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Marco Giusti per Dagospia
la stanza accanto di pedro almodovar
Eccoli i film di Natale. Non è proprio allegrissimo, e infatti esce oggi prima di tutti, “La stanza accanto” di Pedro Almodovar con Tilda Swinton e Julianne Moore, forte del Leone d’Oro a Venezia come miglior film, e di ben quattro nominations agli EFA, gli Oscar europei che verranno dati questo sabato. Miglior film, regia, sceneggiatura, tutto opera di Almodovar, e migliore attrice protagonista, Tilda Swinton.
A Venezia ci sembrò un po’ un film per vecchie signore, e ancor peggio un’altra di quelle prove di ultimo languido film sulla morte che i vecchi celebrati e vanitosi registi si concedono, ma non si poteva e non si può non riconoscere al film di Pedro Almodovar, tratto dal romanzo “What Are You Going Through“ (uscito da Garzanti come “Attraverso la vita”) di Sigrid Nunez, biografa di Susan Sontag, grandi qualità.
A cominciare dalla strepitosa interpretazione delle due protagoniste, Tilda Swinton e Julianne Moore, nei ruoli delle amiche giornaliste Ingrid Parker e Martha Hunt, la prima malata terminale di cancro e la seconda l’angelo che la dovrà accompagnare nel suo viaggio verso la morte. E dall’incastro di omaggi e rimandi al cinema più amato, da “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini, si finisce e si riparte sempre da lì, a “Seven Chances” di Buster Keaton, quanto ci manca la scoperta di Buster Keaton negli anni ’60, da “Lettere da una sconosciuta” di Max Ophuls a “The Dead” il capolavoro finale di John Huston tratto da “Gente di Dublino” di James Joyce.
Già sentire la voce di Donal McCann recitare il monologo finale di “The Dead” (“The snow is falling…”) ci apre il cuore. Oddio. Leggo che questo grande attore irlandese è morto a 59 anni di cancro al pancreas e che l’ultimo suo film è “Illuminata” di John Turturro, che ha un ruolo minore ma significativo qui, amico e ex amante di Ingrid e Martha. E uno dei film che ha fatto prima di morire era “Io ballo da sola” di Bernardo Bertolucci, altro addio alla vita di un regista già malato.
Se la storia di Donal McCann è una sorta di mio bonus personale, non è un bonus ma parte integrante del film, e tema di un libro che vuole scrivere la Martha di Julienne Moore, il rimando a Dora Carrington, celebre pittrice inglese, pazzamente innamorata di Lytton Strachey, gay, ovviamente, tanto che finirà per sposare l’amante di lui e per suicidarsi due mesi dopo la morte di Strachey per cancro. Che ve lo dico a fare… Indizi.
Ma proprio Almodovar ci ha insegnato a non sottovalutare gli indizi. Qui dovrebbero servire a costruire una sorta di narrazione gialla, lui è un maestro in questo, per un terzo atto che troveremo sorprendente, sì, ma molto sbrigativo e parecchio monco. Come sono spesso ii terzi atti al cinema.
Ma anche se è vero che se c’è un omicidio da compiere (l’eutanasia di Ingrid) e un complice del delitto se non proprio un killer (Martha) e dei flashback sulla vita e gli amori della malata illuminanti (dove la giovane Ingrid è Esther Rose McGregor), alla fine quello che conterà davvero è la neve letteraria di Joyce e quella cinematografica di John Huston che coprono vivi e morti allo stesso modo.
Allora forse avrà un senso anche la morte assurda del padre della figlia di Ingrid, uno dei flash back iniziali, alla ricerca di qualcuno da salvare, che forse è la figlia stessa. E la trama gialla ordita da Ingrid, insomma, non è quella che abbiamo pensato che riguarda la sua morte, ma è decisamente più sottile e riguarda la vita. Un’altra vita. In un circolo di rigenerazione che lascerà meno tristi le signore del cinema Eden di Prati prima di prendere il tè. In sala da oggi.
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