BUSI, LETTERA IN RISPOSTA A UN LETTORE INFERMIERE NON GAY - ''SONO MOLTO AFFASCINATO DAI SALTI MORTALI PSICHICI CHE DEVONO FARE MEDICI E INFERMIERI NON GAY PER FARE SESSO SENZA VEDERSI DAVANTI, INVECE DI UNA DONNA, LE SUE INTERIORA MALATE, I SUOI SENI IN METASTASI… LA VITA CHE PREVALE SULLA MORTE A OGNI COSTO E A OGNI ORGASMO, QUINDI NON MI SORPRENDE CHE SIATE TUTTI UN PO’ TOCCHI...’’

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Aldo BusiAldo Busi

Aldo Busi per www.pagina99.it

 

Sono profondamente avverso a qualsiasi forma di rapporto, ovvero di “dialogo” come vuole il luogo comune, con i cosiddetti lettori, per non parlare del dargli la possibilità di incontrarmi deliberatamente di persona, cosa che a qualcuno è tuttavia riuscita, ma dopo appostamenti che gli auguro di tutto cuore siano stati sfibranti come gli inutili viaggi precedenti, specialmente per quanti mi hanno martoriato invano il videocitofono, mi hanno pedinato quando esco a fare la spesa e infine assalito (senza neppure proporsi innanzitutto di portarmi la sporta).

 

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Uno scrittore può intrattenere una qualche corrispondenza de visu - quindi non necessariamente solo epistolare, che tra tutte è quella più faccia a faccia per uno scrittore - esclusivamente con un altro scrittore, quindi a me non è concessa una simile panacea sentimentale.

 

Però anche quest’anno, per dar luogo a quella natalizia eccezione che confermi poi la regola, ho chiuso gli occhi, ho mischiato per bene nel cartone della Posta 2015 prima di farne il rituale falò nell’orto e ho sorteggiato una lettera conservata nella sua busta, l’ho letta da cima a fondo, quindi oltre le tre righe che da sole bastano a sfiancarmi, e questo che segue è quanto, l’ulteriore punto e a capo nell’autobiografia non autorizzata di un Paese.

 

Montichiari 26.12.2015

 

BUSI- L'ALTRA MAMMELLA - - L'uomo dello schermo, di Fabio Romano, olio su tela BUSI- L’ALTRA MAMMELLA - - L’uomo dello schermo, di Fabio Romano, olio su tela

Gentile “sistematore di cateteri”, così si definisce lei con giusto orgoglio, tralascerò, nel senso che mi costringerò a una sintesi, quel passaggio nella sua lettera in cui, secondo lei, nel mio “ultimo libro” (nel frattempo già penultimo) manifesterei “cose tristi e nostalgiche” perché non mi ci riconosco: non c’è niente di più triste, nel senso di miserabile, della nostalgia, che considero il peggiore dei clisteri, quello al contrario, che invece di spingerla fuori la immette; non c’è mai stato un tempo migliore con umani migliori di questo e di questi, esprimo solo un grazie a gente contadina del mio parentado che è stata gentile e affettuosa e rispettosa con me quando più conta, da bambino.

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Non do aria a un sentimento assoluto e assolutorio, mi manca la prosopopea per ergermi a giudice persino in positivo e non sono certo tipo da trasformare l’albero degli zoccoli nell’albero della cuccagna. Già allora vedevo del mondo rurale tutta la crudeltà e la violenza non inferiori a quelle del mondo urbano ma, poiché ci andavo in vacanza pochi giorni l’anno, mi sono state risparmiate e, non costituendo la priorità della memoria specifica da narrare, ho sorvolato su quanto pativano altri, e soprattutto altre, mentre per me era tutto rose e fiori.

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Se lei fosse stato più attento al testo nero su bianco e meno autobiografico e proiettivo nella lettura, avrebbe colto innanzitutto quanto asserisco in generale nei confronti dei ricordi d’infanzia, ovvero che da vecchi si acconcia e ci si racconta la favola che si vuole e io almeno una, almeno questa, me la sono concessa e la difendo nella sua “realtà”, fermo restando che la realtà del passato, e non solo personale ma addirittura storica, è in gran parte elaborazione di un’immaginazione di parte, di un’inclinazione psichica ormai ineludibile, quasi fisiologica, “genetica” – il che, data la consapevolezza di questo limite, dovrebbe rendere ancora più reali le cose che decido di scrivere come scrivo: senza rimpianto, senza nostalgia, senza tristezza aprioristica, senza pietismi da sagrestia né idealismi d’accatto né crepuscolarismi da beghina né autocommiserazioni da questuante di mestiere, senza pentimenti concordati per morire di quieto vivere o su un altare di cartapesta.

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E per me vale quanto Schiller fa dire a Wallenstein poco prima di venire assassinato dai sicari di Ferdinando II: “L’imperatore non mi perdonerà mai. E se anche mi perdonasse, io non potrei mai lasciarmi perdonare”. La morale è la solita, visto il degrado delle istituzioni in tutti e tre i suoi gradi di potere… quattro con la Chiesa… e dell’istruzione media nazionale: mi rompe le palle più che mai, ma meglio vittima totale che complice anche solo parziale.

 

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Venendo alla parte più interessante delle sue osservazioni, ho qualcosa da dire allorché lamenta il fatto, almeno così mi sembra, che invece di essere incamerato dal Paese come il suo tesoro più inedito, moderno e prezioso, sono sempre più respinto, emarginato, negletto e dileggiato: le dirò subito che il suo punto di vista non coincide con il mio, poiché quanto questo Paese fa “contro” di me, credo per paura di un esempio esistenziale e politico ed etico inarrivabile, fa contro se stesso e a me non fa neppure solletico, può solo inabissarsi sempre di più lui, non io o almeno non di mia spontanea voluttà autodistruttiva, non vivo certo per fare la raccolta punti del consenso suscitato e portato in cassa.

 

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Se era solo questo cui aspiravo, ne avrei avuto da vendere e anche sparpagliare ai quattro venti (non c’è contentino milionario che non mi sia stato offerto, ma non ero certo equipaggiato per diventare una voce del padrone del mercato del sistema, me ne frego dell’Opinione Pubblica che vorrebbe dettare anche a me la forma di scrivere e di rappresentarmi previo sondaggio e mi ripugna il solo sospetto di considerare la letteratura, che è l’arte per eccellenza del pensare e del pensarsi dalla quale tutto parte e alla quale tutto ritorna, come un semplice fatto di domanda e di offerta in un dato momento commerciale di circostanze, si spera, favorevoli o convenienti – da qui la mia sempiterna lotta per trovare di libro in libro un editore che non si riveli subito solo un tipografo che se la tira).

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Mi è capitato di nascere in Italia ma resto un barbaro… di probabili discendenze elleniche raffinatamente animiste e fieramente pagane… determinato a difendere la sua alienazione culturale, un apolide per scelta etica che ha imparato questa lingua indigena come ne ha imparato altre senza lasciarsi imbevere dai loro reflui liquami valoriali imperniati sul monoteismo, la fabbrica dell’infedele da abbattere, l’industria della guerra e la democrazia apparente di uno Stato che, spalleggiato da un Dio di Stato, non può che aspirare alla tirannia e alla schiavitù dei suoi governati senza santi in Paradiso (di Stato anch’esso).

 

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Ho attraversato l’italianità ma niente mi è rimasto appiccicato dei suoi umori familistici e fascistoidi, e io stesso non ho una sola falange finita nella generale pania italiota, non ho niente dell’italiano medio, e non ho ancora conosciuto un italiano, anche di strombazzato genio, che non sia medio (un chierichetto medio mediamente in ginocchio soprattutto se patriotticamente sull’attenti, per intenderci).

 

Amo talmente il Paese nella cui lingua ho scritto che quando mi trovo all’estero è tale la vergogna che provo a essere etichettato come italiano - malgrado non mi succeda mai grazie al livello delle lingue locali ma pur sempre “straniere” che parlo di nazione in nazione - che in Francia dico di essere tedesco, in Germania spagnolo, in Spagna inglese, il che mi obbliga a omettere di essere uno scrittore e a far tacere per un po’ l’umiliazione tra me e me di aver scritto in italiano, una lingua che non c’è in un Paese che è il solo a credere di esserci.

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Ebbene, o mia simpatica mosca bianca di “infermiere dichiaratamente non gay”: la parola che meglio congloba la mia situazione, tanto in Italia quanto all’estero, è “rimozione”, ma all’estero per tutt’altre ragioni (non esistono italianisti in grado di tradurre i miei testi senza fare obbrobri); se “rimozione” la si volesse riferire a un ostacolo, significherebbe sia aggirarlo, scavalcarlo, sotterrarlo che ignorarlo, tutto quindi meno che prenderlo e rimuoverlo (per portarlo di peso altrove, dove non sia più tale, perda la sua connotazione di intralcio e non disturbi);

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a me viene in mente piuttosto “rimbalzarvi contro”, nel tentativo di piallarlo e farlo scendere a patti, invano, perché io intanto non mi considero tale e poi nemmeno voglio considerarmi tale per fare un favore a chi tale mi vede, fermo restando che, essendo io rimosso, nessuno è così ingenuo da considerarmi un ostacolo per lui invalicabile, ma tanti continuano a tentare la scalata o il “raggiro” facendo finta di farmi le coccole o minacciandomi o cercando di intimorirmi e di corrompermi contando su debolezze che immaginano rifacendosi alle proprie e che io non ho, e tutti vengono scaraventati lontano oggi come sessant’anni fa.

 

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Ho disintroiettato ogni ombra di fideismo e sono un anticlericale puro come forse questo Paese non ne ha mai avuti prima, essere rimosso e diffamato e infangato e deriso e sminuito e visto come fumo negli occhi era il minimo che potesse capitarmi, visto che il primo tentativo di assassinarmi l’ho subito a sedici anni e poi sono riuscito a sfangarla anche le altre due volte. Greci e latini a parte, sono figlio di Montaigne e Montesquieu, padri fondatori dell’Illuminismo, dell’Encyclopedie e della Rivoluzione francese, e il mio libro di riferimento non è la Bibbia ma il Codice napoleonico, e non è un vangelo neppure quello.

 

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Facendo le debite proporzioni, tutte a mio favore perché non certo di origini e comunelle aristocratiche e pur sempre ecclesiastiche come loro, non credo che i fratelli Verri o il Beccaria o l’Alfieri se la siano passata meglio di me quanto a omologazione. L’Illuminismo non è ancora entrato a far parte delle fondamenta di un intellettuale italiano e non ve ne è uno solo che, per quanto liberale e progressista, non sia o ateo devoto o cattolico praticante o laico fuori e suffragetta dentro, altrimenti non avrebbe cattedre, toghe, televisioni e palinsesti, giornali, banche, prestiti, vitalizi, seggi parlamentari e di governo, e tutto quel contorno di troie di regime che gli tiene bordone e compagnia.

 

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Io sono da solo e me ne sto da solo, sono onesto e trasparente all’osso e non posso farmi carico delle proiezioni malate di un Paese marcio fatto di criminali, coglioni, psicopatici dal segno della croce compulsivo e analfabeti gaudenti che sguazzano nelle loro piccole tenebre ormonali sublimate dalla scappatoia del peccato col perdono incorporato e il best seller sul menu e l’umanità dei cani. Ho fatto la mia parte, punto.

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Non poteva andare che così e l’ho sempre saputo. Infine, essere apprezzato o disprezzato da un simile popolo di pecorelle smarrite per tornaconto e scimmiette ammaestrate e contente non cambia il mio diritto all’indifferenza e al divertimento più scacciapensieri, e non vi è amarezza o frustrazione in questo, non lo creda nemmeno per scherzo o per provocarmi, s’è fatto tardi per ogni tipo di aspettativa o di speranza, sono proprio neutro e netto anche in fatto di rabbia covata, non ne avrei più né l’energia né la pazienza né l’ingenuità né l’estro attoriale, non nutro rancore per altri perché sarebbe la maschera del rancore per me stesso, allorché io mi rispetto e mi voglio bene e ho un’altissima opinione del mio valore politico e del mio eroismo civile e della qualità estetica e poetica delle opere che ho scritto, che vengano lette o no, comprese o no, dimenticate o no. Nessuno può fare il pezzo di strada che o compete agli altri o non si dà.

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Le faccio un altro esempio, perché poi tutta la nostra vita di relazione e di relazione mancata gira attorno a un appuntamento: io, non avendo mai aspettato un istante a dire no a chi mi voleva strappare un sì e non avendo mai implorato per forzare un incontro, non ho mai tirato un solo bidone in vita mia. Preso un appuntamento, mi sono sempre presentato puntuale sul luogo stabilito, anche controvoglia, ma lì ritto come un soldato.

 

Che ci fosse anche l’altro, dopo i primi bidoni, era una sfumatura in più, certo non davo un’altra possibilità a chi aveva fatto spallucce alla prima, ma non me la prendevo più di tanto, innanzitutto perché quell’assenza e quel tradimento della parola data mi squadernavano davanti in una volta sola il carattere profondo della persona attesa invano e mi ritenevo fortunato di poterla eliminare sui due piedi con così poca spesa, e poi perché, anche se non incontravo nessuno perché nessuno si era presentato, incontravo pur sempre me stesso, la mia fedeltà alla mia di parola data, la mia integrità sempre più indomita e tuttavia leggera, simpatica, e più autoironica che ironica.

ALDO BUSI IN MUTANDEALDO BUSI IN MUTANDE

 

Se lei pensa un istante a quanta gente poi rivelatasi inutile, noiosa, nociva, doppiogiochista è stata puntuale agli appuntamenti della nostra vita, sarà d’accordo con me che se ci tirava un bidone subito era meglio. Si è riconoscenti troppo alla svelta verso chi puntualissimo si presenta armato con tanto di trespolo e troppo spesso si fa un torto imperdonabile a non esserlo di più verso l’uccel di bosco. Sia come sia, rispettando l’impegno preso, avevo fatto la mia parte, di più non potevo proprio fare, non potevo fare anche quella dell’altro, trasformare in presenza quell’assenza, ma essere presente in me e per me, sì, e questo era l’unico appuntamento che contava e conta.

 

ALDO BUSI A LETTOALDO BUSI A LETTO

Per il resto, allegria e in culo a tutti, tanto dopo il diluvio io sarò ancora qui e più tale e quale che mai e con tutta la cornucopia delle mie figure retoriche, tra cui l’antifrastica per affermare l’ovvietà della rettitudine in gioco dichiarando per paradosso il contrario per denunciare chi di nascosto contravviene a quell’ovvietà e che solo gli idioti e i fanatici via di testa e i veri untori prendono alla lettera per distogliere l’attenzione da sé e dai loro vizi e corruttele (e siccome per me è impossibile persino avere dei nemici veri e propri, al nemico che fugge terrorizzato dalla sua propria ombra e dalla farragine delle sue fantasie incancrenite dall’ipocrisia, ponti di merda).

 

Vive cordialità. Aldo Busi

 

ALDO BUSI LIBRO e baciALDO BUSI LIBRO e baci

P.S. Sono molto affascinato dai salti mortali psichici che devono fare medici e infermieri non gay per fare sesso senza vedersi davanti, invece di una donna, le sue interiora malate, i suoi seni in metastasi, la sua faccia devastata dall’ennesima chirurgia plastica andata male, ho conosciuto medici e infermieri che avevano fatto addirittura più di un figlio e con più di una puerpera e ancora non mi capacito dell’eroismo erotico che ciò deve comportare, per ogni erezione deve trattarsi di una scalata in Himalaya con lo sherpa sulle spalle, la vita che prevale sulla morte a ogni costo e a ogni orgasmo, quindi non mi sorprende che siate tutti un po’ tocchi e sopra le righe di tre spanne rima compresa, da qui del resto la vostra irresistibile simpatia, non riesco a ricordarne uno che, lanciato a briglia sciolta nell’affabulazione sul desiderio, non fosse un matto scatenato e spesso ho pensato che l’unica cosa che non ci è mai stata rivelata delle impegnative perversioni del paziente Marchese de Sade è che di nascosto avesse preso una laurea in medicina (come stato degenerativo irreversibile di quella in giurisprudenza, va da sé).

ALDO BUSI LIBRO Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culoALDO BUSI LIBRO Bisogna avere i coglioni per prenderlo nel culo

 

La cosa non vale, ovviamente, per medici e infermieri gay, molto meno psicotici e visionari, non patiscono traveggole necrofile di origine professionale, vanno al sodo a occhi chiusi e se è un cadavere o no, pazienza in entrambi i casi sempre che se ne accorgano, beati loro.

 

 

 

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