FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Gabriele Romagnoli per “la Repubblica”
Uno spettro si aggira per l’Europa: quello dell’astensionismo. Tutti provano a indovinare che cosa si nasconda sotto il lenzuolo: l’antipolitica, la sfiducia nei vecchi leader (e i giovani invecchiano così in fretta), la crisi di un sistema chiamato democrazia. È un rompicapo, un’incognita. Ha una parziale e inattesa soluzione in una ricerca realizzata su un campione inglese, ma ritenuto universale. Conduce addirittura a una formula che fa corrispondere l’aumento della diffusione di internet alla diminuzione dei votanti.
Credevamo che la Rete con la sua disponibilità di informazioni e opinioni creasse una nuova leva di cittadini più consapevoli e avidi di partecipazione, vogliosi di votare sapendo bene per chi e che cosa farlo. Invece, anticipando il risultato finale: dato un incremento del 10% nell’accesso al web si registrerà un calo del 3,5% di elettori che si presentano al seggio.
Il rapporto è documentato nei suoi passaggi, alcuni dei quali potevano essere intuitivi, ma hanno ora la controprova e nelle conseguenze politiche, nient’affatto scontate. Lo studio, in via di pubblicazione, è opera di tre italiani che operano in università internazionali: due (Tommaso Valletti e Alessandro Gavazza), a Londra: rispettivamente all’Imperial College e alla London School of Economics. Il terzo, Mattia Nardotto, all’Università di Colonia.
Proviamo a seguire il loro percorso e arriveremo a conclusioni che, come la lettera scarlatta, sono sotto gli occhi di tutti, ma bisognava saper guardare.
È evidente che l’informazione viaggia su mezzi diversi rispetto al passato. Come dirompente era stata la comparsa della televisione accanto ai giornali e alla radio, così (forse ancor più) lo è ora quella di internet. La ricerca che ha prodotto la formula dell’astensionismo 2.0 si è basata su distretti elettorali inglesi, ma trova corrispondenza nelle città di tutto il mondo. Ovunque, internet si è diffusa a macchia d’olio negli ultimi anni. Nel campione esaminato, dal 2003 al 2014 i suoi utilizzatori sono passati dal 10 all’80% della popolazione.
Un sondaggio ha cercato di stabilire la funzione per la quale si accede al web. Data la possibilità di risposte multiple, il 93% ha scelto “comunicare”, il 54% “svagarsi”, il 48% “fare giochi”, solo il 28% “leggere giornali on line o siti d’informazione” e appena l’11% vi fa ricorso per “assumere informazioni sui candidati elettorali”. Attenzione: queste due ultime cifre percentuali aumentano (quasi raddoppiano) se gli intervistati appartengono a ceti più abbienti, diventando rispettivamente 40% e 20% (e ancor più se si alza la soglia d’età). È un dato che, si vedrà, scatena conseguenze notevoli dopo il voto.
Con la diffusione della banda larga è cambiato anche il quadro delle fonti da cui vengono tratte le notizie. La tv resta la prima (78%), seguita dai giornali (40%) e dalla radio (35%), ma il web è già la fonte primaria del 32%, praticamente un terzo dell’elettorato. Da un media all’altro però la rilevanza della politica è ben diversa. Se nei giornali occupa le prime pagine, grandi spazi interni, concede ogni giorno interviste ai protagonisti, è dunque il piatto di portata, con la tv diventa un contorno, anima i notiziari e i talk show, fa comparsate nei varietà, ma non domina affatto il palinsesto.
Su internet arriva alla frutta. Nella cronologia degli accessi di un utente medio viene dopo il porno, il gossip, il bizzarro (non necessariamente in quest’ordine). Un coreano che balla “Gangnam style” è infinitamente più cliccato del presidente Obama che parla di relazioni internazionali. Si guardano gli autogol più strepitosi, le foto “acronatiche” di Kim Kardashian, gattini, tanti gattini. Della politica restano briciole, spezzoni di un dibattito in cui due deputate si insultano.
Non è un giudizio di valore, è una constatazione. E produce i suoi effetti: questo tipo di utente non si appassiona alla campagna elettorale, men che meno a quella per elezioni amministrative. Spesso confonde il suo ruolo attivo nella democrazia. Il voto resta la sua principale manifestazione, per quanto a dir poco imperfetta, e continua a espletarsi nella vecchia cabina del seggio, con la vecchia matita. Si diffonde invece la sensazione di aver partecipato a sufficienza avendo risposto a questionari in rete, espresso pareri in forum, votato in consultazioni virtuali. Di qui il diffondersi delle teorie per cui il miglior rimedio all’astensionismo sarebbero elezioni on line.
Nell’attesa si afferma la proporzione: banda larga, affluenza ristretta. Di questo sembra essersi accorto immediatamente il corpo degli eletti. Non è sfuggito loro che a consegnargli il potere è una precisa. Per essere schematici e brutali lo scenario è questo: nel distretto elettorale coperto all’80% da internet c’è un esemplare medio che ha un reddito basso e sta davanti allo schermo del pc, tablet o smartphone con un piano tariffario a giga limitati per scambiare video, fare giochi, leggere pettegolezzi e che non vota.
E poi ci sono signori di una certa età, dal reddito elevato, giga illimitati, che scaricano informazioni e votano, per chi assicura il perseguimento dei loro interessi. Laddove in Inghilterra è arrivata la banda larga il programma attuato dagli eletti è stato sempre lo stesso: meno tasse locali, meno spese nei servizi sociali. Ovvero: il sogno dell’elettore partecipe, agiato, anziano.
Nel blog dell’Imperial College dove viene riassunto l’esito della ricerca che ha portato alla formula dell’astensionismo si chiude con una domanda che qui riprodurremo, non avendo la risposta. Questa: che senso ha impegnarsi per ridurre il “divario digitale” garantendo internet per tutti se questo provoca poi un “divario politico” tra ricchi e poveri?
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