DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
LIBRO FULVIO ABBATE E INTANTO ANCHE DICEMBRE E PASSATO
Fulvio Abbate per “il Garantista”
Il Premio Strega è diventato l’obitorio di ogni fantasia. Bene che si sappia. Ma ora parliamo di me. Ho scelto di fare lo scrittore, non ho scelto di fare il rappresentante, metti, di Smart. Ci sarò una ragione se credo che l’essere artisti significhi innanzitutto lavorare per un umano bradisismo che faccia precipitare ogni luogo comune, ogni ipocrisia, ogni conformismo, che faccia smettere di essere orgogliosi dell’abito della prima comunione o di quello da sposa. Ti suona retorico? Peccato per te.
Mi dirai: ma esistono anche scrittori imbrillantinati e orgogliosi di cenare con le contesse, tipo Alberto Arbasino. Bravissimi, ma teneteveli. Personalmente ho scelto un’altra scuola, anzi, ho frequentato un altro genere di avviamento che assomiglia a una scuola di cavalleria, nel senso della carica, dell’assalto. Il Premio Strega, dunque. Qualche mese fa ho deciso, assolutamente controvento, di autocandidare il mio ultimo romanzo, “Intanto anche dicembre è passato” (Baldini & Castoldi) alla gara che ha il suo atto finale nel cosmodromo del Ninfeo di Valle Giulia, a Roma.
Ho fatto tutto da solo, neppure il mio caro editore si è preso la briga di sostenermi, poco male mi sono detto. E’ il prezzo d’essere pezzi unici, monotipi. Mentre preparavo i banner della battaglia ho provato lo stesso brivido di quando da bambino montavo la pista Policar, mi sentivo alla Targa Florio a bordo di una Porsche azzurra frecciata d’arancione. Sul banner c’è scritto: “Contro la P2 culturale di sinistra sostieni il romanzo di Fulvio Abbate al Premio Strega”. Per farla breve, non sono arrivato alla selezione per la cinquina finale.
Perché? Semplice, può un’istituzione che puntualmente da anni fa vincere Walter Veltroni, o chi per lui per interposti autori e copertine, accollarsi un “ingestibile” (cit.) come il marchese Fulvio Abbate? Ho meditato a lungo se scrivere cacacazzi o piuttosto idiota, perché è proprio il titolo di idiota che spetta, da parte delle anime belle perfino di sinistra, a chi, come il meraviglioso e struggente King-Kong, sceglie il pennone più alto della metropoli per urlare la propria rabbia, ma che dico?, l’amor proprio, il doveroso narcisismo aristocratico che tutti gli artisti dovrebbero custodire come fosse la sciabola di Carlo Pisacane. Ma sono di nuovo precipitato nella retorica, cazzo!
Vi sto annoiando, lo so. Il punto è che ho scelto di fare l’artista, ritenendo che esserlo significhi dotarsi di un piede di porco per forzare gli infissi della realtà, dell’esistente, e non resisterei neppure un istante accanto ai colleghi i cui romanzi sono ricalcati sulle vite di chi trascorre tutte le sere a rivedere la registrazione di Italia-Germania 4-3. La partita, non il film. Il film è previsto per l’indomani pomeriggio, giusto per non fare torto a chi anni fa gli vendette le videocassette.
Va detto però che ho il dovere di ringraziare gli scrittori che mi hanno lasciato solo a preparare la barricata. Grazie infinite colleghi, se sono ciò che soni lo devo anche a voi. Dove eravamo rimasti? Ah, sì, esiste una questione morale anche rispetto alle cose della cultura, una questione morale che vede la sinistra sul banco degli imputati (dalla destra te lo aspetti, per loro è davvero il minimo sindacale) per i reati soliti: clientelismo, sia pure dal volto umano, c’è scritto in cima al faldone degli atti che la riguardano.
E poi va aggiunto che sempre la sinistra ha veramente rotto con la propria supponenza morale, assodato che essere artisti in Italia è pressoché impossibile, visto che il massimo estro consentito inquadra Renato Zero con la paloma blanca che gli caca sulla bombetta. Provo a dirlo meglio? E’ proprio il silenzio (quasi) tombale degli scrittori dinanzi alla mia battaglia contro la miseria culturale del paese, Premio Strega in testa, che mi dà la forza di resistere. Ari-grazie, colleghi.
Non mi interessa intrattenervi sullo specifico della miseria dei premi letterari, sappiate invece che perfino in solitudine, con due legnetti al posto di un intero arsenale, si possono comunque fare molte cose, si può creare un mondo, si può essere felici con il mestiere di scrittore che si è scelto.
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Dai, sarebbe davvero tempo sprecato raccontare lo specifico di un contesto che si distingue per ipocrisia, vuoto di eros, assenza di fantasia; i discorsi sulle case editrici, come sono e come invece dovrebbero essere, lasciamolo ai burocrati del conflitto, in certi casi basta avere imparato, come diceva Pasionaria, ad alzarsi in piedi. Personalmente abbiamo cercato di farlo, abbiamo ripreso la sciabola degli ussari e siamo andati all’assalto. Perché ci piace così, perché essere scrittori è bene assomigli a un mestiere da eroi.
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