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    "UN FIORETTO PER VINCERE LA FINALE? NIENTE DI ESTREMO, SENNÒ NONNA LUCIA NON MI FA PIÙ ENTRARE IN CASA” - MATTEO BERRETTINI SUONA LA CARICA PER WIMBLEDON: “ENTRO NEL TORNEO CON LA RAGIONEVOLE CERTEZZA DI POTER ARRIVARE LONTANO. LA STRADA PER LA FINALE LA CONOSCO GIÀ” – “L’INFORTUNIO? HO TANTISSIMA VOGLIA DI RIPRENDERMI QUELLO CHE MI È STATO TOLTO. IL MOMENTO PEGGIORE SONO STATI GLI INTERNAZIONALI DEL FORO ITALICO. QUEL PENSIERO LÌ ANCORA OGGI È UN MOTORE PAZZESCO” 


     
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    Gaia Piccardi per il “Corriere della sera”

     

    La ricerca del suo splendore nell'erba comincerà martedì contro il cileno Cristian Garin, battuto nei due ultimi confronti diretti. Matteo Berrettini, 26 anni, il canguro del Nuovo Salario (Roma) che i bookmaker londinesi dopo la finale dell'anno scorso vedono tra i primi tre favoriti di Wimbledon (insieme ai due giganti Novak Djokovic e Rafael Nadal) è troppo sgamato per cascarci: «Nulla è scontato, ogni torneo fa storia a sé: mi aspetta un match con il coltello tra i denti». 

     

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    Però Matteo, sceso al numero 11 del ranking nonostante la formidabile doppietta erbivora Stoccarda-Queen's, non è mai arrivato sulla soglia dei Doherty Gates così in forma e in fiducia. E pazienza se i parrucconi dell'All England Club non hanno avuto il coraggio di sceglierlo testa di serie davanti a Ruud, Tsitsipas, Alcaraz, Aliassime e Hurkacz: certe frasi fatte del tennis («Per vincere uno Slam devi battere tutti i più forti») sono uno stimolo in più.

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    Matteo, se lei dovesse spiegare a un alieno la sua magia sull'erba, una superficie che all'inizio non amava, che parole userebbe?

    «Gli direi che c'è voluto del tempo perché io amassi l'erba. Il primo clic è avvenuto in Coppa Davis, India-Italia a Calcutta, playoff 2019. Il secondo l'anno scorso tra il Queen's e Wimbledon. È un tennis diverso e insolito, che va al di là dell'aspetto tecnico. È un feeling totale con la superficie, la pazienza che richiede, l'accettazione del rimbalzo irregolare: è come se l'erba mi chiedesse di sentirmi emotivamente a mio agio perché si crei la connessione perfetta».

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    Di ritorno dallo stop per l'operazione al dito temeva che la mano destra non fosse più sufficientemente forte da colpire la palla come prima. Sono arrivati due titoli di fila. Come si trasforma un pensiero negativo in due trionfi?

    «Ho tantissima voglia di riprendermi quello che mi è stato tolto. Le difficoltà mi motivano: guardavo il dito con i punti e la mano dolorante e sentivo crescere la cattiveria agonistica. Il momento peggiore sono stati gli Internazionali del Foro Italico: gli altri in campo e io fermo, davanti alla tv. Ecco, quel pensiero lì ancora oggi è un motore pazzesco».

     

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    Dire ad alta voce «voglio vincere Wimbledon» è un altro step di consapevolezza?

    «Sono sempre stato cauto con le parole. Ora sento che non serve più nascondermi.

    Sto giocando bene, scoppio di fiducia: entro nel torneo con la ragionevole certezza di poter arrivare lontano. La strada per la finale la conosco già».

     

    La memoria di ciò che è stato, appunto. Può essere usata come arma?

    «Il sentiero è tracciato, i ricordi sono felici. L'esperienza dell'anno scorso mi ha insegnato tanto: come gestire il tempo tra i match, le emozioni, le attese, le notti. Tornare in finale, se dovessi meritarmela, sarebbe un'emozione meravigliosa ma forse un po' meno sconvolgente: l'ho già vissuta».

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    L'Atp non assegnerà punti per la classifica come ritorsione per l'esclusione di russi e bielorussi. Non tornerà nei top 10 nemmeno in caso di successo a Wimbledon, Matteo: non è assurdo?

    «Ingiusto, oltre che assurdo. Capisco la situazione complicatissima: c'è una guerra in corso, al confronto i miei problemi di ranking sono poca cosa. Ma è questione di giustizia. Ci va di mezzo anche la Race per le Atp Finals di Torino. Io dico che andava presa una decisione condivisa con noi giocatori, invece che Wimbledon 2022 non avrebbe assegnato punti sono venuto a saperlo da terzi...».

    NADAL BERRETTINI NADAL BERRETTINI

     

    Il destino è tracciato: Tsitsipas (re dell'erba di Maiorca, ora vincitore su tutte le superfici) nei quarti, Nadal in semifinale, il solito Djokovic per il titolo.

    «Mi sento più pronto, più forte, migliore. A Parigi, Londra e New York, nel 2021, ho perso sempre da Djokovic. Direi che è arrivato il momento di batterlo». Fatto inedito in 100 anni di storia in Church Road: il club ha permesso allenamenti sul centrale. I primi siete stati lei e Nadal. Un riconoscimento, anche questo. «Sì, i soci del club hanno dato il loro benestare. È stato bello ed emozionante, un piccolo motivo d'orgoglio». 

     

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    Nadal che conquista mezzo Slam a 36 anni, zoppicando, cosa ci dice sulla salute del tennis mondiale? 

    «Che Rafa è fatto di una pasta molto diversa da noialtri, che non è ancora stufo di spingersi oltre i suoi limiti. Per vincere il 14° Roland Garros ha lottato cinque set con Aliassime, quattro con Djokovic, ha costretto al ritiro per infortunio Zverev. Io dico che il tennis mondiale sta benone. Di certo sta alla grande Rafa! Gliel'ho detto quando ci siamo allenati insieme sul centrale: ho finito gli aggettivi, non so più cosa dirti. Io Rafa lo rispetto tantissimo, e lui lo sente». 

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    Roger Federer dopo Wimbledon uscirà dalla classifica Atp: è la fine di un'era?

     «Non lo so. Nel passato è già successo che Roger rientrasse dopo un lungo stop facendo miracoli. Che vuoi dirgli, a Federer? Ad agosto compie 41 anni, ha vinto tutto. Che male c'è se, a modo suo, ha ancora voglia di godersi un po' il tennis?».

     

     È disposto a fare un fioretto per vincere Wimbledon, Matteo? 

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    «Niente che includa sforzi fisici, però: né imprese in bicicletta né maratone né scalate di montagne per raggiungere santuari... Sarei disposto a un taglio netto della barba, a raparmi a zero o a tingermi di biondo. Niente di più estremo, sennò quando torno a Roma nonna Lucia non mi fa più entrare in casa».

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