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Enrico Arosio per "l'Espresso"- Foto Di Nello Di Salvo
Cinquant'anni fa l'Aga Khan inventò la Costa, un angolo di turismo cosmopolita in una Sardegna selvaggia. Il santuario di vacanze discrete, da Margaret d'Inghilterra a Ringo Starr. Ecco le immagini della nascita e degli anni d'oro. Prima che calciatori, veline e mega-yacht la trasformassero nel simbolo dell'estate cafona
Non c'era asfalto, nel 1962, quando tutto ebbe inizio. Le strade erano piste di terra battuta piene di buche. E Karim Aga Khan, principe ismailita, poliglotta, viveur e tuttavia astemio, la sua Maserati non la poteva usare. Si era fatto portare una Volkswagen 1500 S da Gstaad, imbarcandola a Civitavecchia, su un traghetto per Olbia che era «come l'Orient Express».
Karim aveva 26 anni e laurea a Harvard, girava con una baronessa ventenne, Anoushka von Mehks, e aveva tanti soldi in tasca: il papà era il leggendario Aly Khan, principe di dinastia persiana, ambasciatore del Pakistan all'Onu, ex marito di Rita Hayworth; la madre Joan Yarde-Buller, nobiltà inglese, ex moglie di un magnate Guinness.
In due parole, la Costa Smeralda fu un'invenzione cosmopolita. Figlia di un jet set avventuroso e amante della natura. Solo il nome, "Costa Smeralda", lo creò un italiano, l'architetto Luigi Vietti, lo stilnovista di Porto Cervo, che all'Aga Khan costruì le ville Le Cerbiatte. Sono ancora lì in quello che allora era un fiordo vergine, nascosto da un imbocco di appena cento metri che arrivando dal mare si palesava solo all'ultimo. Tra i primi scopritori del nord Sardegna era stato l'uomo delle acque minerali, Giuseppe "Kerry" Mentasti, che veleggiando con la sua Croce del Sud, schooner a tre alberi del 1933, si era comprato l'isola di Mortorio, di fronte, tuttora apprezzata per i fondali popolati di cernie.
Ma i firmatari dell'atto costitutivo del Consorzio, nel marzo 1962, erano tutti stranieri: con l'Aga Khan, il suo avvocato francese André Ardoin, Patrick Guinness, John Duncan Miller della Banca Mondiale e il giramondo plurietnico René Podbielski. La cui famiglia abitò a lungo una delle prime ville a due passi dall'acqua, di fronte all'hotel Pitrizza, e il cui figlio, Pierre-André, mercante di arte contemporanea tra Milano e Berlino, dice oggi: «Quel mondo non c'è più, e non rinascerà . La Costa è decaduta e c'è molto malcontento. Forse l'ultima scommessa sta nell'emiro del Qatar». L'emiro Al Thani, che dall'americano Tom Barrack ha comprato le grandi infrastrutture, alberghi, golf, marina.
La Costa Smeralda compie 50 anni, e le foto d'epoca di Nino Di Salvo pubblicate da "l'Espresso" sono un amarcord sorprendente; ma non celano la viva preoccupazione che aleggia oggi. Quando a inizio primavera la proprietà Barrack invitò l'Aga Khan a prender parte alle celebrazioni, il principe declinò senza esitazioni, sul tono del "con voi no". L'imbarazzo aleggia sullo stesso cocktail voluto il 14 agosto da Tom e Laurel Barrack all'hotel Cala di Volpe per festeggiare il libro fotografico sui 50 anni, edito da Rizzoli, che reca in copertina la foto di Dolores Guinness, incantevole icona degli esordi.
Nata Maria Agatha Wilhelmine von Fürstenberg-Herdringen, gran chioma e pantaloni capresi, sullo sfondo il Cala di Vope di lord e banchieri fresco di costruzione con le forme scultoree volute dallo svizzero francese Jacques Couelle. Interpellato, suo figlio Savin Couelle, 83 anni, dice: «L'idea del principe fu una visione armoniosa. Ma i ricchi di oggi, lasciamo perdere. Mio padre non si riconoscerebbe più. E neanch'io, che ormai frequento solo pochi vecchi amici, e non voglio dire cattiverie». No, non è facile resuscitare i paradisi perduti.
«Dolores Guinness veniva da me a cena quando qui c'era una stradina polverosa in mezzo alla macchia», ricorda Susan Frances. «Qui» è il suo ristorante Rosemary, nato nel 1969 sul colle di Liscia di Vacca, con celebre terrazza tra i lentischi rivolta al tramonto. à l'ultimo ristorante, cucina anglo-indiana-gallurese, che serba lo spirito delle origini. Molto, molto prima che piombassero Bossi in canottiera, i calciatori in moto d'acqua, i Lele Mora e i Corona, le stelline e olgettine che hanno confezionato la Costa Cafona.
Susan Frances era grande amica di Rafael Neville de Berlanga, creativo anglo-spagnolo figlio di un diplomatico che in quei tempi lontani creò, più a nord, Porto Rafael. «Eravamo pionieri», dice Susan, «come spesso lo sono gli inglesi. Rafael vendeva i terreni in spiaggia. Sembrava di vivere in un rifugio nella natura. No, non voglio parlare dei calciatori. Sono sopravvissuta perché evito di giudicare: ma il dispiacere resta». Susan presto lascerà il Rosemary, dice.
Toni severi da Lawrence Camillo, l'anglo-australiano della Porto Cervo Real Estate, depositario di molti segreti sulle compravendite di proprietà importanti: «Il mercato è tuttora internazionale, con meno europei e più extraeuropei. Ma ora speriamo tutti nella Qatar Investment. Il declino del Consorzio è evidente.
L'era Barrack è stata la peggiore: stagione breve, prezzi sbagliati, infrastrutture superate, poca cultura ambientale. Il paradosso, quest'estate, è che essendo mancato il turismo medio, a causa della crisi, sembra di esser tornati ai vecchi tempi: meno gente, e vestita meglio». Malgrado la crisi, per cui molti proprietari temono il deprezzarsi del proprio investimento, per una villa di fascia bassa la valutazione è sui 3 milioni, per la fascia media sui 5, per il livello top, quello degli oligarchi russi per capirci, è dai 30 milioni in su.
Nel mirino di molti, tra i 3.800 proprietari del Consorzio, c'è il loro presidente, l'avvocato Renzo Persico, voluto da Franco Carraro, a sua volta garante del prestito della Mediobanca di Cesare Geronzi alla Colony Capital di Barrack. «Un presidente indagato per abuso edilizio in casa propria», si mormora a Porto Cervo. Il bello è che chi mormora, magari, il suo abusino l'ha già fatto.
Le foto di queste pagine evocano un clima irripetibile: giovani, ricchi, capricciosi, floreali, l'arietta fresca degli anni Sessanta, quando l'economia tirava in tutta Europa e la Sardegna era una scommessa. I fortunati timonavano barche da leggenda: il Tamory di Vietti, il Benbow dei Recchi, lo Stormvogel olandese, ben prima dei vascelli da cento metri dei magnati russi.
Una delle meraviglie era l'Amaloun dell'Aga Khan, un velocissimo motoryacht di appena (per i criteri di oggi) 72 piedi. Nell'estate del 1964, l'anno di "A Hard Day's Night" dei Beatles, l'Amaloun prese una secca vicino a Mortorio e fece un mezzo naufragio. A bordo c'erano Margaret d'Inghilterra e Lord Snowdon: niente panico, si salvarono a remi a bordo del tender. Per dire, nel 1997 in quel prestigioso tratto di mare affondò il motoscafone di un comico, Beppe Grillo, oggi eroe della politica italiana come fustigatore dei privilegi.
Quelle poche decine di chilometri che sono la Costa Smeralda strettamente intesa (Berlusconi a Punta Lada, per capirci, ne è fuori) rappresentano la scommessa di sviluppo della Qatar Investment, che dovrà duramente negoziare con le autorità sarde. In mezzo secolo il concetto di lusso è mutato. Dal Maggiolino cabriolet ai jet privati. E così i protagonisti: da Marisa Berenson a Flavio Briatore, da Sean Connery a Vladimir Putin, da Ringo Starr a Roberto Formigoni, dal premier britannico John Major a Victoria Beckham, da re Juan Carlos di Spagna all'eurodeputata Licia Ronzulli.
Ai tempi, l'Aga Khan si seccava se i giornali parlavano del suo investimento come del «paradiso dei milionari» o del «covo dei playboy». Lui era anche un lavoratore. Discuteva per ore di graniti con i capimastri sardi, mentre Bettina, la musa di Jacques Fath divenuta la fiancée del padre Aly Khan, camminava scalza sugli scogli. Si ballava nelle ville a fiumi di champagne, dal Pescatore nel fiordino di Porto Cervo, si mangiava la pizza mezzi nudi e Giorgio Armani in perizoma pareva un satiro danzante. L'Italia della bandana non era ancora arrivata. Ma arrivò.
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