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Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Roberta Petronio per il Corriere della Sera
Al Parco della Musica, la stagione sinfonica dell' Accademia di Santa Cecilia si inaugura con la «Grande Messe des morts» di Berlioz, Sir Antonio Pappano sul podio e il parterre delle grandi occasioni. Il maestro Ennio Morricone attraversa la Cavea in largo anticipo con la moglie Maria per raggiungere il foyer della sala Santa Cecilia. Qui si ritrovano i due sovrintendenti Michele Dall' Ongaro (Santa Cecilia) e Carlo Fuortes (Teatro dell' Opera), mentre Gianni e Maddalena Letta si dirigono verso la platea insieme al senatore Pd Luigi Zanda. Milly Carlucci è facile da individuare: basta seguire l' inseparabile basco nero quando entra con il marito Angelo Donati.
Arrivano il sottosegretario al Mibac Lorenza Bonaccorsi, il maestro Nicola Piovani, la vicepresidente Luiss Paola Severino, l' ambasciatore francese Christian Masset con la moglie Helene, Sandra Carraro e Jean Paul Troili, monsignore Marco Frisina, Innocenzo Cipolletta e Anna Boccaccio, Toni Concina, Aurelio Regina (presidente Fondazione Musica per Roma) con la moglie Carla, il presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta, Giuliano Ferrara.Tra i mecenati, le sorelle Franca e Anna Fendi, e Federica Tittarelli Cerasi insieme alla madre Paola Tittarelli, super eleganza. Il dinner ha i riflessi dell' oro nel foyer della Sinopoli. Dopo gli applausi, sui tavoli imbanditi si accendono le candele.
IL MIO BERLIOZ KOLOSSAL
Leonetta Bentivoglio per Robinson – la Repubblica
Esprime furia tellurica e sprazzi di poesia, toni lirici e brividi d' apocalisse la Grande Messe des Morts di Hector Berlioz, illuminando l' angoscia del confronto con la transitorietà dell' essere.
Parliamo della Messa da Requiem, col suo abituale testo in latino, composta dal più bizzarro musicista ottocentesco, geniale ed iper-estroso, come testimonia la sua nota e molto eseguita "Sinfonia fantastica". È invece di rara esecuzione la "Grande Messe", trattandosi di un' impresa-monstre, spropositata e gigantesca.
A suo modo rappresenta uno specchio ideale di uno spirito di grandeur molto francese. Ma qui la francesità è segnata dalle peculiari stravaganze di un individualista, un uomo «fascinoso, perseverante, testardo e inviso all' establishment della sua epoca», lo descrive il maestro Antonio Pappano.
antonio pappano e l orchesta ricevono l applauso del pubblico foto di baccovalerio magrelli michele dall ongaro alessio vlad foto di bacco
Viaggio nel suono affidato a una folla pazzesca di musicisti (sono trecento!), il Requiem di Berlioz verrà diretto all' Auditorium di Roma da Pappano il 10 ottobre (repliche l' 11 e il 12) per il concerto inaugurale della stagione dell' Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che ricorda il compositore, con svariati appuntamenti musicali, nell' anno del 150esimo anniversario della sua scomparsa. «Berlioz è sempre inaspettato e moderno, a volte persino più dei nostri contemporanei», sostiene con slancio Sir Tony, giunto con successo alla sua 15esima stagione come direttore musicale di Santa Cecilia. Cresciuto fra l' Inghilterra, dov' è nato nel '59, e gli Usa dove s' è formato, Pappano (che deve il nome italico ai genitori campani) ha la sua principale residenza a Londra, dov' è al vertice della Royal Opera House. Roma è la sua seconda, amatissima casa.
Questa "Grande Messe" s' annuncia impegnativa?
«Lo è soprattutto per il coro, che ne sorregge l' imponenza vocale. Nei Requiem di altri compositori ci sono vari solisti, mentre qui ce n' è uno solo (il tenore messicano Javier Camarena) che canta in uno dei dieci movimenti.
Quattro bande abbracciano coro e orchestra, nella quale suonano dodici timpani. In certi passaggi esplode il dramma, il che non esclude intensi momenti introspettivi, e tali contrasti lo rendono diversissimo da altri Requiem. Sia Mozart che Verdi, per esempio, aprono il "Dies Irae" in maniera forte e veloce.
Al contrario quello di Berlioz possiede sì un passo iniziale minaccioso, ma non è rapido.
antonio pappano santa cecilia 99
E il canto dei soprani si leva con accenti intimiditi, spaventati E se il "Sanctus" di Verdi è improntato alla speranza, in Berlioz avviene quasi in sordina».
Berlioz lavora all' insegna della sorpresa?
«Sì, incessantemente. La partitura è cangiante, mobile e colma di riflessi timbrici inusuali grazie alle diverse combinazioni e ai fiati dislocati nello spazio. Effetti sonori tridimensionali s' intrecciano a un uso sperimentale delle percussioni, e spesso le armonie prendono strade impensabili. Sento in Berlioz anche una vivida sostanza primordiale, antica. Il direttore deve credere molto al suo originalissimo mondo e assecondarlo. Bisogna avere un atteggiamento quasi messianico per poterlo trasmettere: fa parte del gioco».
ennio morricone con la moglie maria travia foto di bacco
Qualcosa atterrisce nella dimensione kolossal della "Grande Messe", scritta nel 1838.
«È un pezzo che colpisce al massimo, come ho constatato proponendolo di recente ad Amsterdam con la Royal Concertgebouw Orchestra. Ha un' elettricità formidabile e una drammaticità legata all' influsso di Beethoven, ma riverberata pure dalla scuola francese.
Comunque Berlioz resta sé stesso, cioè unico e dotato di una cultura letteraria e psicologica ricchissima, come dimostra anche la "Sinfonia fantastica", dove si narrano le allucinazioni di una mente drogata dall' oppio e i sogni si traducono in immagini musicali dai colori inauditi. Questa sinfonia è per me una specie di opera perché ha un racconto, una trama. La dirigerò a Roma in ottobre, dal 17 al 19, in un programma dove ci sarà pure Evgeny Kissin che suonerà nel Secondo Concerto per pianoforte di Liszt».
C' è un legame tra Liszt e Berlioz?
«Spiccano affinità. Furono due outsider visionari e accomunati da un potente senso di Dio e Mefisto, binomio acceso ed ostinato nelle loro creazioni».
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