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    LA POTENZA È NULLA SENZA EGOISMO  DOPO L'ORO EUROPEO NEI 100 METRI, MARCELL JACOBS HA DATO FORFAIT ALL'ULTIMO MINUTO NELLA STAFFETTA, LASCIANDO PERPLESSI (E NEI GUAI) I COMPAGNI – SECONDO GLI "ADDETTI AI LIVORI", IL VELOCISTA HA PENSATO A SE STESSO E NON ALLA SQUADRA. DI CERTO IL SUO È UN ATTEGGIAMENTO AGLI ANTIPODI RISPETTO AL “GEMELLO DIVERSO” TAMBERI CHE...


     
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    Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera”

     

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    La notizia, prima ancora del ritiro di Marcell Jacobs sulla soglia della batteria della 4x100, è il genuino stupore del primo frazionista, Lorenzo Patta: «Ha sentito un fastidio dietro il ginocchio cinque minuti prima di entrare in call room... E ha dato forfait».

     

    Piove, fa freddo, governo ladro. La gamba è la sinistra, quella incerottata nella finale d'oro dei 100 europei qui a Monaco. Accorre il fisioterapista Marcellini, rapido consulto tra Di Mulo (responsabile azzurro velocità) e Camossi (coach): Jacobs non parte. Al volo, in seconda frazione, in una staffetta già rimaneggiata dalle assenze di Tortu (finalista di bronzo ieri sera nei 200) e Desalu (preferito il giovane Melluzzo), entra Wanderson Polanco. Risultato? Uno sfacelo, però è finale: 39"02 (a Tokyo 37"50), ultimo tempo di ripescaggio. Poi ci si mette la Turchia: danneggiata, fa ricorso, ottiene di correre da sola (dura e opinabile lex, sed lex), va più veloce della compagnia dei celestini, ci elimina. Povera 4x100 regina dell'Olimpiade, già monca e strapazzata al Mondiale («Un fallimento» definì la prestazione il d.t. La Torre), vilipesa anche in Europa. E Jacobs come sta?

     

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    Boh. Alla fine di una giornata di bocche cucite e domande senza risposta arriva il comunicato della Federatletica: «Sovraccarico funzionale al polpaccio sinistro riacutizzato dal riscaldamento». La Fidal ringrazia l'atleta per la disponibilità a correre la batteria, se non altro nelle (buone) intenzioni. Arrivederci a data e luogo da destinarsi.

     

    Finisce così, con una smorfia di dolore e l'amaro in bocca di una delle medaglie più belle dei Giochi in Giappone, la campagna europea del re di Olimpia, riunito dal destino sul gradino più alto del podio con il gemello diverso Tamberi, uno che per l'azzurro sarebbe disposto a sacrificare la vita. Non a caso Gimbo dell'Italia è capitano, questione di anzianità, presenze ma anche di afflato personale: «Con questa maglia addosso ho realizzato le mie imprese più belle» ci ha ricordato nella notte del trionfo nell'alto, un attimo prima di partire con gli amici venuti da Ancona verso i bagordi dell'addio al celibato.

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    Naturalmente l'egoismo non è un reato. Men che meno nello sport. È, anzi, spesso, una delle caratteristiche dei fuoriclasse. Roger Federer, per dire, enorme campione, non è mai stato un grande fan del primo turno di Coppa Davis: si è davvero impegnato quando è stato certo di vincerla, una volta sola in carriera, nel 2014.

     

    È la squadra, purché ciascuno si senta realizzato nel collettivo, ad annacquare l'egoismo individuale. E anche a non voler dare retta alla ricostruzione secondo cui Jacobs ieri mattina se n'è andato dallo stadio senza essere lui ad avvertire i compagni, la scelta personale che prevale sulle necessità del gruppo (okay, a Eugene c'era una contrattura e quindi il paragone con il canadese De Grasse che, acciaccato, rinuncia alla sua gara, i 200, per preservarsi per la 4x100, vinta sugli Usa grazie alla sua strepitosa ultima frazione, non regge) stride sempre con un certo concetto di Nazionale, al lordo di un po' di retorica.

     

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    Marcell che in camera sua, qui a Monaco, ha sfidato alla Playstation Gimbo («Io vinco a Nba, lui a Formula 1» ha raccontato), l'oro olimpico della velocità che si sposerà 16 giorni dopo l'oro olimpico dell'alto, il professionista ferito che quest' anno ha rinunciato a più gare di quante ne abbia corse mentre l'amico saltava con gli aghi nelle gambe e i sintomi del post Covid, non può non specchiarsi nella generosità del leader della Nazionale. Che mentre inseguiva l'oro incitava Arese (1500) e Gerevini (eptathlon) e consolava Desalu. Guardarsi riflessi negli altri, la guarigione più grande.

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