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Marco Giusti per Dagospia
Buone notizie da Cannes. Il mezzo documentario mezzo delirio godardiano (c'è pure un suo messaggio in segreteria favoloso) mezzo film (40 minuti) mezzo autobiografico, ma anche precisa riflessione sul 900, "C'est pas moi" di Leos Carax è una meraviglia. Perché è il film più libero e felice visto fino adesso.
Una riflessione di montaggio, certo, ma un montaggio sempre vitale che ci fa sorridere e piangere, sul cinema, sul suo cinema, sulla vita, sulla sua vita, su un secolo sofferente che ha prodotto guerra e cinema e ancora seguita a produrre guerra e meno buon cinema.
Carax gioca con i suoi personaggi storici, come il Monsieur Merde di Denis Lavant, in nuove scene, ripercorre le fughe fantastiche dei suoi attori, esalta Juliette Binoche, ci riporta a quando andavamo a letto da bambini con le storie della mamma. Salvo poi avvicinarsi al cielo delle notti dei bombardamenti che ci portano a oggi.
Ma si permette di mostrarci il finale di "Man Hubt", un capolavoro poco noto di Fritz Lang con Walter Pidgeon che sta per sparare a Hitler, ci mostra i mostri del secolo scorso e Putin di ora, ci parla di Polanski ebreo maschio bianco eterosessuale e sodomizzatore di una minorenne.
Mostra come l'immagine di un uomo o di una donna che corre ci dia felicità. Come il treno in corsa dei Lumiere possa diventare un thriller.Un presentatore televisivo spiega che da tre giorni nessun uomo ride più. Ci parla degli occhi, della visione, della soggettiva di Dio che lui usa solo per fissare la bellezza di Juliette Binoche ma si conde il lusso di poter dire che costruisce solo immagini di deja vu.
Citazioni. Chiude con una versione di "Modern Loves" di David Bowie eseguita da una marionetta da urlo e apre con la battuta di Monsieur Merde suo alter ego che di qualsiasi cosa venga incolpato non sono stato io. La giustificazione per qualsiasi orrore si sia compiuto tra questo e questo secolo. La conosciamo bene.
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