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    PAZZO D’OPERA - MATTIOLI ARRAPATO: “DEBUTTO ALLA SCALA DEL GRANDE REGISTA OLIVIER PY IN “THAÏS” DI JULES MASSENET. IL TITOLO SEMBRA FATTO APPOSTA PER LUI, CHE È CATTOLICISSIMO E GAYSSIMO (E ANCHE BRAVISSIMO) - IL PALCOSCENICO È PIENO DI BONAZZE/I, ANCHE SEMINUDI; E POCHE VOLTE ALLA SCALA SI SONO VISTE TANTE TETTE & CULI (C’ERANO, MA NON TROPPO ESIBITI, ANCHE DUE LATI A MASCHILI). PERÒ, VUOI PER LA LORO NOTEVOLE QUALITÀ, VUOI PERCHÉ “THAÏS” NON LA CONOSCE NESSUNO, NESSUNO HANNO SCANDALIZZATO. È FINITA INVECE NEL GODIMENTO GENERALE E CON MOLTISSIMI APPLAUSI”


     
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    ALBERTO MATTIOLI PAZZO PER L OPERA ALBERTO MATTIOLI PAZZO PER L OPERA

    Alberto Mattioli su Facebook

     

    Aggiornamento statistico. Ieri sera la mia recita d’opera numero 1.873: “Thaïs” alla Scala - La Scala risponde alla notevolissima “Luisa Miller” dell’Opera di Roma con un non meno riuscito Massenet: gran successo anche qui, uno a uno, palla al centro e pedalare (sarà la reazione alle clausure covidiche, ma stiamo vedendo delle gran belle cose perfino nei teatri italiani: e ieri la Scala era piena, anche di ragazzi e non dei soliti semifreddi).

     

    Dunque, Thaïs, cioè Taide, celeberrima cortigiana dell’antichità mandata all’Inferno anche da Dante. Nell’Alessandria paleocristiana centro di ogni depravazione, il monaco baritono Athanaël decide di convertirla e, quel che è peggio, ci riesce. 

     

    “Thaïs” alla Scala “Thaïs” alla Scala

    Ma solo per rendersi conto che anche lei ha convertito lui, dalle gioie celesti a quelle terrene: sicché lei muore tutta contenta in odore di santità come una qualsiasi Maria Maddalena da oratorio barocco per casa Ottoboni o Pamphilj; lui invece vive disperato perché non ha capito che doveva gettare il saio alle ortiche e darsi alla pazza gioia fra la décadence più sfrenata. 

    “Thaïs” alla Scala “Thaïs” alla Scala

     

    Il romanzo di Anatole France era assai ironico e un po’ cinico. Louis Gallet lo prese invece sul serio servendo a Massenet, nel 1894 (ma l’opera fu rivista quattro anni dopo) un goffo libretto dove davvero si dibatte se sia meglio la carne o lo spirito, l’Eros o l’Agape, la botte piena o la cortigiana ubriaca. 

     

    “Thaïs” alla Scala “Thaïs” alla Scala

    Massenet, naturalmente, non ha dubbi, e le parti sensuali, erotiche ed esotiche sono molto più accattivanti di quelle “sacre”, finto gregoriano compreso, finché a metà del secondo atto non azzecca la celebre melodia della “Méditation” con violino strappacuore e ce la ripropone per tutto il terzo (comunque è strano questo coté religioso negli operisti francesi più erotomani e di successo del secondo Ottocento: anche Gounod, per dire, minacciava di farsi prete ogni due per tre). È di buon gusto trovare “Thaïs” di cattivo gusto: in realtà, la stupefacente abilità di Massenet porta lo spettatore sul ciglio del baratro del kitsch senza mai farcelo cascare.

    “Thaïs” alla Scala “Thaïs” alla Scala

     

    Più che dirigerla, questa musica va accarezzata. Che è poi quel che fa il giovin direttore Lorenzo Viotti, in possesso di buona tecnica e bel gesto. Non che manchi di vigore dove serve, per esempio nel Finale primo: ma il meglio è nei colori dell’orchestra, sempre cangianti, raffinati, vaporosi, calibratissimi. Bella direzione davvero. 

    “Thaïs” alla Scala “Thaïs” alla Scala

     

    Le squisitezze orchestrali trovano una perfetta rispondenza nell’arte canora di Marina Rebeka, al suo meglio. Le prime frasi, in ogni possibile gradazione dal mezzoforte al pianissimo, ogni suono rinforzato e smorzato, danno subito il tono. Il resto è dello stesso livello, ?re sopracuti compresi. 

     

    “Thaïs” alla Scala “Thaïs” alla Scala

    Anche la presenza scenica è soggiogante, e solo manca al timbro quella sensualità che, per esempio, una Renée Fleming già scassata aveva ancora nel 2008 al Met. Comunque una grande prova, accolta anche dalle urla di uno sconsiderato che chiedeva a gran voce che la Scala le dia quella “Norma” che manca da troppi anni: titolo peraltro che il Tempio, pare, ha deciso finalmente di fare. 

     

    “Thaïs” alla Scala “Thaïs” alla Scala

    Al suo fianco, Lucas Meachem aveva l’ingrato compito di sostituire Ludovic Tézier ammalato: le note di Athanaël ci sono tutte, e sono tante, ma non c’è molto di più. Bravissimo il tenore Giovanni Sala come dissoluto Nicias in smoking glitterato e scarpette rosse con i tacchi (nemmeno a Sanremo…), idem le due colleghe di Thaïs che rispondono ai folli nomi di Crobyle e Myrtale, rispettivamente Caterina Sala (sorella del sullodato tenore) e Anna-Doris Capitelli, la Charmeuse di Federica Guida e insomma tutti.

    “Thaïs” alla Scala “Thaïs” alla Scala

     

    Debutto alla Scala e forse in Italia del grande regista Olivier Py, che ormai ha fatto tutto dappertutto, ma si sa che qui arriviamo sempre con quei dieci-quindici anni di ritardo. Scelta astuta, però, ostenderlo in “Thaïs”: intanto perché lo mette al riparo dai poveroVerdi e salvatePuccini, e poi perché il titolo sembra fatto apposta per lui, che è cattolicissimo e gayssimo (e anche bravissimo e pure simpaticissimo). 

    lorenzo Viotti lorenzo Viotti

     

    E infatti l’ironia sulfurea di France è tornata alla grande: per dire, gli anacoreti del deserto sono soldati dell’Esercito della Salvezza e i loro accoliti più attratti dalla zuppa che dal cilicio (non si capisce però perché il servo di Nicias non voglia far entrare in casa Athanaël che invece che stracciato e puzzolente si presenta in impeccabile cappotto minimalchic da regia “moderna”). 

     

    oliver py oliver py

    Rimane il solito problema di quest’opera: banchetti e orge e zozzerie varie sono molto più spendibili delle devozioni, e infatti Thaïs muore banalmente sul lettone duettando con Athanaël che le cinge le spalle come qualsiasi Mimì zeffirellata. Ma nel complesso ci si diverte assai. Non c’è stato nemmeno l’atteso scandalo. 

     

    Paolo Besana, capoufficio stampa della Scala, che conosce il mestiere e i suoi polli, aveva inserito nel programma di sala un foglio volante con le due tentazioni di Sant’Antonio, una di Grünewald e l’altra di Rops, riprodotte da Py nei momenti più risqué: come dire, prendetevela con loro. Ma non ce n’è stato bisogno. 

     

    “Thaïs” alla Scala “Thaïs” alla Scala

    Certo, il palcoscenico è pieno di bonazze/i e anche bonazz* seminudi; e poche volte alla Scala si sono viste tante tette & culi. Però, vuoi per la loro notevole qualità, vuoi perché “Thaïs” non la conosce nessuno, nessuno hanno scandalizzato (per la cronaca c’erano, ma non troppo esibiti, anche due lati A maschili). È finita invece nel godimento generale e con moltissimi applausi, specie per Rebeka e Viotti: a tarallucci e divino, insomma. Io ci torno.

     

     

     

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