Francesca D’Angelo per la Stampa- Estratti
max pezzali mauro repetto
A Parigi è sera. (...)Un bicchiere di vino, qualche risata, il suono distante della musica. Qualcuno canta. Molti, tra poco, balleranno. Ed è in questo brulichio festoso di vita, così familiare e al contempo nostalgico, che Mauro Repetto ha scelto di vivere: ha messo su famiglia nel quartiere della Bastiglia, «il ventre molle della città», come lo chiama lui, «cuore della movida».
Ha una moglie, due figli di 16 e 17 anni, un bell’appartamento «haussmaniano, tipico parigino», e un lavoro stabile come Event Executive alla Disney. Eppure non può rinunciare alla magia delle serate parigine: «Mi piace sentirmi accarezzato dalla movida: ascoltare il chiacchiericcio vivace per le strade, mentre torno a casa, e addormentarmi con quel brusio nelle orecchie».
mauro repetto cover
Un mondo - quello della notte e della musica - che lui conosce molto bene. Perché se Max Pezzali era (ed è) la super star degli 883, Mauro Repetto è invece la leggenda vivente: il “biondino” che negli anni 90 ballava, dimenandosi, dietro a Pezzali, e che poi ha improvvisamente mollato tutto, all’apice del successo. C’è chi lo dava per morto, chi spergiurava di averlo beccato vestito da Pippo a Disneyland, chi come clochard per le strade di Parigi.
«Non è successo nulla di tutto ciò. Non giro di notte, con Jim Morrison, per le tombe dei cimiteri parigini, e non ho nemmeno mai buttato tutti i vestiti giù dalla finestra del decimo piano, nel rabbioso pentimento di aver lasciato gli 883».
mauro repetto
Per certi versi è come se il mondo, che del successo ha fatto il proprio faro, non gli abbia mai perdonato di aver gettato tutto al vento: Repetto non poteva, semplicemente, «volere altro», come sostiene. Ci doveva per forza essere qualcosa sotto: un mistero, un segreto, un litigio. «Quindi, sì: alla fine sono diventato una leggenda metropolitana».
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Oltre ai sogni, non sono mancati gli errori, come la droga: «Pensavo mi potesse dare qualcosa in più, invece toglie e basta. A 16 anni, ho fumato eroina in discoteca rischiando di morire. Da allora non ho più toccato nulla».
Nessun rimpianto invece per l’addio all'Italia: «Soddisfatta la voglia di musica pop, ho puntato verso un nuovo desiderio: il cinema e il grande sogno americano». Parte quindi alla volta di Hollywood, complice anche una cotta per una modella ballerina («era bellissima, forse puntai un po’ troppo in alto…»), ma non succede nulla. «Frequentavo la stessa palestra di Brad Pitt: all’epoca non era ancora esploso, quindi non poteva darmi agganci».
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Così, si trasferisce a Parigi e resetta tutto, partendo da zero: inizia da figurante a Disneyland Paris, ma viene subito promosso a event executive. Per vent’anni va avanti così, sbirciando la movida dai vetri di casa, finché non incontra per caso il regista Stefano Salvati e il desiderio si riaccende: arrivano il libro autobiografico Non ho ucciso l’uomo ragno (Mondadori) e, prossimamente, uno spettacolo teatrale.
«La vita è come una partita di calcio: per fare anche solo un gol, devi prima creare mille occasioni. Da credente, penso che il regalo più grande di Dio sia stato darci il libero arbitrio: il bello della vita è proprio questo slalom, continuo, tra scelte ed errori». E se chiedi a chi, tra lui e Pezzali, alla fine sia andata meglio, risponde: «Come punti in classifica, Max è il Manchester City e io il Genoa. Ma quello che conta è altro: trovare il proprio sole, provare a vivere».
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