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Cannes - Il traditore
Marco Giusti per Dagospia
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“Viva Santa Rosalia!” Non esiste una traduzione palermitana per traditore. Si usa al massimo infame. Che non è la stessa cosa, anche se spiega bene la cosa. Anche meglio. Ma sembra che l’idea del tradimento proprio non appartenga non dico all’onorata società, come ai tempi di Franco e Ciccio, ma almeno alla lingua palermitana.
E’ bello, solido, ben recitato, con un lavoro incredibile sulla lingua palermitana e sulla ricostruzione di una storia vera e potentissima questo Il traditore di Marco Bellocchio interpretato da Pierfrancesco Favino come Don Masino Buscetta, Luigi Lo Cascio come Totuccio Contorno, Fabrizio Ferracane come Pippo Calò e Fausto Russo Alesi come Giovanni Falcone, unico film italiano in concorso quest’anno a Cannes, ma anche uno dei pochi film che valesse la pena vedere.
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Anche se Bellocchio non è né giovane né esperto in mafia movie, bisogna ammettere che il lavoro che ha fatto sugli attori e sulla messa in scena del film è grandioso. Inoltre lo fa con un’onestà intellettuale ammirevole, sforzandosi di non buttarsi nel già visto dei tanti film celebri americani, da Coppola a Scorsese, né sui seriali italiani famosi, e stando alla larga da stereotipi facili e fastidiosi. Il personaggio di Buscetta, l’uomo della vecchia mafia “buona” di Stefano Bontade in lotta con i terribili corleonesi di Totò Riina, stretto alle corde e per questo, per salvarsi la vita, diventato traditore, è monumentale.
Uno Scarface, un Don Vito Corleone, insomma. E Favino compie il miracolo di essere credibile e di essere cinema, anche se non ha in bocca il palermitano di nascita e di grande esperienza teatrale di Luigi Lo Cascio come Totuccio Contorno o quello di Farizio Ferracane. Le parti migliori, è ovvio, sono quelle che vedono il teatrino dei pupi all’opera nel Maxiprocesso, con Buscetta che affronta i nemici. Grazie anche alle registrazioni d’epoca i risultati sono strepitosi.
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Come è strepitosa, e meno nota, la parte legata al processo Andreotti, con Bebo Storti meraviglioso come avvocato Coppi. L’idea, che non è certo solo idea di Bellocchio e dei suoi sceneggiatori, Francesco Piccolo-Velia Santella-Ludovica Rampoldi, è che attorno al tradimento di Buscetta e alla guerra micidiale, trecento morti, con la quale i corleonesi prendono il potere in Sicilia, non solo cambia l’assetto di Cosa Nostra all’interno dell’isola, ma anche del paese. Visto che i veri pupari, come da tradizione, stanno a Roma.
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Buscetta non racconta proprio tutto al giudice Falcone, ma racconta quanto basta per aprire per sempre il sipario sulla costruzione piramidale di Cosa Nostra. E vendicarsi dei corleonesi che gli hanno ucciso i figli e rovinato la vita. Rispetto alle guerre di Gomorra che abbiamo visto in questi ultimi anni in tv, non c’è storia. La Mafia è un’altra cosa. E i film di mafia ci riportano a una grande tradizione italiana che non andava interrotta.
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La scena d’apertura del film, la festa con tutti i boss di Palermo e la grande fotografia che li prende tutti in una sola immagine e segna l’inizio della fine per Stefano Bontade e i suoi uomini e l’ascesa di Totò Riina e dei Corleonesi è uno spettacolo. Più complessa la costruzione del personaggio di Don Masino Buscetta, che vedrà la guerra fratricida dal Brasile, dove vive con la moglie, Maria Fernanda Candido, e i figli più piccoli. Il voltafaccia dell’infame Pippo Calà, uomo di Bontade, che si mette con i corleonesi e la morte dei suoi figli maggiori, per non parlare delle torture della polizia brasiliana che lo arresta sotto falso nome, faranno capire a Don Masino che non ha tante scelte. Diventerà infame per sopravvivere e parlerà con Falcone.
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Ma questo costerà caro sia a Falcone sia a Buscetta. Grande affresco, come si diceva una volta, sulla Palermo mafiosa e sull’Italia più nera, che facilmente sarebbe potuta diventare una grande serie tv internazionale, offre a Bellocchio ancora una volta la poetica dei rapporti complessi fra padri e figli, oltre a quella, ovviamento, del tradimento, che ci ricorda ai tanti film sul ’68, penso a Allonsanfan dei Taviani, ma anche al suo Buongiorno notte dedicato al rapimento di Aldo Moro. Bellocchio, insomma, dopo il non riuscito Fai bei sogni, torna al cinema maggiore con un film importante, che non solo lo riporta al concorso a Cannes ma dovrebbe piacere parecchio anche alla giuria. E offre a Favino una grande chance, perché Buscetta è davvero tutto quello che può sognare un bravo attore. Un personaggio quasi senza identità, una spugna, che cambia sempre volto e lingua a seconda di chi ha davanti, e che arriverà forse solo alla fine al suo vero volto. Da oggi in sala anche in Italia.
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