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Stefano Zurlo per il "Giornale"
Le vie di Roma. La guerra. I bombardamenti. E episo¬di su episodi impilati, anzi accatastati gli uni sugli altri, fino a stipare all'inverosimile le stanze della memoria. Si parte nel 1940, in realtà molto prima, e si arriva fi¬no al 1999, alla fine del ventesimo secolo. Paolo Guzzanti torna in¬di¬etro e ci offre con il suo ultimo li¬bro Senza più sognare il padre (Ali-berti editore), la sua monumenta¬le autobiografia, in verità uno zi¬baldone ricchissimo e debordan¬te di storie, volti, pezzi della vita politica del Paese.
La prima pagi¬na mescola già pubblico e privato e porta le bombe, quelle, terribili del 19 luglio '43 quando il quartie¬re San Lorenzo va in fumo. Una tra¬gedia nazionale, ma anche un dramma privato: il bambino, che abita non lontano, sente tutto e re¬sta segnato da quella carneficina: «Ero riarso, smarrito e disidrata¬to. Feci pipì nel vaso e la bevvi». Non ci sono mediazioni o com¬pensazioni.
La colonna sonora con cui salutare l'in¬gresso nell'esi¬stenza è quella della strage scan-dita dai sibili, dal¬le sirene, dalle ur¬la di disperazione.
Poi quella stagio¬ne finisce e il giovane Guzzanti cresce den¬tro una cornice affolla¬ta e frequentata da mol¬ti personaggi famosi. Del resto se il primo ricordo è la storia che piove dal cielo oscuro,fra le prime esperienze c'è l'incontro con Giulio Andreotti. «Quando ero adolescente Andre¬otti capitava a casa per un caf¬fè... ».
I fili che legano Guzzanti al¬la¬ cronaca sono innumerevoli e al¬l'occhio dell'osservatore si unisce la fortuna di essere nato in una ca¬sa strategica. Un vero e proprio crocevia. Così da decenni, da ge¬nerazioni. E risalendo e graffian¬do come un gatto l'albero genealo¬gico, ecco che Guzzanti scova ad¬dirittura l'Andreotti bambino e ne offre un ritratto inedito, tenero e insieme inquietante: «La madre di mia madre, Amalia, e quella di Giulio Andreotti, Rosa, erano e re¬starono amiche per sempre (...). La loro amicizia si estese ai figli: mia madre, suo fratello Fausto, Giulio e suo fratello, erano compa¬gni di giochi».
Sembra di stare nel¬le pagine dell'Antico Testamen¬to, quelle che enumerano i figli della stirpe di Isra¬ele, oppure all'ini¬zio di uno dei grandi romanzi russi, in cui si muovono nonni, padri, figli e la routine vira verso l'epopea. C'è il respiro del tempo e momenti assolutamente irresistibili.
«Giu¬lio - prosegue il narratore - detesta¬va qualsiasi gioco che richiedesse troppo movimento, ma prendeva continuamente appunti perché pretendeva di essere un giornalista che raccontava quel che acca¬deva (...). La madre di Giulio era molto preoccupata per questo fi¬glio strano, enigmatico, osservato¬re e sedentario».
Poi Giulio diventa Andreotti e da Andreotti a Craxi il passo è bre¬ve. Sono i giorni durissimi del se¬questro Moro. Guzzanti è ormai una firma di punta della Repubbli¬ca, ma è in disaccordo più o meno su tutto con Eugenio Scalfari. An¬che sul destino di Moro i due hanno opinioni diverse e Guzzanti sta con il partito della trattativa, gui¬dato da Craxi. «Craxi in via del Cor¬so discuteva sul marciapiede con un enorme impermeabile bianco ripetendo: «Primum vivere».
Guz¬zanti gli va dietro scrive un pezzo in quella direzione: «Scalfari lesse il mio articolo: "Abile", disse e lo cestinò». Poi arriva la notizia terri¬bile del ritrovamento del corpo ma ancora più terribile è la scena che l'autore ricostruisce: «Io ero nello studio di Scalfari e restai pie¬trificato. Poi sentii due lacrime scendermi sul viso. Eugenio com¬mentò: "Su, su! Quello di Moro è un capitolo chiuso, dobbiamo an¬dare avanti"». Agghiacciante. Ma c'è un retroscena ad illumi¬nare i pessimi rapporti del duo Scalfari-Cra¬xi.
à il 1972 e Scalfa¬ri, già deputato, ri¬tenta la strada del parlamento, sem¬pre nel Psi. Gli va storta per l'inter¬vento malandrino di Bettino. Il celebre gior¬nalista parcheggia infatti l'auto davanti alla Stazione Centrale, in divieto di sosta, e litiga con un vi¬gile. Bettino, già suo nemico, intui¬sce e si precipita a portare la noti¬zia del diverbio in via Solferino, al Corriere della sera. «Eugenio - è il racconto di Craxi a Guzzanti - fece una figura orrenda davanti a tutti i milanesi e gli costò la rielezione. Così impara. Quell'ingrato. Ben gli sta».
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