DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Giusti per Dagospia
Gran brutto tempo a Cannes. Per questo è anche pieno di posti di blocco e di polizia. E forte s'alza la protesta dei giornalisti di tutti i paesi per essere stati discriminati tra serie A e serie B. Quelli di serie A, leggi quelli di testate come Corriere, Repubblica, Stampa, ad esempio, vedono i film prima e escono la mattina dopo sui giornali. Quelli di serie B, diciamo, devono scalare di un giorno, o uscire solo sull'on line.
Scelta davvero democratica, anche se, non è che vederti prima il polpettone di Malick ti cambia la vita e, in fondo, davvero qualcuno, vecchi a parte, legge ancora il cartaceo? Ma la tessera grigia quest'anno fa la differenza. Passiamo ai film. Quest'anno molto legati generi, tra zombi, fanatscientifici e noir, sotto il segno degli zombi di Jarmusch e del ritorno di Tarantino. Che ha molto applaudito in sala il violento film cinese The Wild Goose Lake di Diao Yinan, già vincitore si un Orso d'Oro a Berlino nel 2014.
Questo è un solido noir di regia, anche se i personaggi sono un po' buttati lì, con impostazione ultraclassica, condito da trovate visive di gran fascino, perfino giochi di ombre continui, e una bellissima ambientazione di slum cinese popolatissimo che fa sembrare le Vele di Suburra un Hilton a cinque stelle. Guerra di bande per il controllo del territorio in una poco amena località miserabile che ruota attorno a un fetido laghetto.
Il protagonista Zhou Zulang , interpretato da Hu Ge, è ricercato da tutti. Dai membri di una banda rivale, dalla polizia, e da chiunque si voglia intascare i 300 mila yuan della taglia. Ha deciso che sarà sua moglie a tradirlo, per farle prendere i soldi. Ma al suo posto arriva un'altra ragazza, Gwen Lun Mei, una prostituta che batte ai bordi del lago, e gli spiega come stanno le cose.
Le cose sono più complesse di come le racconta e non c'è da fidarsi di nessuno. Il regista, Diao Yinan non si fa mancare nulla, anche perché le bande sono specializzate in furti di moto da corsa e perfino la polizia è motorizzata. C'è pure una grande scena di fellatio sul lago con tanto di sputo biancastro nell'acqua fetida. Non male. Piaciuto abbastanza in sala.
Piaciuto un po' meno, anche se ha una bella impaginazione visiva, Little Joe dell'austriaca Jessica Hasner, sorta di horror con piante geneticamente costruite in laboratorio estremamente pericolose. La studiosa Alice, interpretata da Emily Beecham, ha inventato Little Joe un fiore tutto rosso che dovrebbe diffondere amore tra gli umani.
Ma il fiore emana un polline e un profumo che modifica rapidamente i comportamenti di uomini e bestie. Il cane Bello si rivolta contro la sua padrona Bella, Kerry Fox, il figlio di Alice, Joe, sembra un altro. E perfino il collega Chris, Ben Wishaw, ha atteggiamenti strani. Saranno solo esagerazioni di Alice o Little Joe diffonde qualcosa che non è solo amore? Siamo dalle parti, lo avrete capito, della science-fiction anni 50, anche se il tutto è ambientato nella Liverpool di oggi. Jessica Hasner gioca, forse anche troppo, sui colori pastello di costumi e ambientazioni, verdini, giallini, rosini, tutto molto grazioso.
Anche i capelli rossi della protagonista rientrano nella costruzione visiva Il film si vede, va giù come una puntata di Black Mirror, due o tre zompi sulla sedia me li fa fare, ma sembra quasi un film Netflix più che un film da concorso di Cannes. Tanto valeva prendere i film Netflix, allora.
A Un Certain Regard si è visto invece Jeanne, seconda e ultima parte del curioso dittico personalissimo e assolutamente musicarello che Bruno Dumont ha dedicato alla Pulzella D'Orleans interpretato dalla strepitosa Lise Leplat Prudhomme, dieci anni, già protagonista di Jeannette. Costruito sugli scritti di Charles Peguy con grandi dialoghi tra i maschi che detengono il potere e Jeanne, unico personaggio femminile e poco più che una bambina, è un film complesso e affascinante dove nei momenti di maggior tensione partono le canzoni di Christophe che ne fanno una sorta di musical comico-drammatico. Dumont gioca su più livelli questa curiosa ricostruzione storica, che le didascalie segnalano come precisa al millimetro, anche se le ambientazioni si riducono a una serie di esterni e di interni di chiese gotiche.
Tutto benissimo inquadrato e recitato. Bizzarro, a tratti pesante a tratti commovente, dimostra la strana idea del seriale, della comicità, della ricostruzione che ha in testa Dumont, regista molto amato in Francia, che ha comunque una grande personalità. Dubito che si vedrà mai in Italia.
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