Marco Cimminella per it.businessinsider.com
mascherine
Fin dall’inizio della pandemia, le mascherine sono state uno degli strumenti fondamentali per contrastare la diffusione del coronavirus. La domanda è cresciuta in breve tempo, sono diventate quasi introvabili. E i Paesi hanno fatto le corse per acquistare le scorte di cui necessitavano.
Oggi sono più facilmente reperibili, grazie ai continui carichi importati. Tuttavia, l’accelerata sugli approvvigionamenti per coprire questo enorme fabbisogno ha avuto un effetto collaterale: nella marea di dispositivi di protezione individuale arrivati dall’estero, sono finiti anche prodotti irregolari, con certificazioni fasulle.
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“A noi è successo spesso di individuare dei falsi. L’azienda che aveva comprato delle FFP2 ci ha mandato il certificato di conformità relativo, un pdf ben preparato, che però dopo alcuni riscontri è risultato essere contraffatto”, spiega a Business Insider Italia Stefano Pagnutti, ceo di Clariscience, società di consulenza in ambito medicale specializzata anche in consulenza nell’ambito della certificazione dei dispositivi medici. “Abbiamo contattato l’organismo notificato che era stato indicato come ente che aveva emesso il certificato. E abbiamo scoperto che il documento era un falso, quell’ente non aveva rilasciato alcun certificato per quel fabbricante. Purtroppo, è stato un problema che si è verificato spesso durante questi mesi di emergenza”.
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Una recente inchiesta di La Repubblica ha raccontato la truffa cinese relativa all’importazione di DPI i cui documenti, apparentemente in regola, sono poi risultati taroccati. FFP2 e FFP3 con capacità di filtraggio inferiori a quanto effettivamente dichiarato. Solo in Italia sarebbero in circolazione almeno 55 milioni di pezzi di questo tipo provenienti dall’estero. Nel corso del 2020, Clariscience è stata contattata da molte aziende italiane per verificare la validità della documentazione inviata a corredo delle mascherine importate.
“Queste aziende ci fornivano tutte le carte che il fabbricante cinese aveva prodotto affinché potessimo verificare che le FFP2 che avevano deciso di comprare fossero effettivamente regolari. E in diversi casi ci siamo resi conto che la documentazione era fasulla”, ci dice Margherita Fort, responsabile dell’area regolatoria di Clariscience. Che aggiunge: “Nelle prime fasi dell’emergenza e fino a maggio 2020, siamo stati anche molto impegnati ad aiutare differenti imprese della Penisola che volevano convertire parte dei loro stabilimenti per produrre mascherine chirurgiche. In estate le richieste sono diminuite e ora riguardano soprattutto la verifica dei documenti dei DPI e altri dispositivi medici importati”.
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Il problema delle mascherine irregolari ha riguardato l’intero territorio nazionale. Grazie al lavoro delle autorità, la loro vendita è stata ostacolata: i Nas ne hanno sequestrate milioni e l’agenzia delle Dogane è riuscita a intercettarne altre. Tuttavia, il rischio di cadere in questa truffa, potenzialmente pericolosa per la nostra salute, non è definitivamente arginato. “C’è da dire che è stato più complicato rilevare eventuali irregolarità perché con l’emergenza sanitaria il decreto Cura Italia ha introdotto una deroga al rispetto delle norme vigenti per velocizzare l’immissione in commercio di DPI ad uso medico da usare strettamente in ambito sanitario e che resterà in vigore fino alla fine dello stato di emergenza. Il risultato è che possono essere venduti DPI senza marcatura CE e senza riferimento all’organismo notificato certificatore”, continua l’esperta.
mascherine ffp2 cinesi irregolari
Per questo dobbiamo fare molta attenzione quando acquistiamo questi prodotti. Certo, assicurarsi della validità delle mascherine è complicato per il consumatore che le compra in un negozio fisico o su internet, come per l’azienda che decide di importarne dall’estero: ci sono normative e indicazioni da conoscere, inoltre solo i laboratori specializzati hanno gli strumenti per effettuare test e verificarne l’effettiva conformità agli standard comunitari. Non possiamo quindi sostituirci agli esperti che lavorano in questo campo. Tuttavia, osservando alcuni dettagli e facendo qualche piccola ricerca, possiamo provare ad assicurarci che le mascherine che indossiamo siano valide.
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Clariscience, con la sua business unit “Affari regolatori e sistemi per la gestione per la qualità”, fornisce consulenza per districarsi tra le varie pratiche, leggi e standard specifici che il fabbricante di un dispositivo medico o di protezione individuale deve conoscere e rispettare prima di immettere il prodotto sul mercato e lo aiuta a trasmettere le informazioni all’utilizzatore finale in modo che il prodotto sia compreso e usato nel miglior modo possibile.
Durante la pandemia di covid-19 si è occupata soprattutto di mascherine chirurgiche e DPI. Per questo abbiamo chiesto ai suoi esperti di aiutarci a stilare un prontuario con i vari passi da fare per distinguere dispositivi regolari da quelli che non lo sono affatto.
Come riconoscere una mascherina chirurgica certificata
“Come consumatore, il primo passo da compiere è dettato dal buon senso”, ci dice Stefano Pagnutti, chiarendo che “bisogna innanzitutto verificare la presenza di alcune informazioni sulla confezione: questi dettagli devono comparire sull’etichettatura e la loro mancanza potrebbe far nascere qualche sospetto sulla validità della mascherina”.
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Gli esperti di Clariscience fanno notare infatti che le mascherine chirurgiche, per legge, sono classificate come dispositivi medici: per questo motivo, devono assicurare non solo il rispetto della normativa generale dei dispositivi medici (Dir. 93/42/CEE o Regolamento UE 2017/745) ma anche soddisfare i requisiti imposti dalla norma tecnica EN 14683, che ne delinea le prestazioni minime in termini di efficacia filtrante e respirabilità.
Pertanto, le informazioni che devono essere presenti sulla confezione sono:
il marchio CE, che viene apposto sul prodotto a garanzia del rispetto delle norme vigenti (Direttiva 93/42/CEE o Regolamento UE 2017/745). Questo marchio deve avere proporzioni precise: “Se è diverso da quanto stabilito dalla legge e ha proporzioni differenti, allora è possibile che sia contraffatto e il prodotto non assicuri il rispetto degli standard di sicurezza imposti dalle normative europee”, sottolinea Margherita Fort;
il riferimento alla norma tecnica EN ISO 14683:2019, che stabilisce i requisiti minimi di capacità filtrante e respirabilità delle mascherine ad uso medico (indicazione del tipo di maschera: Tipo I, Tipo II o Tipo IIR);
il fabbricante, cioè chi ha prodotto le mascherine o le ha fatte produrre a terzi, con sede in Ue;
se del caso il mandatario, cioè l’azienda in territorio Ue che rappresenta un produttore extra-Ue.
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“L’assenza di queste informazioni è un probabile segnale negativo, può far nascere qualche sospetto sulla validità del dispositivo. Tuttavia, non vuol dire necessariamente che la mascherina sia contraffatta”, fa notare il ceo di Clariscience. Che continua: “Un altro step da fare è controllare la presenza del prodotto nella banca dati dei dispositivi medici del ministero della Salute”.
Infatti, per i fabbricanti italiani (e per i fabbricanti extra-Ue con mandatario italiano) è obbligatorio registrare i dispositivi medici in questo data base per immettere il prodotto sul mercato della Penisola. Per consultare l’elenco dei dispositivi medici del ministero della Salute, possiamo ricercare il prodotto che ci interessa attraverso due diversi filtri:
mascherine cinesi
Se la mascherina non risulta nell’elenco, non è detto che sia automaticamente irregolare. Infatti, qualora il fabbricante o il mandatario abbiano sede in un altro Stato membro, la registrazione non è obbligatoria, trattandosi di un DM di classe I, per cui non è detto sia presente in banca dati. “Il dispositivo potrebbe essere stato registrato nel data base di un altro stato membro dell’Ue”, aggiunge la responsabile dell’area regolatoria di Clariscience. Che ricorda: “Le mascherine possono essere presenti sul mercato senza marchio CE ma con approvazione in deroga. In questo caso, deve essere presente in etichetta la dicitura ‘produzione e immissione in commercio ai sensi dell’art. 15, comma 2, del Decreto Legge n. 18 del 17/03/2020, convertito con modificazioni nella Legge 24 aprile 2020, n. 27, modificato dalla legge 17 luglio 2020 n. 77′”. La mancanza di questa dicitura in assenza del marchio CE, dovrebbe far nascere un forte sospetto relativamente all’irregolarità del prodotto.
mascherina ffp2
Inoltre, se si acquistano le mascherine chirurgiche direttamente dal fabbricante (per importazione o distribuzione) si può poi richiedere la dichiarazione di conformità nella quale il fabbricante dichiara la conformità del prodotto alla legislazione di riferimento.
“Un ultimo tipo di controllo consiste nella verifica tecnica: si può contattare un centro di testing accreditato per mandare un certo numero di campioni in modo da valutarne se il potere filtrante è uguale a quello dichiarato – ci dice Stefano Pagnutti -. Ma questo è più il caso dell’azienda che ha importato il dispositivo medico che del consumatore comune”.
Come riconoscere una mascherina FFP2 o FFP3 certificata
mascherine ffp2
Le mascherine filtranti facciali, come le FFP2 e le FFP3, sono dispositivi di protezione individuale di categoria III di rischio e per questo devono rispettare il Regolamento UE 425/2016: ciò significa che per essere immesse in commercio devono essere valutate da un organismo notificato designato per la certificazione dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie. L’organismo notificato certificherà la conformità del prodotto ai requisiti della norma tecnica EN 149:2001+A1:2009 e il produttore, dimostrata la conformità del prodotto, potrà così apporre il marchio CE.
Il rispetto dei requisiti definiti da questa norma tecnica permette infatti di avere una maschera con un’elevata capacità filtrante nei confronti di particelle e goccioline molto piccole e un’ottima respirabilità. Per questo, quando leggiamo sulla confezione, questa indicazione non può mancare.
Oltre al riferimento EN 149:2001+A1:2009, altre informazioni importanti che devono essere riportate sono:
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il marchio CE, seguito da un codice a 4 cifre che indica l’organismo notificato;
identificazione del fabbricante;tipo e classe del dispositivo di protezione (FFP2/FFP3).
“L’assenza del marchio CE o delle altre informazioni potrebbe indicare che ci troviamo di fronte a una maschera contraffatta”, spiega il ceo di Clariscience.
Come per le mascherine chirurgiche, anche per le FFP2 e FFP3 bisogna fare attenzione alle proporzioni del marchio CE che, per legge, sono precise: se il marchio è diverso o ha dimensioni differenti, nuovamente dovrebbe nascere un forte sospetto che il prodotto sia illegale e non assicuri quindi il rispetto degli standard di sicurezza imposti dalle normative europee.
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Il codice a 4 cifre che accompagna il marchio CE è molto importante, perché identifica in modo inequivocabile l’ente che ha certificato l’aderenza del DPI alle norme. Si tratta degli organismi notificati, che possono essere ricercati nel database NANDO (New Approach Notified and Designated Organisations) della Commissione europea. Con questa informazione è possibile avere un elemento in più per valutare la correttezza dei certificati e verificare che l’organismo che ha rilasciato la certificazione sia accreditato effettivamente per la valutazione del DPI.
Il sistema informativo NANDO può essere consultato cercando per ‘Paese’, ‘Legislazione’ o ‘Organismo’. Per ogni organismo notificato e autorità di notifica / designazione sono incluse informazioni e recapiti: possono essere utilizzati per presentare richieste di informazioni specifiche sullo stato e le competenze degli organismi notificati, nonché sulle loro attività. Inoltre, diversi organismi notificati elencati in NANDO per dispositivi medici e DPI hanno siti web dedicati dove è possibile consultare le informazioni più rilevanti sui loro certificati.
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Come ci spiegano gli esperti di Clariscience, grazie all’elenco possiamo verificare se il numero che troviamo sotto il marchio CE della nostra mascherina FFP2 o FFP3 corrisponde effettivamente ad un ente autorizzato a valutare dispositivi di protezione delle vie respiratorie. Una volta trovato il codice di 4 numeri nell’elenco e aperta la scheda dell’organismo notificato, si potrà verificare quali tipologie di prodotti e secondo quali normative è autorizzato a certificare l’ente in questione. Nel caso delle maschere filtranti dovremmo trovare proprio il riferimento ai ‘personal protective equipment‘ e al Regolamento EU 2016/425 e nello specifico, tra i prodotti valutati, il riferimento a “equipment providing respiratory system protection”.
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Questa stessa verifica può essere fatta consultando un altro elenco del database NANDO, che mostra le normative e i regolamenti relativi a specifici prodotti. “In questo caso andremo a selezionare ‘Regulation (EU) 2016/425 Personal protective equipment’ e successivamente restringeremo il campo della ricerca alla sola valutazione degli ‘Equipment providing respiratory system protection’. A questo punto ci comparirà la lista di tutti gli organismi notificati che valutano dispositivi di protezione delle vie respiratorie, che ci tornerà utile soprattutto quando vorremo capire se l’organismo notificato o più in generale, l’ente che figura su di un certificato, sia davvero autorizzato a fare verifiche di mascherine filtranti. Se non compare in questo elenco, il certificato è quasi certamente un falso”.
2. Ricerca in base alla legislazione di riferimento
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Come mostra l’immagine in alto, selezionando il filtro (riquadro segnalato in rosso) vengono elencati tutti gli organismi notificati per la certificazione di dispositivi di protzione delle vie respiratorie, tra cuin le maschere filtranti.
Una volta controllato l’organismo notificato, possiamo verificare anche il certificato di conformità da questo emesso. Il documento, che accompagna il DPI, deve infatti avere queste informazioni obbligatorie:
nome e numero di identificazione dell’organismo notificato;
nome e indirizzo del fabbricante e, qualora la domanda sia presentata dal mandatario, nome e indirizzo di quest’ultimo;
l’identificazione del DPI oggetto del certificato;
una dichiarazione in cui si attesta che il tipo di DPI soddisfa i requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili;
se le norme armonizzate sono state applicate in tutto o in parte, i riferimenti di tali norme o parti di esse;
se sono state applicate altre specifiche tecniche, i loro riferimenti;
se del caso, il livello di prestazioni o la classe di protezione del DPI;
la data di rilascio, la data di scadenza e, se del caso, la data o le date di rinnovo del certificato;
le eventuali condizioni connesse al rilascio del certificato;
per i DPI della categoria III, una dichiarazione secondo cui il certificato deve essere utilizzato solo in combinazione con una delle procedure di valutazione della conformità previste.
striscia inchiesta mascherine u mask
Qualora mancassero questi dettagli, quel certificato potrebbe non essere autentico. Non mancano infatti i casi di mascherine accompagnate da documenti falsi, soprattutto quelle vendute online.
Da notare che se il DPI è privo di marchio CE, non necessariamente deve essere considerato irregolare: potrebbe anche trattarsi di un prodotto fabbricato e venduto in deroga alla normativa vigente, possibilità prevista – come detto prima – dal decreto Cura Italia per velocizzare l’immissione in commercio di DPI ad uso medico da usare strettamente in ambito sanitario.
“La deroga, però, riguarda solo le tempistiche e prevede comunque il rispetto degli standard tecnici e di qualità definiti dalla norma EN 149:2001+A1:2009. Infatti, i filtranti facciali prodotti in deroga possono essere venduti in ambito sanitario solo se i produttori autocertificano l’aderenza alle norme tecniche previste, mandando i documenti di prova all’Inail, che una volta ricevuta la documentazione, ne autorizzerà la commercializzazione in ambito sanitario”, chiariscono gli esperti di Clariscience.
doppia mascherina
Visto che per FFP2 e FFP3 non è prevista l’indicazione dell’approvazione in deroga in etichetta (come per le mascherine chirurgiche), si può provare a consultare l’elenco dell’Inail delle maschere filtranti prodotte e vendute in deroga.
Queste verifiche potrebbero diradare eventuali dubbi sulle mascherine che stiamo indossando. Ma a volte potrebbero non bastare. “C’è anche la possibilità che il contraffattore astuto abbia apposto sul prodotto il codice di un organismo notificato, presente nel database NANDO e quindi autorizzato a validare i DPI ma che in realtà non ha emesso alcun certificato relativo a quella particolare mascherina”, ci spiega Stefano Pagnutti. “Per cui l’ultimo step è quello di contattare l’ente che risulta come organismo notificato e verificare che abbia effettivamente emesso la certificazione di conformità. Lo abbiamo fatto spesso per qualche nostro cliente e a volte così abbiamo scoperto dei falsi”.
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È bene ricordare che un fabbricante può scegliere uno qualsiasi degli organismi notificati elencati in NANDO per la normativa di riferimento, indipendentemente dallo Stato membro in cui si trova l’organismo notificato. Gli organismi notificati devono essere situati solo nei territori di uno degli Stati membri dell’UE, nonché nei paesi SEE, in Svizzera (in virtù dell’accordo di mutuo riconoscimento con l’UE) e in Turchia (in virtù dell’accordo di unione doganale con l’UE).
I rischi dell’acquisto online di mascherine
Infine bisogna fare ulteriormente attenzione quando compriamo questi prodotti su internet. La verifica della confezione è generalmente più difficile. Per le mascherine chirurgiche, dovrebbe esserci la dichiarazione di conformità del fabbricante, ma non è detto che sia resa disponibile sulla piattaforma di e-commerce scelta per vendere il prodotto.
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Eventuali certificati di conformità emessi da enti terzi – a meno che non si tratti di mascherine sterili- dovrebbero, per precauzione, essere considerati dei falsi, visto che, per legge, le mascherine chirurgiche devono sì garantire specifici standard, valutati da laboratori e personale qualificato, ma non necessitano di certificati di conformità provenienti da organismi notificati; in questo caso, infatti, basta la dichiarazione di conformità resa da chi ha prodotto la mascherina.