Maurizio Crippa per www.ilfoglio.it
maurizio crippa
L’avvertimento è necessario, prima che i twittaroli o i pensosi colleghi inizino a misinterpretare: questo articolo non parla di calcio, non è un cazzeggio sulle regole, non cavalleresche, della tifoseria. E’ un articolo politico. Per meglio delimitare il campo di gioco: avessi voluto ridere sul tifo, per gusto di irritare ancora un po’ i nervi dei gobbi già messi a dura prova dallo strapotere mediatico (non calcistico eh, tranquilli) di José Mourinho, avrei ad esempio raccontato questo.
Che la sera precedente in settanta e passa mila del popolo Bauscia abbiamo assistito a orecchie basse all’esibizione di superiorità di una élite del calcio mondiale, che ha dato una lezione a una scalcagnata internazionale poco sovranista e passata da tempo in mani cinesi. Senza insultare, però. Quando l’avversario è di un altro pianeta, va riconosciuto. Strapazzato all’Old Trafford, Mourinho fece un gesto-sfottò da tifoso. Quello che è avvenuto mercoledì sera allo Stadium è diverso. L’hanno insultato per tutto il tempo – avrebbe potuto accadere in qualsiasi stadio, almeno italiano – e alla fine, vittorioso per caso, ha messo la mano all’orecchio. Punto. Ora spieghiamo perché è una cosa diversa.
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Allo stadio il popolo, inteso noi tutti, o per meglio dire la plebe che alberga in noi, va per sfogarsi. Il tifo è questo. Insultare senza freni inibitori l’avversario. Espettorare senza ritegno quando fanno gol i tuoi. Il calcio è questo, un derivato delle guerre tribali. Allo Stadium il popolo ha insultato Mourinho, per noti motivi che esulano dal fatto che la squadra di Torino sia oggi molto più forte di quella di Manchester. Qualcuno su Twitter, riprendendo il pensiero di qualche sapido analista, ha scritto che Mourinho facendo quel gesto si è posto allo stesso livello degli ultras ignoranti, e invece servirebbe un antidoto al populismo. E’ vero il contrario. Mourinho ha mostrato di essere l’esponente di una élite. E’ l’uomo, piaccia o no, che da quindici anni domina il calcio e soprattutto la comunicazione sportiva globale. Insomma non è uno “come loro”, per quanto antidemocratico possa essere. Ha portato la mano all’orecchio: io sono qui, e voi tornate a casa. Solo commentatori incapaci di comprendere, ma da sempre proni a vellicare le ragioni “della gente”, come al Barsport Rai, è sembrata una provocazione.
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In realtà Mourinho ha fatto qualcosa di prezioso in tempi in cui le classi dirigenti fanno retromarcia di fronte alle orde di elettori bolsonari. Ha detto: avete usufruito dei vostri 94 minuti di insulto, ora lo show è finito, fate silenzio. Perché io sono diverso da voi. Esercito un potere su quello che voi potete solo guardare. Guadagno molto di più di quello che voi possiate sognare. Decido le regole che voi potete solo rispettare. E’ stato come Macron col ragazzino petulante: attraversa la strada e trovati un lavoro, e dammi del lei. E’ stato come la Fornero con i bamboccioni choosy, come Burioni con gli antivaccinisti. E’ stato come qualsiasi rispettabile esponente politico, o professore di scuola, che alla canea urlante oppone un no. E rimette il mondo per il suo verso sul suo piedistallo. Per Oscar Wilde, il calcio era un’ottima soluzione per tenere i teppisti lontani dal centro il sabato pomeriggio. Ai tempi antichi, la plebe sbavava i suoi peggiori istinti mentre Nerone offriva loro la dose settimanale di gladiatori che si sgozzavano. Ma poi andavano a prendersi la Metro B alla fermata Colosseo. E non parlavano più, non commentavano. Non avevano diritto di votare la Raggi. Che la democrazia sia sopravvalutata è un’affermazione rischiosa che all’interprete di Frank Underwood non ha portato bene. Ma c’è un membro dell’élite europea che ha ricordato che non si deve avere paura di riprendersi in mano il gioco, quando finiscono i 90 minuti di libero rutto populista.
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