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Alberto Fraja per “Libero quotidiano”
Fosse vissuto nella seconda metà del ventesimo secolo, ai grandi creativi della pubblicità protagonisti del boom economico, i Codognato, i Carboni, i Nizzoli, i Testa, Gabriele d'Annunzio avrebbe dato le piste.
Fu la sua mente fervida a battezzare prodotti come la penna Aurora, il liquore Aurum e il biscotto Saiwa. Ma anche la catena di negozi Rinascente deve il suo nome all'autore del Piacere. E il Vate fu scelto persino come testimonial dell'amaro Montenegro.
D'Annunzio non fu ovviamente solo un immaginifico creatore di slogan pubblicitari scolpiti su un'infinità di supporti: ex libris, francobolli, medaglie, gioielli, argenteria varia, manifesti, volantini, cartoline, frontespizi, copertine di volumi, ecc.. Fu anche e soprattutto un formidabile produttore seriale e incontinente di motti in italiano- spesso antico- in francese, in spagnolo, ma in prevalenza in latino che, raccolti nel loro complesso, superano il mezzo migliaio.
i motti di Gabriele D'Annunzio
I luoghi del Vittoriale oltre a tutta l'opera in prosa e in versi di Gabriele d'Annunzio, ne grondano. Un aspetto della personalità dell'orbo veggente rimasto fino ad ora in ombra, la cui comprensione necessita di una chiave di interpretazione sia linguistica, sia di contesto.
Da questa esigenza nasce il libro I motti di Gabriele d'Annunzio (Silvana Editoriale, 351 pagine), a cura di Simone Maiolini e Patrizia Paradisi,con introduzione del Presidente del Vittoriale Giordano Bruno Guerri e con un saggio di Francesco Parisi.
LA VOCAZIONE Il volume concentra per la prima volta l'intera storia di questa peculiare vocazione, cercando di ricostruire le motivazioni all'origine della scelta di ciascun motto, oltre alla percezione che suscitavano all'epoca, tra i contemporanei del loro autore. Seguendo il tradizionale percorso di visita del Vittoriale (dalle stanze della Prioria ai diversi siti dei giardini) il saggio illustra via via i singoli motti, estendendo poi la propria indagine oltre fino a schedare - lungo un arco cronologico che copre l'intera esistenza del Vate, con un picco nel periodo gardesano- i motti della Capponcina, di guerra, di Fiume, quelli ideati per gruppi e associazioni fino a quelli, come detto, destinati a prodotti commerciali.
A dire il vero (e la cosa non meraviglia) d'Annunzio disseminava di slogan, iscrizioni, frasi prelevate dall'antichità anche la corrispondenza quotidiana con amici, collaboratori e soprattutto con le amanti. Una fra tutte: Alessandra Di Rudinì Carlotti, denominata dal poeta "Nike", il "miracolo biondo",
«Per d'Annunzio, l'immagine insieme alla parola è più forte, più incisiva - scrive Guerri -, così inizia a creare e a disseminare nelle opere motti e frasi portatori di significato, tanto da farli diventare una costante espressiva nella sua produzione letteraria e nelle sue abitazioni». Ardisco non ordisco. Nec ictu, nec igne. Nec ferro nec amma. Quies in sublimi, Semper adamas. Humilia despicit. Eppoi i più noti: Memento ardere semper. Navigare necesse. Io ho quel che ho dato. «Il gran numero di scritte e simboli sono spesso criptici e per nulla facili da capire- spiega Maiolini -.
Una sorta di intrigante mistero da svelare e interpretare tenendo conto del luogo in cui il poeta li ha collocati e delle fonti a cui ha attinto, che sono perla maggior parte testi rinascimentali su imprese ed emblemi, cioè immagini e simboli, accompagnate da uno scritto, molto usati in quel periodo dalle classi più colte». Missione di tali ipse dixit era quella di dichiarare un ideale, una intenzione, uno stile di vita, una linea di condotta del committente.
«Resta il fatto che, per la maggior parte, questi motti sono criptici - aggiunge Maiolini -. Quale poteva essere allora la motivazione per una simile ricerca e per l'adozione di questi motti? La spiegazione probabilmente può venire dagli stessi autori rinascimentali da cui d'Annunzio ha attinto: "I più antichi et più savi scrittori hanno sempre avuto in costume di raccomandare à loro scritti i secreti [...] sotto oscuri velami, acciocché non siano intesi se non da coloro i quali hanno orecchie da udire, cioè [...] siano eletti ad intendere i suoi misteri". D'Annunzio voleva che solo gli eletti potessero capire i suoi messaggi».
FRAINTENDIMENTI La diffusione che i motti di d'Annunzio hanno oggi in internet (fenomeno in qualche modo impressionante, e imprevisto per chi usa e frequenta il mezzo con altri scopi), a parere di Patrizia Paradisi, da un lato dimostra il successo e la pervasività che ancora oggi, a distanza di un secolo dall'insediamento di d'Annunzio sul lago di Garda, anche questo suo particolare tipo di scrittura aforistica,
in italiano e più spesso in latino, criptica ed enigmatica, continua a incontrare presso un pubblico eterogeneo, molto più vasto degli specialisti e degli addetti ai lavori «fino a costituire una specie di moda, o trend, culturale; dall'altro, però, tale indistinta diffusione in rete è direttamente proporzionale all'approssimazione e alla genericità con cui i motti sono interpretati e spiegati, con definizioni che si ripetono acriticamente di sito in sito.
Soprattutto i motti latini sono stati per lo più fraintesi, con traduzioni spesso non corrette e nel complesso poco fedeli, prive della necessaria contestualizzazione storico-letteraria". Il libro verrà presentato domani, in occasione dell'evento Forme uniche di continuità nel tempo", al Vittoriale.
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