Federico Fubini per il "Corriere della Sera"
Senatore, che interlocutore fu per lei Angela Merkel durante la crisi dell'euro?
«Appena il governo da me presieduto ottenne la fiducia, giunse una richiesta di una telefonata a tre, con Sarkozy e Merkel - racconta Mario Monti - Volevano farmi gli auguri. Merkel fu simpatica e disse: "Mario, Nicolas e io siamo contenti, anche perché tu le questioni economiche le conosci meglio di noi, forse ci puoi aiutare a trovare qualche soluzione".
mario monti e angela merkel
Da quella conversazione nacque l'incontro a tre che poi avemmo a Strasburgo, il 24 novembre 2011. Fu un primo contatto, ma prendemmo già una piccola decisione. La chiamai la dottrina del silenzio simmetrico: sarebbe stato bene che la Francia smettesse di chiedere la riduzione dei tassi e la Germania smettesse di dire no. Ci impegnammo tutti a rispettare l'indipendenza della Banca centrale europea».
Poi però ci fu uno scontro tra lei e Merkel in pieno Consiglio europeo. Come andò?
«Fu il punto di arrivo di una pressione che durava da mesi. Era chiaro che, per essere risolta, la crisi dell'eurozona aveva bisogno di interventi a due livelli. Nei Paesi interessati, attraverso le riforme strutturali e il contenimento del disavanzo. Che nel caso dell'Italia era stato inasprito perché nella sua lettera dell'agosto del 2011 la Bce non solo aveva dettato le singole misure, ma aveva chiesto di anticipare di un anno il pareggio. Nella primavera del 2012 l'Italia aveva fatto la sua parte, tanto che Merkel e Schäuble elogiavano la nostra azione».
mario monti mario draghi angela merkel
E qual era il secondo livello?
«Servivano interventi sulla governance dell'eurozona, che fino ad allora era embrionale e accentuava gli squilibri sui mercati. Mancava non solo qualunque nozione di bilancio comune, ma anche il ruolo di stabilizzazione della Bce. C'era un premio di rischio dovuto al carattere incompiuto dell'area euro, che pesava sui Paesi dal debito più alto».
Merkel lo capiva?
«Secondo me, no. Diceva: "Mario, siamo convinti di quel che fai, ma i mercati hanno bisogno di tempo". Io rispondevo che il tempo non c'era. Una volta a un Consiglio europeo le dissi: "Se continuiamo così, la prossima volta tu a questo tavolo non avrai me e Grilli, ma Grillo. Era necessario che anche la politica monetaria facesse la sua parte. Invece dalla Bce venivano soprattutto messaggi restrittivi, compresa la richiesta di un fiscal compact».
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È vero che da anni la Germania è il Paese europeo che fa meno riforme?
«E quelle che ha fatto, le ha fatte in larga parte sotto la pressione della Commissione. Ma alla Merkel vanno riconosciute grandi qualità. La sua grande serietà e il senso della politica come impegno, oltre alla grande volontà e capacità di impossessarsi dei contenuti che si discutono, ne fanno una personalità affidabile, in un modo credo raro tra i politici di quel livello. E se è affidabile il leader del Paese più forte, aiuta moltissimo. Quando per fare un accordo in Europa occorre che qualcuno riduca un po' le proprie richieste, sperando che in seguito altri se ne ricordino, serve un garante. Lei lo è stata moltissimo. Aggiungo, donna. La gente si fida di lei.
Ha incarnato una visione politica per la quale la cosa peggiore sono le sorprese. Qualcuno ha detto che in nessun altro Paese sarebbe possibile vincere le elezioni, come ha fatto lei, con lo slogan "Niente esperimenti". È stato osservato che in Germania la politica non è un ramo dell'industria dell'entertainment , così come - aggiungo io - l'economia è ancora vista come un ramo della filosofia morale. Nella costruzione dell'edificio europeo, guai se non ci fosse un'àncora di stabilità di questo tipo. Ma non basta».
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Ma cosa successe quando voi vi scontraste?
«Ero convinto che Merkel avesse i nostri stessi obiettivi, ma sul come raggiungerli c'era un conflitto intellettuale e politico. Io pensavo che non ne saremmo usciti, se anche la moneta non avesse svolto il suo ruolo di stabilizzazione. Il momento choc per lei fu verso le sette di sera del 28 giugno 2012, alla fine del Consiglio europeo a 28. Stavamo approvando l'ennesimo "patto per la crescita".
Il presidente Herman van Rompuy stava per dichiarare chiuso il Consiglio. Chiesi allora la parola e dissi: devo esprimere il veto dell'Italia perché se il Consiglio esce solo con questo annuncio e non dice niente sulla stabilizzazione degli spread, domani sarà un disastro nei mercati. Non tolgo il veto, finché ci sarà stato un risultato sulla stabilizzazione».
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Che successe allora?
«Rajoy aggiunse il veto della Spagna. E François Hollande dette un colpo alla Merkel. Disse: la Francia non pone veti, ma condivido quel che ha detto Mario. Lei era spiazzata. Disse che non si poteva fare così, che doveva tornare a Berlino perché la mattina dopo aveva il voto al Bundestag sul fiscal compact. Era un giovedì sera. Le risposi pacatamente che avevamo tempo fino a tutta domenica. Lei poteva andare, l'avremmo aspettata al suo ritorno il venerdì sera.
Non credo che fosse abituata ad una cortese fermezza di questo tipo. Sembrava veramente scossa. Ma per l'Italia, e per l'intera eurozona, si trattava di una questione di estrema gravità. E la Merkel aveva visto per la prima volta quel che aveva sempre temuto: un asse fra l'Italia e la Francia. Non a caso da quel giorno si è avvicinata di più a Cameron. Poi la mattina dopo, quando i siti dei giornali tedeschi dissero che quella era la prima sconfitta della Germania a Bruxelles, lei era furiosa».
angela merkel e mario monti
Non trova che quello slogan, «niente esperimenti», sia la grande forza e anche il tallone d'Achille della Cancelliera?
«Sì. Ho sempre pensato che le due principali forze dell'eurozona, Germania e Francia, avessero bisogno dello stimolo da parte di una Commissione audace, sostenuta da Londra e dai Paesi nordici, per non rinchiudersi in un sistema corporativo. La Germania ha la solidità e la stabilità nell'anima e questo è preziosissimo per noi italiani: abbiamo bisogno di un ordoliberalismo un po' dall'odore di naftalina, un po' antico. Loro sono il guardrail sull'autostrada dell'Europa. Poi però ci vuole il carburante. Che non può essere solo fare disavanzo per crescere. Va anche detto, peraltro, che in certe occasioni Merkel ha posto l'interesse tedesco e quello del proprio partito al di sopra dell'interesse e dei valori europei.
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In particolare, l'atteggiamento tollerante nei confronti di Viktor Orbán, che ha fatto molti piaceri all'industria tedesca. Merkel ha accettato il formarsi della prima autocrazia nell'Unione europea».
È vero che fu Merkel a spingerla a candidarsi alle elezioni del 2013?
«Nell'agosto del 2012 feci una visita a Berlino e prima dell'incontro prendemmo un aperitivo sulla terrazza della cancelleria. Bevemmo acqua, mi pare. Merkel mi prese con molta umanità. "Mario, cosa pensi di fare?", mi domandò. Le chiesi come la vedesse lei.
Disse: "Finora io e altri colleghi europei abbiamo pensato che tu saresti il naturale successore di Giorgio Napolitano al Quirinale. Ma ora io penso, e so che anche altri pensano, che dal punto di vista dell'Italia e dell'Europa sarebbe ancora più importante se tu potessi continuare a guidare il governo o far sì che in Parlamento si formi una maggioranza in linea con la politica di riforme che hai iniziato"».
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