Ugo Magri per “La Stampa”
mattarella meloni 2
Sergio Mattarella è in pericolo, accusa un leader prudente come Enrico Letta.
Questa destra vuole «mandarlo a casa» perché rappresenta un ostacolo ai suoi piani; cambiare l'inquilino del Quirinale per rimpiazzarlo con qualche figura più malleabile è il «vero obiettivo» della riforma presidenzialista, come lo stesso Cavaliere s' è lasciato sfuggire. Ma «noi ci opporremo in ogni modo», promette il segretario Pd dalle colonne del nostro giornale, suonando la diana della resistenza democratica e alzando idealmente una barricata proprio alle pendici del Colle.
Cosicché chiunque, dopo queste parole certo non buttate lì per caso, è autorizzato a immaginarsi un Mattarella ansioso, turbato, in allarme quanto può esserlo chi si sente nel mirino dei futuri padroni politici e magari già con le valigie in mano; o viceversa determinato a resistere facendo leva sui suoi poteri istituzionali e sulla vasta popolarità di cui gode nel Paese.
mattarella meloni
Due scenari che si riassumono in una domanda: come viene vissuto l'assedio nella trincea quirinalizia? Con quali stati d'animo ci si prepara all'assalto? E con che spirito sono state accolte le rassicurazioni di Giorgia Meloni la quale ieri ha gettato acqua sul fuoco («allarmismi senza senso», li ha definiti) come se Letta avesse le traveggole?
Porsi queste domande porta a sbattere contro un muro: la proverbiale riservatezza di Mattarella. Il capo dello Stato è in viaggio tra Albania e Macedonia, per una visita che vuole restituire ai Balcani fiducia nell'Europa, sottraendoli alle sirene dello Zar di Russia e alle ambizioni del Sultano turco (Erdogan anche lui, guarda caso, è in visita da quelle parti). Quando il presidente è all'estero, le beghe domestiche rimpiccioliscono. Interpellati su ciò che lassù si dice della denuncia di Letta, ambienti presidenziali oppongono un «assoluto no comment» che, in quanto tale, non autorizza a pensare nulla né in un senso né in un altro.
giorgia meloni applaude mattarella
Zero carbonella. Del resto una decina di giorni addietro il Quirinale, quando la Meloni era già in pressing per il futuro incarico di governo, e lanciava messaggi che potevano suonare come ingiunzioni, una nota particolarmente secca aveva stroncato sul nascere qualunque tentativo di attribuire a Mattarella piani, strategie, propositi, giudizi o anche solo trepide emozioni. Non solo: il portavoce del presidente, Giovanni Grasso, aveva replicato per lettera al direttore responsabile di Libero, Alessandro Sallusti, che maliziosamente si domandava a chi dar credito, tra i tanti interpreti del Colle. Risposta perentoria di Grasso: a nessuno.
Nel senso che lassù «si opera lealmente sulla base esclusivamente delle indicazioni» fornite dal Capo, che è Mattarella e lui soltanto. Il che facilmente si spiega con la campagna elettorale in corso, con l'importanza anche internazionale della posta in gioco, con la ferma determinazione di non interferire nella dialettica dei partiti, nelle sguaiate polemiche di certi protagonisti, nelle dinamiche (legittime) che le governano; ma nemmeno di farsene fagocitare, di venirne travolto, di finire nel tritacarne mediatico a rischio di compromettere la propria autorevolezza quando, tra poco, di Sergio Mattarella più ci sarà bisogno.
mattarella meloni
I capi partito guardano al 25 settembre e tarano tutte le loro mosse su quella data-spartiacque, che per alcuni di loro sarà una sentenza; il presidente della Repubblica, viceversa, ha come orizzonte il dopo, cioè quanto potrà accadere dal 26 mattina in avanti, quando si tratterà di affidare l'incarico, di sovrintendere secondo Costituzione la nomina dei ministri, di vigilare sui primi passi del nuovo esecutivo, di dare consigli e all'occorrenza una mano qualora gli venisse richiesto. Guai a strattonarlo, a trascinarlo nella mischia, a farne la bandiera di una fazione contro l'altra: si finirebbe per indebolirne il ruolo super partes.
SALVINI MELONI LETTA AL MEETING DI RIMINI
Insomma: se dell'affondo di Letta il presidente si è rallegrato o, viceversa, ne avrebbe fatto volentieri a meno è - parafrasando Churchill - un rebus avvolto in un enigma all'interno di un mistero, destinato a restare tale. Con qualche conseguenza pratica. Nell'ottica della Meloni, ad esempio, nulla autorizza Giorgia o i suoi avanguardisti a ritenere che Mattarella negherebbe la propria leale collaborazione istituzionale, mai rifiutata da questo presidente a tutti quanti si sono via via succeduti sulla poltrona di premier, da Renzi a Conte, da Gentiloni a Draghi.
Se per caso qualcuno cercava appigli per scatenare una campagna di delegittimazione preventiva basata su pregiudizi tipici di una destra anti-sistema, tali pretesti il Colle non li fornisce e stop. Non ci casca. Semmai sarà la Meloni a doversi definire, a chiarire nelle posture e nei comportamenti come intende atteggiarsi nei confronti delle figure di garanzia come il presidente della Repubblica del quale, quattro anni fa, aveva chiesto l'impeachment con espressioni che, rilette oggi, mettono i brividi. Diversamente da Luigi Di Maio, senza poi nemmeno chiedere scusa.
BERLUSCONI SALVINI MELONI CON MATTARELLA