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Estratto dell’articolo di Seba Pezzani per “il Giornale”
geoff emerick registrando i beatles
Quello dei Beatles è stato un fenomeno di tal portata che anche chi non li ha mai amati particolarmente ha finito per conoscerne canzoni, storia e pettegolezzi. Per esempio, il fatto che sia esistito un quinto Beatle, indicato da alcuni nel loro mentore e manager Brian Epstein.
Quel titolo onorifico […] è spesso stato attribuito a George Martin, il mitico produttore di tutti i loro dischi tranne Let it be. Chissà che, dopo aver letto Registrando i Beatles (Here, there and everywhere) (Coniglio Editore, traduzione di Luigi Abramo, pagg. 421, euro 28), vi sentiate di tributare tale onore allo stesso Martin in coabitazione con Geoff Emerick, il tecnico del suono che ha scritto (insieme a Howard Massey) questo interessante e, a tratti, scanzonato libro.
La sua sarebbe la storia di un lavoratore come ce ne sono tante se non avesse incrociato il percorso dei Beatles. Emerick non fa mistero dell’ansia provata quando, ancora giovane, più o meno coetaneo dei quattro fenomeni di Liverpool, accettò su richiesta di George Martin di fare da tecnico del suono ai Beatles: «L’unica cosa che stavo pensando era: speriamo di non mandare tutto a puttane».
[…] Gli studi di Abbey Road che, come ci dice Emerick, iniziarono a portare quel nome solo nel 1970, erano enormi, pensati per ospitare intere orchestre sinfoniche. Spesso, il materiale fonoassorbente era talmente vetusto che, quando per la prima volta venne superata una certa soglia sonora, i pannelli del soffitto si sgretolarono, creando una sorta di nube tossica all’interno dello studio.
[…] È stato scritto praticamente tutto sulla vicenda umana e artistica dei Fab Four e molti degli aneddoti riportati da Emerick non sono certo inediti, ma colpisce il suo disincanto e pure la sua sincera ammirazione per quella musica a cui sente di aver dato un contributo importante.
Come quando John Lennon si presentò in studio con l’abbozzo di uno dei suoi pezzi più celebri, Tomorrow Never Knows, durante le session di Revolver. John disse che il pezzo era diverso da qualsiasi cosa avessero mai concepito prima: «Ha un solo accordo e... voglio che la mia voce suoni come il canto del Dalai Lama dalla cima di una montagna».
Emerick, rammentando che i brani monotonali erano sempre più di moda in quella fase embrionale della psichedelia, era convinto che fossero pensati per un ascolto da “fumati” o da trip. La sua perplessità iniziale è evidente, ma quelli erano i Beatles e non li si poteva deludere: con l’utilizzo di loop primordiali, ovvero pezzi di nastro incisi e giuntati, il fonico realizzò un trucco sonoro che finì per essere preso a modello da schiere di musicisti del periodo. Registrando i Beatles è un libro godibilissimo. Non solo per beatlesiani.
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