Marco Carta per “il Messaggero”
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Dagli anni Settanta al fianco della Banda della Magliana: «Si sono fatti strada recuperando crediti per loro». Fino a oggi: «A Roma nessuno gli si mette contro». Perché i Casamonica non sono semplicemente uno dei tanti clan che si sono spartiti la Capitale. Ma i padroni incontrastati dell' area che si estende lungo la Tuscolana: «Abbiamo le regole come i calabresi, siamo come gli Ndranghetisti».
A raccontarlo è stato ieri il collaboratore di giustizia, il calabrese Massimiliano Fazzari, sentito come testimone nel maxiprocesso al clan che vede 44 imputati con accuse che vanno dall' associazione mafiosa dedita al traffico e spaccio di droga, all' estorsione, l' usura e detenzione illegale di armi. «C' è forse qualche gruppo che potrebbe fronteggiarli ma piuttosto che andare in perdita non lo fanno o ci si mettono d' accordo. Sono tanti, tu ti presenti con 6 persone e loro tornano con 20».
guerino casamonica
LE DICHIARAZIONI Rispondendo da una località protetta alle domande del pm Giovanni Musarò, Fazzari ha fatto riferimento alla forza intimidatoria della famiglia sul territorio. «Si definivano mafiosi. Per il rientro nel vicolo di Porta Furba di Simone Casamonica dopo la scarcerazione ci fu un' accoglienza stile Gomorra tra applausi e clacson suonati. Arrivò in macchina sgommando. Come un boss», ha ricordato il pentito. «Io ero sul balcone e i clacson si sentivano prima che imboccassero il vicolo, quando erano ancora sulla Tuscolana. Ad eccezione di chi era in carcere quel giorno c' erano tutti. Accolto come un eroe».
LA FELPA DEI CASAMONICA
Fazzari ha ricostruito le dinamiche con cui era gestito il business dell' usura della famiglia, soffermandosi su Massimiliano Casamonica. A lui si era rivolto per avere un prestito di 5mila euro. Le regole sono chiare: «L' amicizia è l' amicizia e i soldi sono i soldi. Se non rispetti i patti poi si rovina pure l' amicizia. Per un rapporto di amicizia, invece del 20 per cento al mese, mi accordo il 10 per cento, quindi 500 euro al mese di interessi». A gestire il denaro da prestare a strozzo, un tesoretto che ammontava a un milione di euro nascosto a Porta Furba, come emerso nell' interrogatorio, sarebbe stata però Stefania Casamonica, detta Liliana.
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«Quando abbiamo iniziato a non pagare gli interessi, sono iniziate le minacce telefoniche per avere indietro i soldi. C' era il timore che potesse accadere qualcosa e ci siamo allontanati da Roma. Ho anche pensato di scendere in Calabria per risolvere il problema in maniera diversa».
Tanti secondo Fazzari sarebbero stati gli intrecci intessuti nel tempo con le altre organizzazioni criminali. «Vittorio (i cui funerali nel 2015 vennero celebrati a Don Bosco) lo chiamavano il re. Mi dissero che si sono fatti strada facendo recupero crediti per la banda della Magliana». Inoltre «ci sono stati episodi in cui mi è stato raccontato di rapporti con i Nirta, la cosca di San Luca».
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