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Aldo Grasso per Corriere della Sera
Tutti a casa Giusti, «in difesa del cinema italiano che spacca». Spacca cosa? Ho conosciuto Marco Giusti tanti anni fa. Una volta, Giovanni Buttafava mi mostrò un fumetto artigianale scritto e disegnato da due giovani fratelli: era simpaticamente pieno di porcheriole adolescenziali (rutti, parolacce, tanti altri prodromi della commedia scorreggiona), era dei fratelli Giusti.
L'ho conosciuto nell'età dell'innocenza cinefila, ho netto il ricordo di quando e come è entrato in Rai, ho seguito professionalmente il suo sodalizio (poi frantumato) con Enrico Ghezzi, gli ho sempre invidiato una cosa: l'eterno sguardo adolescenziale con cui segue il cinema.
«Stracult» è una trasmissione di trash consapevole, dove Giusti è il re di un eden cinematografico tutto particolare. I suoi eroi sono Bombolo e Alvaro Vitali, Mario Mattioli e Paolino Ruffini (chiamato a condurre il programma), Nando Cicero e i fratelli Vanzina (Raidue, lunedì, ore 23.31).
I gusti e i giusti non si discutono, anzi. Fra i molti danni dei venerati maestri del cinema «alto» o autoriale del dopoguerra c'è anche quello di averci relegato a una visione tetra dei film, senza il piacere di mescolare, di rovesciare le carte, di nutrire l'inverosimile. Giusti si circonda di complici (i comici Lallo Circosta, Rosanna Sferrazza, Andrea Perroni, Francesco Scimemi, Nicola di Gioia e il rapper G-Max), omaggia Enrico Lucherini (cui non par vero di attaccare i critici cinematografici estranei al suo circuito di realtà finzionale) smarchetta non poco sull'ultimo film di Woody Allen invitando Alessandra Mastronardi, Leo Gullotta (il nuovo doppiatore di Allen) che ormai si esprime con l'italiano di Paolo Bonolis. Finge di essere a casa sua.
Ecco, se un giorno Marco avesse veramente il coraggio di fare un programma da casa sua (un misto di cinefilia, Rai, «manifesto», Dagospia, «Espresso» e altro ancora) riusciremmo a capire fino in fondo l'estetica dello stracult.
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