AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO…
Marco Giusti per Dagospia
Festa del Cinema di Roma. “Nun la famo ma ‘o dimo”, geniale tormentone della quarta stagione della serie italiana più amata dal pubblico di trenta-quarantenni che fanno cinema o vorrebbero farlo, “Boris4”, ideata e diretta da Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, la prima senza il compianto Mattia Torre, in onda dal 26 ottobre su Disney+, spiega bene tutta la filosofia del vivere nel mondo del cinema. Pur se attribuita ai Vanzina, ma non è così, Enrico Vanzina stesso lo nega, fake news insomma, è un tormentone che gira da tempo tra attori, sceneggiatori e registi.
A me l’aveva raccontata Edoardo Pesce. In “Boris4” la spiega uno degli sceneggiatori. Insomma, quando hai una scena troppo costosa da realizzare, come “La strage degli innocenti” per una “Vita di Cristo” in formato seriale per una piattaforma internazionale, la risolvi con “’o dimo”, cioè “nun la famo ma ’o dimo”. E’ più semplice. Fa ridere. Ma tutto “Boris4” non solo fa ridere, anche molto ridere, ma è anche un gradito ritorno di un gruppo di personaggi che non abbiamo scordato, dal René Ferretti di Francesco Pannofino alla Corinna di Carolina Crescentini, dal Biascica di Paolo Calabresi ai tre sceneggiatori di De Lorenzo-Sartoretti-Aprea.
Protagonisti tutti di una serie adorabile, spiritosa, piena di vitalità e di amore per il lavoro che in molti si fa, e che in molti sognano di fare meglio, in una Roma dove alla scuola della commedia dell’italiana, con tutta la nostra arte di arrangiarsi, si aggiungono, inevitabilmente, i nuovi modelli di lavoro e di narrazione della fiction seriale da piattaforma. Vai quindi con gli algoritmi, con le producer americane senza cuore, con i codici di comportamento sul set che obbligano Biascica a limitare i vaffanculo, a rispettare le differenze di genere, con i termini americani.
E vai con le riscritture continue di copione a secondo della logica dittatoriale dell’algoritmo di giorno in giorno sempre più mutevole. Ovvio che il regista René Ferretti, il suo direttore della fotografia pippatissimo Duccio di Ninni Bruschetta, ribattezzato in India “no-shooting”, l’assistente Caterina Guzzanti, tutti bravissimi e tutti salutati in sala con ovazioni da stadio, ma di affetto sincero, devono adattarsi a questo nuovo mondo di cinematografari del seriale internazionale.
Pronti a girare addirittura una “Vita di Cristo” con Pietro Sermonti protagonista e le comparse tutte rigorosamente calabresi perché portate dallo zio del produttore esecutivo, Antonio Catania. Le prime tre serie di “Boris”, andarono in onda dal 2007 al 2010 e funzionò perché raccontò immediatamente qualcosa che stava avvenendo nel mondo del lavoro e dell’industria cinematografica in Italia. E che era già parte di una narrativa divertente staccata rispetto al cinema che si produceva, cinepanettoni compresi.
“Boris4” arriva così con lo stesso cast tecnico e artistico ben dodici anni di assenza. E in questi anni sono accadute davvero molte cose, se parliamo di serie italiane, di industria cinematografica, di disastri politici. Ma l’effetto stamattina in sala all’Auditorium di Roma era come se non fosse quasi passato tutto questo tempo. René Ferretti riprendeva il suo posto col suo pesciolino Boris ormai vecchietto ma in gran forma. E così tutti gli altri personaggi della serie. Per il pubblico di “Boris” è una festa.
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