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    “UNA SCIAGURA NAZIONALE CHE NON VA NEGATA” – NEL GIORNO DEL RICORDO IN ONORE DELLE VITTIME DELLE FOIBE MATTARELLA INVITA A COLTIVARE LA MEMORIA PER CONTRASTARE “PICCOLE SACCHE DI DEPRECABILE NEGAZIONISMO MILITANTE” - IL DOCENTE DI STORIA: “RUOLO DEL PCI E RAGION DI STATO HANNO OSTACOLATO LA MEMORIA. LA JUGOSLAVIA ERA UNA PEDINA STRATEGICA FONDAMENTALE DELL'OCCIDENTE E ANCHE DELL'ITALIA. NON LA SI POTEVA PROVOCARE…”


     
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    Diodato Pirone per il Messaggero

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     «Una sciagura nazionale che non va negata». Così il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha definito la tragedia delle foibe, ovvero l'assassinio di migliaia di italiani gettati in profonde fosse naturali (le foibe, appunto) in Istria alla fine della seconda guerra mondiale da parte di formazioni partigiane yugoslave.

     

    Il presidente della Repubblica ha aperto così le cerimonie del Giorno del Ricordo, istituito il 10 febbraio in onore delle vittime delle foibe. Il Capo dello Stato ha usato parole forti, invitando a coltivare la memoria per contrastare «piccole sacche di deprecabile negazionismo militante» ancora presenti in Italia. Mattarella è stato chiarissimo: «Oggi il vero avversario da battere è l'indifferenza che si nutre spesso della mancata conoscenza».

     

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    Il presidente ha partecipato al Quirinale a un concerto in memoria delle vittime delle foibe, alla presenza di esponenti delle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati che rappresentano i circa 300.000 italiani che alla fine della guerra abbandonarono le città e le terre sulla sponda orientale dell'Adriatico cedute dall'Italia alla Yugoslavia di Tito e oggi territori della Slovenia e della Croazia.

     

     

    Cade inoltre in questa domenica di febbraio l'anniversario dell'eccidio di Porzus, dove tra il 7 e il 18 febbraio 1945 vennero uccisi 17 partigiani verdi della Brigata Osoppo Friuli da parte di un gruppo di partigiani gappisti comunisti. È una pagina di storia poco conosciuta al di fuori del Friuli Venezia Giulia e che il governatore Massimiliano Fedriga, nel giorno delle celebrazioni a Faedis e Canebola, ha invitato a «far conoscere al Paese e all'Europa per non cadere nel qualunquismo quotidiano

     

    GLI ECCIDI Le foibe, ha ricordato Mattarella, sono un evento del passato cui «i contemporanei non attribuirono, per superficialità o calcolo, il dovuto rilievo». Quegli episodi tragici «ci insegnano che l'odio, la vendetta, la discriminazione, germinano solo altro odio e violenza». «L'angoscia e le sofferenze» delle vittime «restano un monito perenne contro le ideologie e i regimi totalitari che, in nome della superiorità dello Stato, del partito o di un presunto ideale, opprimono i cittadini, schiacciano le minoranze e negano i diritti fondamentali. E ci rafforzano nei nostri propositi di difendere e rafforzare gli istituti della democrazia e promuovere pace e collaborazione internazionale», con Paesi come Slovenia e Croazia che oggi fanno parte dell'Unione Europea.

     

    Mattarella Mattarella

    A testimoniare l'attualità del monito del capo dello Stato giunge da Marina di Carrara la notizia del danneggiamento di due targhe dedicate alle foibe. «Manterremo viva la memoria», ha sottolineato il ministro Federico D'Incà che rappresenterà oggi il governo alle celebrazioni a Basovizza.

     

    «La ricerca storica è l'arma più potente contro ogni strumentalizzazione», concorda dal Pd Luigi Zanda, che plaude a Mattarella. Come fa a più voci il centrodestra che, da Antonio Tajani a Giorgia Meloni, ringrazia il presidente per le frasi sul «negazionismo militante». Maurizio Gasparri denuncia però «tentazioni negazioniste» della Rai e chiama a intervenire la commissione di Vigilanza. Oggi, infine, sarà inaugurata a Roma la mostra Foibe ed esodo.

     

    RAOUL PUPO

    Mario Ajello per il Messaggero

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    Raoul Pupo è uno dei massimi conoscitori delle questioni del confine orientale. Insegna storia contemporanea all'università di Trieste, ed è autore di numerosi saggi: «Da «La violenza del dopoguerra al confine tra due mondi (Il Mulino) a «Fiume città di passione» (Laterza). 

     

    Professore, basta a considerare le foibe una tragedia di serie B? 

    «Per un certo periodo, negli anni 60,'70,80, è stata una sciagura dimenticata. Prima di quel periodo, invece, le foibe e l'esodo sono stati temi di lotta politica e di contrasti internazionali al centro dell'attenzione». 

     

    E' la sinistra che ha cercato di negare o di minimizzare la questione? 

    «La sinistra non amava parlarne perché aveva il mito della resistenza jugoslava. E perché i comunisti avevano un'ambiguità non solo sulle foibe ma su tutta la tematica del confine orientale. Fino al 48, il Pci era in parte succube dei comunisti jugoslavi e doveva destreggiarsi tra due spinte. Da partito nazionale e anche di governo doveva respingere le rivendicazioni jugoslave sulla Venezia Giulia e su Trieste; ma in quanto partito comunista aveva grandi difficoltà a respingerle pubblicamente». 

     

    Ma il problema è stato solo la sinistra? 

    «C'è anche una ragione più generale, una ragion di Stato che è questa: la Jugoslavia era una pedina strategica fondamentale dell'Occidente e anche dell'Italia. Non la si poteva provocare. E sentir parlare di foibe e di esodo per Belgrado era una provocazione fascista. La Jugoslavia neutrale consentiva all'Italia di non essere sulla prima linea della Guerra Fredda. Il che significava che i carri armati sovietici stavano sul Danubio in Ungheria e non dalle parti di Gorizia».

     

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    I motivi politici sono chiari. Però perché la storiografia italiana ha sottovalutato e minimizzato le foibe, negando il posto centrale che avrebbero dovuto avere nella memoria nazionale?

    «La storiografia italiana s'è occupata d'altro. Da una parte la sinistra aveva imbarazzi evidenti con questo argomento. Dall'altra parte la cultura cattolica non era assolutamente nazionalista. Questi due elementi hanno pesato negativamente». 

     

    La destra invece s'è battuta per la memoria delle foibe? 

    «Sì, ma sempre in ambienti molto circoscritti. E in più, la destra non ha mai avuto una storiografia. Basti pensare che, agli occhi della sinistra, il massimo storico di destra in Italia era Renzo De Felice. Il che è assurdo, perché non fu affatto di destra». 

     

    La sinistra ha fatto i suoi giochi, la destra ha fatto ciò che poteva, ma allora la memoria delle foibe chi l'ha tenuta veramente viva? 

    «A livello localizzato e territoriale, l'hanno tenuta viva tutti i partiti tranne i comunisti. A livello nazionale, si sono impegnate con grande determinazione le associazioni dei profughi. Quanto alla riscoperta sul piano degli studi, l'ha fatta con varie sfumature la storiografia democratica». 

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    Il Giorno del Ricordo che cosa può creare, una memoria condivisa? 

    «La sua finalità è quella di conservare la memoria della catastrofe dell'italianità adriatica, sciagura che non ha riguardato soltanto le vittime delle foibe e e dell'esodo, ma tutta la comunità nazionale. Negli anni dopo il 2004, a questa finalità se n'è aggiunta un'altra: favorire la conoscenza della storia delle terre adriatiche. Bisogna allargare lo sguardo su tutta la grande storia della civiltà italiana sull'Adriatico orientale. Basti ricordare che Niccolò Tommaseo, uno dei padri della patria, era dalmata». 

     

     

     

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