Tommaso Ciriaco per la Repubblica
FRANCESCHINI DELRIO
Montagne russe Pd, ad ogni curva un fuoco di rivolta. «Matteo, fidati di noi - si propongono nel giorno più difficile Dario Franceschini e Graziano Delrio - ti portiamo un accordo sulla legge elettorale con il premio alla coalizione». «Perfetto – l’abbraccio gelido del segretario – ma non tornate se non avete garanzie sul voto a giugno». Mediazioni, certo, ma a sei giorni dalla direzione nessuno controlla davvero questo frullato di risentimenti correntizi.
Anime inquiete. E in mezzo c’è sempre Matteo Renzi, infuriato per l’escalation interna, ma preoccupato dal rischio d’isolamento: «Per me non ha senso andare avanti con questa legislatura e devi aiutarmi a tornare a elezioni - la richiesta ad Angelino Alfano, lunedì notte - però non voglio mostrarmi come quello che vuole le urne a tutti i costi. Se mi costringeranno al 2018, faremo i conti al congresso quanto prima».
ALFANO RENZI 2
Tarda mattinata di ieri, riunione del mini direttorio del Pd alla Camera. Ettore Rosato annuncia lo slittamento del vertice del gruppo e un manipolo di delegati della minoranza - che sperava di affrontare Renzi - insorge: «Ettore, ma ti rendi conto che non si capisce più nulla? Non penserete davvero che accetteremo senza battere ciglio e senza discutere quanto deciderà la direzione?». Non lo pensano, ma i renziani hanno comunque l’obbligo di provarci, perché trascinarsi fino al 2018 logorerebbe ancora la leadership del capo.
ettore rosato
Gianni Cuperlo
La verità è che il nodo resta uno e uno soltanto: quando si vota? Pierluigi Bersani ha già rimandato al mittente l’accordo sul premio di coalizione: «Io voglio costruire un nuovo Ulivo, ma non accetto una rincorsa folle alle elezioni». Gianni Cuperlo ha messo in campo una sua proposta, con premietto al 10 per cento. Matteo Orfini, vicinissimo al segretario, ha in mente invece un modello “alla greca”: «Le coalizioni? Significa che avete dimenticato i tempi dell’Unione... E poi, mica possiamo davvero allearci con un partito che si chiama Nuovo centrodestra. Io comunque penso che bisogna votare entro giugno, che senso ha andare avanti?».
enzo lattuca pd
In questo caos prevale soprattutto l’istinto di tracciare i confini tra correnti, più labili che mai. Al Senato, franceschiniani e renziani si ritrovano nella stessa stanza. E i primi imputano ai secondi le colpe del capo: «Matteo cambia idea ogni minuto, è scomparso, così esplodiamo!». Alla Camera va in scena il bis. In pochi sembrano disposti a votare a giugno, anche tra le nuove leve: «La maggioranza del gruppo è contraria – giura Enzo Lattuca – e il vitalizio non c’entra proprio un bel niente».
Pisapia e Vendola
Una quindicina di senatori dei Giovani Turchi si incontrano a Palazzo Madama e lamentano un eccessivo schiacciamento sul segretario: «Non esiste, sta sbagliando tutto». L’altro leader dei “turchi”, un cauto Andrea Orlando, si muove intanto da renziano sempre meno ortodosso. Non gradisce corse a perdifiato verso le urne e sonda peones inquieti. Ostili all’allargamento ad Alfano sono naturalmente anche Giuliano Pisapia e Nichi Vendola, che avverte: «Il premio di coalizione è diabolico».
leoluca orlando
È come se un’invisibile forza di gravità schianti ogni possibile ipotesi d’intesa, mentre Renzi cambia idea sempre più di frequente. Difficile trovare un accordo interno sul futuro del Pd, ancora più complicato immaginare patti in vista di un’alleanza con Alfano. Anche se, a ben guardare, in periferia molto si muove. Per sostenere Leoluca Orlando alle comunali di Palermo, infatti, i dem vareranno un listone. Con chi? Con l’Ncd, naturalmente.