tenuta e organizzata dal Gruppo Adrián Mercado: «Tutti gli eredi sono d' accordo e l' idea è che una terza parte lo faccia, quindi nessuno contesta. Una volta che il giudice autorizza, Mercado organizza».
I prezzi base degli oggetti da mettere all' asta non sono ancora stati determinati. Al di là della cifra che possono raggiungere, si prevede che questa aumenterà, proprio a causa del loro valore storico.
Tra le vetture saranno venduti un camion Mercedes Benz e due Bmw, una coupé M4, uno degli ultimi modelli guidati dal campione. E poi Villa Devoto, che il calciatore regalò ai suoi genitori negli anni Ottanta. E dove Maradona riconobbe, nel 2016, pubblicamente per la prima volta Diego junior, il figlio napoletano.
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