Ettore Livini per "Venerdì - la Repubblica"
sciopero e proteste ita alitalia 1
Volare sì, ma nel blu dipinto di rosso, quello dei conti. I 74 anni di storia di Alitalia sono una sorta di manuale di economia applicata al contrario. Dove tutto quello che poteva non funzionare non ha funzionato.
I numeri sono pietre: i bilanci della compagnia di bandiera hanno chiuso in utile solo tre volte in tre quarti di secolo. I contribuenti italiani hanno speso 13 miliardi di euro per provare a tenerla in volo, senza riuscirci.
HOSTESS ALITALIA IN GIORGIO ARMANI
Lo Stato (che l'ha gestita dal 1946 al 2008) non è mai riuscito a farla funzionare. Affidarla alle cure dei privati è servito a poco, visto che anche loro hanno perso 3,3 miliardi di euro in un decennio. Nel 1965 l'aerolinea tricolore era il settimo vettore mondiale e aveva dimensioni superiori a Lufthansa. Oggi i tedeschi sono sette volte più grandi e il numero uno dei cieli italiani è Ryanair (39 milioni di passeggeri contro i 21 di Alitalia).
etihad alitalia
Cosa è successo? Perché la nostra compagnia ha perso miliardi e quote di mercato anche quando i rivali guadagnavano milioni di euro? Questione di scelte sbagliate o mancate. Eccole.
Liberalizzare stanca
Il primo treno perso dall'Alitalia, il più importante, è quello della liberalizzazione del mercato. Fino a fine anni Sessanta, il trasporto aereo era un mosaico di monopoli nazionali. Il nostro vettore controllava l'80 per cento del traffico domestico e il 40 di quello da e per l’estero.
ALITALIA EASY JET
E solo le manìe di grandeur dell'Italia degli anni del boom e la gestione un po' parastatale impedivano allora di chiudere i conti in attivo. Il vento però, poco alla volta, ha iniziato a girare: negli anni Settanta gli Stati Uniti hanno aperto alla concorrenza il mercato interno.
La Gran Bretagna di Margaret Thatcher ha seguito a ruota privatizzando British Airways, l'Europa ha lanciato un programma per la liberalizzazione completa entro il 1997. E le regole di ingaggio dei cieli globali sono cambiate: la concorrenza ha fatto crollare costi dei biglietti e guadagni con i fallimenti di grandi nomi come Pan Am e Twa.
Ita Alitalia piloti 3
Gran parte delle aerolinee si sono adeguate a questa nuova realtà investendo per crescere, cercando capitali sul mercato e alleandosi tra di loro. Alitalia no. Il controllo statale era un dogma. Le alleanze erano tabù. E tra il 1970 e il 1990 la nostra compagnia è cresciuta a un terzo del ritmo dei rivali continentali.
Meglio il divorzio
Il tempo per recuperare parte del terreno perduto c'era però ancora. Il governo Prodi nel 1996 colloca in Borsa il 37 per cento della compagnia e ne affida la cloche come ad a Domenico Cempella.
AEREO ALITALIA
Il mercato tirava ancora, il neo manager riporta sotto controllo i costi e per tre anni consecutivi l'azienda riesce a chiudere i conti in attivo, aprendo un tavolo per la fusione con gli olandesi di Klm e inaugurando un hub nel ricco mercato del Nord a Malpensa, previa chiusura di Linate.
La strada, con il senno di poi, l'hanno ammesso tutti, era quella giusta. Le scelte sembravano vincenti. Peccato non ne sia andata in porto nessuna. La politica e le lobby interne all'azienda hanno faticato a digerire la spartizione di potere con Amsterdam. Linate non ha chiuso. Fiumicino ha remato contro il lancio di Malpensa.
LOUNGE ALITALIA
E nel 2020 gli olandesi, esasperati, hanno chiesto il divorzio accettando di pagare 150 milioni di euro pur di tornare single, uscire dal pantano italiano e accasarsi felicemente con Air France.
Silvio inizia a volare
Alitalia, a quel punto, doveva ripartire da zero. Era troppo grande e strutturata per competere con le low-cost e troppo piccola per la sfida del lungo raggio. Né carne né pesce. E ha provato a rimediare agganciandosi a una delle grandi alleanze tra vettori nate in quegli anni.
ALITALIA
Facendo l'ennesima scelta sbagliata: a luglio 2001 è entrata in SkyTeam, l'asse con Delta, Air France e Klm. Ma essendo l'ultima arrivata, ha accettato di perdere 1,5 miliardi di euro di voli intercontinentali dall'Italia (tagliando i servizi) per veicolare il traffico a lungo raggio verso Parigi e Amsterdam. Rinunciando a parte delle tratte più redditizie.
L'11 settembre di quell'anno, con l'attentato alle Torri Gemelle, il trasporto aereo mondiale è andato sotto choc. Le compagnie aeree mondiali hanno perso soldi per cinque anni di fila. Chi aveva le spalle forti poteva permettersi di curare le ferite con il fieno messo in cascina negli anni di vacche grasse. Alitalia no.
alitalia
I conti sono sempre stati in rosso, Ryanair e Easyjet stavano rubandole il mercato interno, abbassando le tariffe a livelli che lei non poteva permettersi. E il nuovo governo Prodi nel 2007 ha raggiunto un accordo per cedere la compagnia ad Air France, un modo per passare l'onere di risanarla - spese comprese - ai transalpini.
manifestazione dei lavoratori di alitalia a roma 15
Fine dell'incubo? No. Di mezzo, questa volta, si è messo per motivi politici Silvio Berlusconi. In calendario c'erano le elezioni. Il Cavaliere ha lanciato lo slogan "Io amo l'Italia, io volo Alitalia", tuonando contro la cessione agli stranieri. E una volta uscito vincitore dalle urne ha dato il benservito a Parigi affidando la compagnia (nel frattempo finita in amministrazione straordinaria dopo il crac Lehman) al Progetto Fenice, una cordata di imprenditori - spesso in affari con lo Stato su altri fronti - inesperti di aeronautica e coordinati da Banca Intesa.
Capitani coraggiosi
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L'obiettivo era far rinascere la società molto più piccola di prima (poco più di 3 miliardi di fatturato contro i 6 del 2000) con un nuovo piano industriale. Unico problema: il piano era sbagliato. Si concentrava sui tagli di costi del personale che non erano poi molto diversi da quelli dei rivali e dimenticava le rotte intercontinentali per concentrarsi sul medio e breve raggio dove le compagnie a basso costo dettavano ormai legge.
E scommetteva sulla Roma-Milano, all'epoca la rotta più redditizia d'Europa, proprio alla vigilia del boom dei Frecciarossa. Risultato: dopo cinque anni di perdite i "capitani coraggiosi" hanno passato il cerino (alias il 49 per cento del capitale) agli emiri di Etihad. Ma le strategie non sono cambiate. Tra il 2009 e il 2018, un decennio in cui le aerolinee mondiali hanno guadagnato 196 miliardi di dollari, Alitalia ha perso un milione al giorno.
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E alla fine è tornata in amministrazione straordinaria. Con due paradossi: il primo è che nei nove anni di gestione privata lo Stato ha dovuto sborsare tra ammortizzatori sociali e prestiti ponte mai rimborsati, 5 miliardi di aiuti. Il secondo è che la crisi della compagnia non ha minimamente frenato la crescita del trasporto aereo nel nostro Paese.
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Nel 2019 (ultimo anno a pieno regime per il traffico nei cieli) i passeggeri passati negli aeroporti tricolori sono stati 191 milioni, quasi il 50 per cento in più del 2008.I viaggiatori, insomma, sono di più. Ma non salgono a bordo di aerei Alitalia: la ex compagnia di bandiera garantisce solo il 7,7 per cento del traffico internazionale da e per il nostro Paese.
il personale alitalia
Anche sui voli interni, ormai, è stata superata da Ryanair. Ora il testimone (pare) passerà a Ita, puntellata da altri 1,4 miliardi di soldi pubblici. Ma senza idee chiare, piani giusti e alleati all'altezza della sfida, il rischio che l'eterna telenovela di Alitalia si ripeta uguale a se stessa come in un infinito giorno della marmotta è molto alto.