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LA CANNES DEI GIUSTI – “O AGENTE SECRETO” È UN GRANDE FILM, PERFETTAMENTE IN LINEA CON LA RILETTURA DELLA STORIA DELLA DITTATURA BRASILIANA DEGLI ANNI ’70 INIZIATA UN ANNO FA CON “IO SONO ANCORA QUI - ALLA FACCIA DEI FILMACCI TUTTI UGUALI DI NETFLIX, “O AGENTE SECRETO” È FORTEMENTE SIA UN FILM POLITICO CHE UN FILM DI GENERE - SARÀ UN PROBLEMA CHE IL MIGLIOR FILM VISTO FINO ADESSO NEL CONCORSO DI CANNES È DIRETTO DA UN UOMO, MA SOPRATTUTTO È TARGATO NETFLIX? SPERIAMO DI NO... - VIDEO
Marco Giusti per Dagospia
Ci siamo. Sarà un problema che il miglior film visto fino adesso nel concorso di Cannes è diretto da un uomo, un brasiliano, ma soprattutto è targato Netflix? Speriamo di no.
Perché “O agente secreto”, scritto e diretto da Kleber Mendonça Filho, regista di “Aquarius”, "Bacurau", “Retratos fantasmas” con un Wagner Moura ormai star internazionale è un grande film, perfettamente in linea con la rilettura della storia della dittatura brasiliana degli anni ’70 iniziata un anno fa con “Io sono ancora qui” di Walter Salles, ma anche rispettoso di cosa siano stati gli anni ’70 in Brasile, anzi a Recife.
Perché è anche un grande e sentito omaggio al cinema di allora, il titolo viene da un celebre film con Jean Paul Belmondo, e alle sale meravigliose che proiettavano “Lo squalo” e “Pasqualino settebellezze”, come il Sao Luiz, oggi diventato un centro trasfusionale.
Alla faccia dei filmacci tutti uguali di Netflix, “O agente secreto” è fortemente sia un film politico brasiliano, anzi pernambucano, che un film di genere, con due temibili killer alla Tarantino, cioè Gabriel Leone e Roney Villela, spediti a Recife dal boss italo-brasiliano di una azienda petrolifera per uccidere un professore, Armando, Wagner Moura, direttore di una facoltà di ricerca, che si nasconde sotto il nome di Mauricio.
Ma è anche un viaggio nella Recife di allora e nei cinema di allora, perché il suocero del professore, che lo aiuta a nascondersi, è il proiezionista del cinema Sao Luiz. Kleber Mendonça Filho, ambienta il suo film di clandestini in fuga, poliziotti assassini, killer a alto costo e a basso costo, proiezionisti coraggiosi e aiuto proiezionisti spioni, in una Recife sporca e cinefila come pochi altri posti al mondo, ma che ci sembra di conoscere benissimo.
Esce “Lo squalo” di Steven Spielberg, e la gamba di un uomo viene ritrovata intera nella pancia di uno squalo. Probabilmente è lo studente che i figli, uno bianco e uno nero, del corrotto Doctor Euclides di Roberio Diogenes, hanno ucciso e gettato in mare. Quando provano a gettare per la seconda volta la gamba in mare, questa torna in versione horror in un parco di sesso facile tra maschi. Se la storia fila tutto, il cast è una scoperta.
Ci sono ancora facce da grande cinema di genere in Brasile. Da Wagner Moura al killer pezzente di Kaiony Venancio, che viene sottopagato a 4000 cruzeiros dai killer che ne incassano 60.000, al mitico Udo Kier nel ruolo di Hans, che i pernambucani vedono come vero soldato tedesco della Seconda Guerra Mondiale, quando le sue ferite le ha nei campi visto che è ebreo.
La scena iniziale, col morto steso a terra nella stazione di benzina fetente, pieno di mosche e i cani che gli ronzano attorno, il benzinaio grassone che non lo muove e i poliziotti che invece di intervenire cercano di incastrare Wagner Moura per fargli sganciare un po’ di soldi, già vale il biglietto. Ne risentiremo parlare di “O agente secreto”.
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