theresa may
Cristina Marconi per Il Messaggero
Theresa May nel mirino di un lupo solitario di matrice Isis. C'era un piano per uccidere la premier britannica proprio in casa sua, al n.10 di Downing Street. Sventato, per fortuna, dall'Intellingence. Lo ha rivelato ieri il direttore dei servizi britannici MI5, Andrew Parker, presentando al governo un rapporto sul terrorismo islamico. Il piano, sventato pochi mesi fa, era stato ideato da un lupo solitario. L'uomo aveva in mente di far esplodere un ordigno rudimentale di fronte al 10 di Downing Street, per poi cercare di accoltellare la May nel caos che ne sarebbe seguito.
In questi giorni però le preoccupazioni della premier sono tutte relative alla Brexit. Mentre lotta contro il tempo sperando di poter tornare a Bruxelles già oggi o domani, Theresa May sa che il nemico non è sul continente, ma nel suo stesso paese, e il mancato accordo con il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker non è che la punta dell'iceberg di enormi problemi di politica interna che, dopo diciassette mesi in cui la complessità della Brexit è stata sottovalutata, rischiano di esplodere ora.
THERESA MAY
A partire dal nodo irlandese che vede gli unionisti del DUP fermamente opposti a qualunque soluzione che, per evitare una frontiera fisica con la Repubblica d'Irlanda, renda le regole in vigore nell'Ulster diverse da quelle del resto del Regno Unito, ponendo le basi per un isolamento che Belfast teme molto. E che fa arrabbiare anche i conservatori pro-Brexit, i quali chiedono alla May di abbandonare il tavolo negoziale a meno che non sia Bruxelles a fare finalmente delle concessioni.
LA FRONTIERA
La posizione di Belfast è stata espressa vigorosamente dalla leader Arlene Foster nel corso di una telefonata alla May mentre era in trattative con Juncker ed è stata ribadita ieri dal capogruppo del partito, i cui dieci deputati sono cruciali per la sopravvivenza del governo. Nigel Dodds ha detto che non accetterà nessun accordo in cui l'Irlanda del Nord resterà nel mercato unico o nell'unione doganale e ha accusato la Repubblica d'Irlanda, che ha il diritto di veto sull'accordo raggiunto, di «mostrare i muscoli» con un comportamento «irresponsabile e pericoloso».
THERESA MAY
Toni che, considerando la violenza che ha attraversato l'isola per trent'anni e che si è interrotta con gli accordi del Venerdì Santo del 1998, suonano ancora più sinistri. «In assenza di soluzioni concordate, il Regno Unito assicurerà l'allineamento regolatorio continuativo con le regole del mercato interno e dell'unione doganale che, ora o in futuro, sostengono la cooperazione tra Nord e Sud e la protezione dell'accordo del Venerdì Santo» è il testo che la May ha presentato a Juncker. E che, oltre ad aver suscitato le ire della Foster, ha acceso anche le fantasie dei rappresentanti di Scozia, Galles e del sindaco di Londra Sadiq Khan che hanno chiesto di poter far parte anche loro del mercato unico. La scaltra tory scozzese Ruth Davidson ha scelto un tono diverso per esprimere il suo sostegno: «Non lasciamo indietro una parte del paese, se una cosa va bene per l'Irlanda del Nord, deve andare bene anche per la Scozia e per il Galles».
Per riparare al fatto di aver indicato una via per accedere surrettiziamente al mercato unico, il ministro della Brexit David Davis ha ammesso che il governo sta cercando un «allineamento regolatorio» su alcuni punti con Bruxelles, sottolineando che «questo non vuol dire avere esattamente le stesse regole», pur valendo comunque per l'intero paese. Su queste sottigliezze linguistiche e diplomatiche poggia la possibilità di tornare a Bruxelles con un accordo. Ma la figuraccia di lunedì non è passata inosservata. Per Iain Duncan Smith, ultraeuroscettico, spetta però a Bruxelles riconoscere che Londra non metterà una frontiera fisica in Irlanda.
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