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Estratto dell’articolo di Giovanni Berruti per “la Stampa”
I Bastardi di Pizzofalcone, il Commissario Ricciardi, Un professore. Alessandro D'Alatri, morto ieri a 68 anni dopo una lunga malattia, era l'uomo dietro la macchina da presa di alcuni dei più grandi successi recenti della serialità televisiva.
«Un genio», ne parla così lo scrittore Maurizio De Giovanni che ha visto D'Alatri dare a tanti suoi libri forma di fiction. Ma la sua carriera inizia molto tempo fa, quando è ancora un ragazzo. Regista di tv e di cinema, oltre che sceneggiatore, sul grande schermo in realtà esordisce come attore, da adolescente: dopo “Il ragazzo dagli occhi chiari” di Emilio Marsili, è il turno de “Il Giardino dei Finzi Contini” di Vittorio De Sica che lo vuole nella versione adolescenziale del protagonista.
È poi anche il figlio di un capitano ridotto in miseria e bullizzato dai compagni di scuola nello sceneggiato I fratelli Karamazov di Sandro Bolchi, anche se D'Alatri ha sempre ricordato con entusiasmo un'esperienza ancora precedente, quando aveva 8 anni: un provino per Luchino Visconti. […]
L'esordio cinematografico dietro la macchina da presa è di quelli importanti: al primo film, Americano Rosso (1991), vince il David di Donatello come miglior regista esordiente. Con il progetto successivo, Senza Pelle, va al Festival di Cannes. Lancia poi la carriera da attore di Fabio Volo con Casomai, con cui poi si ritrova nella pellicola successiva, La febbre. Tra i suoi lavori, anche Commediasexi, con protagonista un inedito Paolo Bonolis, al fianco di Sergio Rubini, Margherita Buy e Stefania Rocca.
L'ultima volta al cinema con The Startup, nel 2017, che ricostruisce la storia di Matteo Achilli e del suo progetto imprenditoriale. Un omaggio a una generazione, D'Alatri ci teneva ai ragazzi. «Sono il futuro, devo stare al loro fianco», diceva spesso.
La serialità ha segnato l'ultima parte della sua carriera.
D'Alatri era uno di quei registi amati dalla troupe, privo di ogni presunzione, mai snob, cosa mai scontata nelle gerarchie spesso rigide dei set. Lo chiamavano «il Capitano», come Francesco Totti, perché era romano e romanista; e proprio l'AS Roma lo chiamò per girare uno spot per il lancio della società in Borsa, girato all'Olimpico con tutti i giocatori di allora. […]
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