Gianluca Marziani per Dagospia
Mosaico al Museo Archeologico Nazionale di Napoli
I mosaici bizantini che vidi a Ravenna li ricordo come una rivelazione, un linguaggio geometrico che indicava sinuosi connubi tra temi artistici e dimensione civica dei siti coinvolti. Mi diedero la misura aurea dell’ingegno poetico sulla Terra, una di quelle tecniche che noi marziani stiamo studiando da tempo, anche perché visti oggi sembrano la sintesi preveggente di un’immagine digitale, sorta di griglia smaltata che usava le tessere in argilla al posto dei pixel quadrati di un ipotetico ologramma.
Qui a Roma, devo ammetterlo, avete un’enciclopedia di mosaici che attraversa i secoli per giungere alle recenti tessere di Enzo Cucchi, artista che ha creato una lupa all’ingresso del Museo MACRO in via Reggio Emilia. Santa Costanza. Santa Maria in Trastevere, Santa Maria Maggiore, San Paolo, Santi Cosma e Damiano, Santo Stefano Rotondo, San Clemente, Santa Cecilia: solo alcuni dei luoghi romani che conservano testimonianze di mosaici cristiani; torno spesso a rivederli nei miei tour in bicicletta, giocando tra generale e particolare, muovendo lo sguardo da zoom umano, intuendo una veggente “via digitale” nella composizione.
Prima di Ravenna ebbi un lampo iniziatico guardando un ritratto di donna al Museo Archeologico Nazionale di Napoli: quel mosaico sembrava il post notturno di una ragazza davanti allo specchio della sua stanza.
Wes Anderson 02
Come in un flash ho visto in modo nuovo le schermate d’archivio su Instagram e TikTok; perché i post formano un mosaico elettronico che condensa il nostro diario ideale, sintesi di un modo di essere, e soprattutto apparire, davanti al mondo. Il nuovo mosaico da smartphone viene da una lunga storia di archivi e sequenze fotografiche, portandosi appresso le biblioteche del Novecento, la storia editoriale di riviste e cataloghi, la numismatica, la filatelia, il collezionismo radicale, gli album di negativi e positivi fotografici, l’animazione, gli annuari della moda… Il mosaico riguarda un modo di pensare per frammenti componibili, riguarda gli insiemi da raccordare dentro un cloud, l’ordine dopo il caos, il senso oltre l’informe. La lezione del mosaico artistico giunge fino ai device tecnologici, nei centri nevralgici dei cinque sensi, nel sistema infografico delle nostre relazioni: a riprova di un filo rosso che attraversa i secoli, trascinandosi sequenze ideali di DNA creativo, informazioni genomiche che si plasmano sulla téchne del tempo specifico.
Wes Anderson 01
Peccato che pochissimi comprendano il potenziale compositivo di quel mosaico sui monitor. In genere le persone si dedicano al singolo post quasi fosse un’isola senza relazioni, non capendo che ogni azione si situa sempre tra un prima e un dopo. Come nella nostra vita tutto crea conseguenze e filiazioni, così i nostri post diventano passaggi di una storia che è la nostra esistenza tra mondo solido e universo liquido. Si dovrebbe osservare la griglia nei panni di un drone nel cielo, districando assonanze e completamenti, sintonie e distonie, parentele e appartenenze. Solo alcuni artisti, davvero pochi devo ammetterlo, elaborano una strategia artistica del loro profilo, superando il confine informativo dei social media.
Certo, se guardiamo ai nativi digitali rimane più semplice scovare progetti coerenti ed evoluti; il problema si pone osservando artisti che giungono dai teoremi della filiera solida. Sembra che il “vecchio mondo” non capti il pieno segnale del presente, tentando con surrogati ma senza l’evidenza di un vero progetto, di una visione che sia grammatica e sintassi progettuale.
Mauro Cuppone
Quello che pochissimi comprendono è il valore autonomo che riveste il linguaggio dei social media. Intanto usciamo dalla divisione tra reale e virtuale, questo perché i nostri device sono una seconda realtà che vale più dei nostri spazi onirici. La giornata di tutti si divide ormai in tre momenti: il mondo fuori da noi (la realtà della vita professionale, familiare, sociale), il mondo attorno a noi (i social media con il loro carico di seconda realtà) e il mondo dentro di noi (il sogno con le sue componenti di riformulazione del reale). Questi tre mondi creano tre modelli di realtà possibile in cui siamo immersi con tutto il nostro essere: motivo per cui sbagliano quanti parlano di “virtualità” rispetto ai processi biologici della vita da stories e reel.
KENDELLL GEERS è un grande artista sudafricano che va sempre a bersaglio per intuito estetico, impatto politico e forza etica delle opere. La sua grammatica affronta la fisicità pericolosa dei materiali, l’ambiguità semantica delle parole ideologiche, degli oggetti militanti, dei simboli strumentali. Oggi ha compreso il pieno valore del mosaico su Instagram, creando quadri a griglia chiusa, frame figurativi tra l’emancipazione del pop e la geometria sinaptica dei diorami optical. Nessun artista “solido” ha capito così bene il passaggio alla nuova dimensione liquida, ad un social status con una limpida autonomia semantica.
Joseph Kosuth 02
WES ANDERSON è un altro esempio di ottima costruzione del mosaico su Instagram. L’autore americano raccoglie immagini frontali di varie architetture, catturate in giro per il mondo, ovunque lo portino la professione di regista e il suo feticismo da collezionista vintage. Il mosaico di Anderson è un GPS da dandy con il rigore metodico di August Sander e il realismo geometrico di Bernd e Hilla Becher. Lo schema generale ci trascina nel mondo parallelo delle architetture anomale, stravaganti, eccessive, imperiose, oniriche… Un portfolio stiloso che parla con eleganza sopraffina e disciplina da grand tour intercontinentale.
JOSEPH KOSUTH e FRANCESCO CLEMENTE usano lo schema della striscia orizzontale in tre parti, postando blocchi che compongono una linea omogenea e dialogante. Non è la valenza più radicale ma almeno affronta l’archivio d’autore attraverso uno scroll efficiente, sensoriale ed esteticamente pregevole. Fateci caso: quando gli artisti postano opere senza una logica sequenziale, tutto diventa dispersivo, si perde il filo progettuale e un ordine significativo. Quando, al contrario, i post seguono una logica da montaggio filmico, ecco che si moltiplicano le chiave interpretative, al punto da rivelarci angolazioni che non credevamo plausibili.
Joseph Kosuth 01
Non sarà il massimo se avete problemi di stomaco ma il progetto sul cane Jack vince per coerenza estetica e identità concettuale.
MAURO CUPPONE, artista che provoca mentre evoca, entra nei gangli della comunicazione visuale, costruendo dispositivi che sfilettano la colonna vertebrale della retorica. Per Instagram il progetto è semplice e “quotidiano”: ogni giorno (o quasi) una foto con la cacca mattutina del proprio cane, fissata con precisione realista sui prati che uniformano il pattern del mosaico. Un diario fecale che apre la scatola di Piero Manzoni e contestualizza il volume “Colors Cacas” di Oliviero Toscani. Cuppone si sdoppia nel suo cane per uno dei più assurdi e intelligenti “diari del bordo” in un mondo ormai debordante.
Francesco Clemente 01
Chiudiamo con un Instagram narrativo, dove il mosaico raccoglie piccole storie nel singolo post. Sono attimi alla Luigi Ghirri con un elemento di disturbo al loro interno, il tutto utilizzando solo Apple iPhone, dichiarando nella didascalia il modello utilizzato, dando alla forma uno zeitgeist in continua trasformazione.
TOMMASO FAGIOLI crea visioni con l’anima della gif e lo spirito narrativo della staged photography alla Jeff Wall. Un mosaico straniante e alieno, sorta di sospensione dell’incredulità che colpisce lo sguardo mentre carpisce l’altra faccia del vero.
tommaso_fagioli
Francesco Clemente 02 Gianluca Marziani Gianluca Marziani Tommaso Fagioli