Mattia Feltri per "la Stampa"
APPENDINO RAGGI
La grande rivoluzione se ne va nel soffio di vento di un quinquennio: Chiara Appendino e Virginia Raggi si eclissano in una mestizia opposta all'euforia catartica con cui albeggiarono su Torino e Roma.
Nel tempo abbiamo loro rimproverato di tutto, e in particolare la rinuncia più spesso a petto in fuori, talvolta per inadeguatezza, a qualsiasi ipotesi di grande opera, le Olimpiadi estive o invernali, il nuovo stadio, impianti di smaltimento rifiuti, fossero collaudati o di nuova generazione, ma loro ci guardavano di sbieco e ghignanti, poiché era nei presupposti: le grandi opere - ecco il messaggio scalcagnato e affascinante - sono roba dei grandi affari e dunque delle grandi ruberie, sono la mefistofelica menzogna delle élite per depredare il popolo.
RAGGI APPENDINO - ADDIO A DARIO FO
Noi, dicevano, organizzeremo la rivoluzione delle piccole opere, saremo le filosofe del piccolo cabotaggio, saremo le campionesse della piccola, ovvia, quotidiana buona amministrazione che sottrarrà le periferie dal saccheggio e dal dominio del centro ricco e altezzoso.
Avrebbero dovuto fare delle periferie luoghi di nuovo inaudito splendore, doveva anzi bastare uno schiocco di dita, era così evidente e così facile, ma cinque anni dopo le periferie sono ancora lì, se non un passo indietro: rifiuti dove c'erano rifiuti, buche dove c'erano buche, emarginazione dove c'era emarginazione, distanza dove c'era distanza. Tutto finito. Nelle periferie si registrano i più alti tassi d'astensionismo: la gente se n'è rimasta a casa a salutare col silenzio la sbornia e la grancassa dell'ultimo imbonitore. Il grillismo, quel tipo di grillismo, è volato via in un soffio di vento.
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