Marco Molendini per Dagospia
marco molendini foto di bacco
Diceva Duke Ellington, A drum is a woman (Il tamburo è una donna) , oggi sarebbe un titolo politicamente scorretto, ma ai tempi in cui scrisse quel brano, le donne nel jazz non erano neppure i tamburi, cantanti si (e che cantanti, Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan), musiciste assai poco (Mary Lou Williams, Dorothy Donegan), musiciste e band leader ancora meno (l’ex signora Armstrong Lil Hardin). Carla Bley è stata una pioniera energica e piena di idee in anni tosti.
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La sua storia, ora che se ne è andata a 87 anni dopo aver lottato contro un crudele tumore al cervello, resta un esempio folgorante nel jazz, per continuità, livello, originalità. Pianista, compositrice, organizzatrice negli anni Sessanta che contestavano anche in musica, assieme al marito Mike Mantler, mette insieme un’orchestra sperimentale che sfida tempi e difficoltà, la Jazz composer orchestra, una formazione d’avanguardia dura e pura che produce un’opera rimasta nella storia, Escalator over the hill.
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Ama il jazz, ha fatto, perfino, la sigaraia al mitico Birdland, il jazz club intitolato a Charlie Parker, continua a farsi chiamare Bley dal cognome del primo marito, il pianista Paul Bley, ascolta musiche di ogni genere, jazz, classica, avanguardia, opera, rock. A Londra incrocia Jack Bruce, suona le tastiere nella band del chitarrista dove c’è anche Mick Taylor, conosce Nick Mason con il quale lavorerà negli anni 80 (l’album Fictitious Sports è in realtà un disco più di Carla che del batterista dei Pink Floyd, pubblicato a nome di Mason per ragioni commerciali). È curiosa di tutto, ha alcuni riferimenti prediletti come il contrabbassista Charlie Haden (con il quale prende parte, fin dall’inizio, a quell’appassionata avventura libertari della Liberation music orchestra).
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Però ama sopratutto la sua big band che diventerà il laboratorio prediletto, tranne quando, anche per motivi economici girerà in formazioni ridotte, compreso l’eterno duo con il secondo marito, il contrabbassista Steve Swallow. La big band, è il suo teatro, i concerti sono happening controllati, i musicisti sono sempre di altissimo profilo, gli arrangiamenti sgargianti, l’energia travolgente, lei imperturbabile sotto quel casco di capelli biondi che la incorniciano.
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È imperturbabile anche quel giorno infuocato di sudore e contestazioni a Città di Castello a Umbria jazz del ‘78. Il concerto è una scorpacciata di suoni (per fortuna si trova qualcosa su you tube) e mentre i contestatori assediano il palco minuscolo, la musica va avanti maestosa, più forte di ogni altra cosa. E ancora più indimenticabile è la sua presenza, sempre a Umbria jazz , dove è tornata tante volte, ma mai soprattutto quell’anno, il 1996. A San Francesco al prato, notte dopo notte in un luogo magico, sottratto al festival in un restauro brutale, incantava con pezzi come Who will rescue you?, con il trombone gigantesco di Gary Valente, la tromba di Lew Soloff, il sax di Andy Sheppard.
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Concerti memorabili: per fortuna c’è la testimonianza raccolta in un disco live, The Carla Bley band goes to church cbe, pur bellissimo, non può restituire le emozioni di quelle notti senza fine, rese ancor più lunghe dalle richieste di bis e dalla voce di Carla lusingata che rimprovera il pubblico: “You are very demanding”, siete insaziabili. Che bello essere insaziabili e che bello sarebbe rivivere una di quelle notti, specie in questi anni in cui le emozioni in musica, quando va bene, sono pallide sollecitazioni che lasciano a riposo l’adrenalina.
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