quelli della notte

VIDEO! "CHE STRESS DI GIORNO... MA LA NOTTE NO!" – RENZO ARBORE E I 40 ANNI DI “QUELLI DELLA NOTTE”: “LA SIGLA DEL PROGRAMMA ERA UNA DICHIARAZIONE D'INTENTI. QUELLA TRASMISSIONE SANCI’ LA FINE DEGLI ANNI DI PIOMBO E SEGNO’ L'APOTEOSI DEGLI ANNI '80, GRAZIE SOPRATTUTTO A ROBERTO D'AGOSTINO CHE SI INVENTÒ L'ETICHETTA DELL'EPOCA, QUELLA DELL'‘EDONISMO REAGANIANO’. DA VERO INTELLETTUALE SDOGANÒ LA LEGGEREZZA E IL SORRISO, CHE NEGLI ANNI ’70 ERANO VISTI CON SOSPETTO” - VIDEO

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Paolo Fiorelli per “Tv Sorrisi e Canzoni” 

 

dago e renzo arbore quelli della notte 9

Il 29 aprile del 1985 andò in onda qualcosa di mai visto sulla tv italiana. E non per una, ma per tre ragioni. Si chiamava "Quelli della notte" e i motivi per cui è rimasto nella storia li lasciamo riassumere al suo ideatore e conduttore Renzo Arbore. «Punto primo: era un programma incentrato sull'improvvisazione, e fino ad allora per tradizione tutti i varietà della Rai, da Antonello Falqui in poi, erano scritti, anzi "scrittissimi". 

 

dago quelli della notte 2

Punto secondo: è il programma che sancì la fine degli "Anni di piombo" e l'apoteosi degli Anni 80, grazie soprattutto a Roberto D'Agostino che si inventò l'etichetta dell'epoca, quella dell'"edonismo reaganiano". ". Punto terzo, e forse il più importante di tutti: inventammo la seconda serata. Perché noi andavamo in onda alle 23 e a quei tempi, a quell'ora, c'era solo un cartello con su scritto "Fine delle trasmissioni"!».  

 

arbore quelli della notte

Ecco Arbore, partiamo proprio da qui: perché posizionare così tardi un programma tanto forte?  

«Ma noi mica lo sapevamo che avrebbe avuto tutto quel successo. Il programma era un rischio, un salto nel vuoto, per cui dissi a Giovanni Minoli, che allora era il capostruttura di Rai2: "Facciamolo a notte fonda, così anche se va male, pazienza"».  

 

Come nacque quello show? La prima scintilla?  

«Venivo da una trasmissione di successo ma più tradizionale come "Cari amici vicini e lontani" . E volevo fare una cosa rivoluzionaria. Con il mio coautore Ugo Porcelli ci ispirammo alle "jam session" del jazz.

 

In una "jam session" si segue un tema di base e poi ogni musicista esegue il suo assolo, le sue variazioni, e io mi dissi: facciamolo con la tv. Ci inventammo una quarantina di personaggi, facendo le prove nel salotto di casa mia, e poi andammo in onda senza neanche sapere bene di cosa avrebbero parlato. Io mi limitavo a dirigere la conversazione, dando il là a quella straordinaria squadra di interpreti».  

 

dago arbore quelli della notte il paninaro

Ricordiamola allora, questa squadra. Partiamo da Marisa Laurito?  

«Lei è una grande attrice di teatro, aveva recitato con Eduardo e proprio per questo all'inizio faceva fatica a improvvisare. Accettò per incoscienza. Le dissi di ispirarsi alla "cugina parlereccia" che tutti abbiamo in famiglia, quella che sa i fatti di tutti e si mette sempre in mezzo».  

 

Simona Marchini, invece, sapeva i fatti dei "vip".  

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«Le dissi: tu devi fare il gossip. Ma allora non si faceva in tv o sui social come oggi: si faceva sui rotocalchi. Lei era quella che aveva sempre "l'ultima notizia" su Milva, Orietta Berti, Iva Zanicchi...».  

 

Nino Frassica?  

«Fu il suo esordio in tv, ma già l'avevo chiamato a lavorare con me in radio. Sapevo che era irresistibile. Con Ugo Porcelli ci siamo detti: facciamogli fare il frate, non s'è mai visto un frate comico in tv. E lui si inventò Fra' Antonino da Scasazza con i suoi "nanetti" (aneddoti, ndr)».  

 

Roberto D'Agostino?  

«Fondamentale. Lui ha inventato la filosofia di "Quelli della notte". Da vero intellettuale capì lo spirito degli Anni 80, si inventò il mestiere di "lookologo" e sdoganò la leggerezza e il sorriso, che negli Anni 70 erano visti con sospetto».  

 

Maurizio Ferrini?  

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«L'inventore del "muro ad Ancona" per tenere lontani i meridionali. Faceva il romagnolo comunista ortodosso imitando suo padre. Era un artista di strada e l'ho scoperto grazie a una videocassetta che mi aveva mandato. A quei tempi avevo sempre la casa piena di cassette, perché si sapeva che mi piace fare il talent scout». 

 

Riccardo Pazzaglia?  

«Intellettuale finissimo, autore e amico di Domenico Modugno con cui ha scritto "Meraviglioso" e tante altre canzoni. Faceva l'uomo di cultura capitato in mezzo a una banda di cialtroni. Il suo tormentone era: "Eh, il livello è basso"».  

 

Il suo nemico ideologico era Massimo Catalano...  

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«Ancora oggi c'è chi dice "una Catalanata" per intendere una assoluta ovvietà, tipo "è meglio essere ricchi e sani che poveri e malati!"».  

 

Giorgio Bracardi?  

«Era il più goliardico: ogni sera faceva un personaggio diverso: il ballerino, il diavolo, il russo, il cinese...».  

 

Ma l'arabo lo faceva Andy Luotto.  

«L'unico personaggio che ci ha dato problemi. Il Re di Giordania si lamentò direttamente con il ministro degli esteri Giulio Andreotti, che ci invitò a lasciar perdere. Nelle ultimissime puntate Luotto faceva un riccone italoamericano».  

 

A proposito, perché solo una trentina di puntate? Avete smesso all'apice del successo...  

quelli della notte - dago, arbore, leonardo mondadori, bracardi, marisa laurito, simona marchini

«La risposta tecnica sarebbe che ormai era arrivata l'estate. Ma la verità è che io amo fare così: preferisco lasciare il rimpianto che la sazietà».  

 

Non possiamo chiudere senza parlare di una delle sigle più belle di sempre: "Ma la notte no". A proposito, ma perché oggi quasi non si fanno più le sigle, secondo lei?  

«Non lo so, forse una questione di ritmo. Che peccato. Le mie sigle non erano mai una bella canzone appiccicata lì, erano una dichiarazione d'intenti, esprimevano il senso del programma: "Che stress di giorno... ma la notte no!"». 

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