DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Molendini per Dagospia
Springsteen ha paura: lo confessa in Rainmaker, la canzone più politica del suo nuovo album, dove racconta del mago della pioggia che dice «il bianco è nero e il nero è bianco». Canta Bruce su un accordo di piano in un'atmosfera cupa, poi esplodono le chitarre: «A volte le persone hanno bisogno di credere in qualcosa di così brutto, così cattivo, così cattivo...eravamo preoccupati ora abbiamo paura».
Erano un bel po' di anni che non registrava un disco di canzoni nuove, lo fa ora in tempi cupi come quelli del covid e a ridosso delle elezioni che chiamano gli americani a scegliere se vogliono ancora Trump. Ha paura il Boss, la sua musica è piena di passato e nostalgia, ma avverte che c'è un filo di speranza, la speranza che per il Rainmaker i giochi siano finiti.
Il suo contributo è un pieno di rock e passione, un album scuro che non lascia spazio a sorprese, non propone eventuali hit, ripesca vecchie canzoni, sono tre, già incise in passato ma mai pubblicate. Probabilmente non gli piacevano, ora a 70 anni è consapevole di riuscire a trasformare, anche lui mago della pioggia, il giorno in notte, canzoni mediocri in canzoni che possono far parte di un suo album.
E' la forza del mestiere, di una voce senza tempo e senza inganni, di una carriera che non ha mai tradito, di un sodalizio con la E Street band che ormai è diventato destino.
Non delude Letter to you, una lettera in dodici canzoni registrate live in soli cinque giorni nel suo studio domestico in New Jersey, da oggi in commercio, un messaggio al suo popolo: «Nella mia lettera per te/Ho messo tutte le mie paure e dubbi.../Tutte le cose difficili che ho scoperto» annuncia la titletrack e c'è tutto quello che quel popolo si aspetta da lui: un'ora di energia senza cadute con un solo neo, l'eccesso di generosità.
In fondo, almeno due di quei tre pezzi ripescati dagli scarti degli anni 70, Janey needs a shooter e Songs for orphans che dura 6 minuti, poteva lasciarle nel cassetto, non aggiungono nulla e il disco forse sarebbe stato ancora più compatto e seducente nel suo stare in equilibrio fra passato e senso del tempo che corre «un minuto sei qui, il minuto dopo te ne sei andato» canta, chitarra e voce, la suggestiva ballad d'apertura One minute you are here, dove aleggia il dolore per gli amici perduti come Clarence Clemons e Danny Federici.
Meglio allora l'altro ripescaggio, If I was a priest, pur non essendo un capolavoro. La canzone migliore, con la suggestiva ballad d'apertura, è House of thousand guitars, segnata dal suono intenso di un organo da chiesa, dove con evidente nostalgia si richiamano i tempi di un vecchi concerti a contatto con i fans, indirettamente evocando una stagione come questa che ha drammaticamente spezzato il rapporto con il pubblico.
E belle sono la ballata Last man standing con la frase dolorosa finale «Sono l’ultimo rimasto» e I’ll See You in My Dreams, un folk molto alla Bob Dylan in cui canta «la morte non è la fine e ti vedrà nei miei sogni», verso a metà strada fra la rassegnazione e la speranza.
L'album è stato accompagnato anche da un documentario, disponibile su Apple tv, dove Springsteen a un certo punto lancia per apprezzamenti nei confronti del pubblico italiano: chissà che non sia un appuntamento per un prossimo incontro, nel 2022, col virus alle spalle e il Boss pronto a raccontare che i suoi 73 anni non hanno scalfito la sua pelle d'acciaio.
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