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Marco Giusti per Dagospia
Baby Driver di Edgar Wright
Broom! Broom! Che musica ascoltate quando i vostri soci stanno rapinando una banca e voi aspettate in macchina pronti a decollare? Diciamo un bel blues di Jon Spencer… E quando siete inseguiti dalla polizia? E quando volete proprio spaccare tutto? Magari “Brighton Rock” dei Queen… E quando le cose vanno male, avete pensato che magari c’è qualche canzone che porta un po’ di sfiga?
Belle domande. Baby Driver di Edgar Wright, un thriller che malgrado qualche banalità nella seconda parte (ahi, le storie d’amore) non dobbiamo assolutamente sottovalutare, anche perché ha una colonna sonora meravigliosa e costruisce ogni scena in base a una certa canzone, cerca proprio di rispondere a queste domande fondamentali per chi di professione fa il driver per i rapinatori di banche in quel di Atlanta.
Baby, il giovane Ansel Elgort, il protagonista, non solo è orfano e vive con un vecchio simil-padre nero, sordo e malato, ha anche un fastidioso fischio all’orecchio. Logico quindi che lo attutisca ascoltando ininterrottamente musica con cuffie e impianti che ruba nelle macchine da quando aveva 12 anni. Per tutto il film ascoltiamo quello che lui ha in cuffia. Se qualcuno gliele toglie, sentiamo il suo fastidioso fischio. Bella idea.
Ovviamente Baby fa il driver perché deve ripagare una sorta di boss del crimine, Doc, un Kevin Spacey cattivo maestro molto in forma, e spera di smettere con questa vitaccia. Anche perché ha incontrato la ragazza dei suoi sogni, certa Debora, Lily James, che fa la cameriera in un diner. Ma, guarda un po’, i rudi rapinatori non glielo permettono. E per giunta si mette contro il terribile Bats di Jamie Foxx.
E neanche la coppia alla Bonnie e Clyde formata da Buddy e Darling, Jon Hann e Eiza Gonzales, è così buona. Beh, non era facile costruire tutto un film su una colonna sonora farcitissima e l’idea del driver che sente tutto in cuffia senza sviluppare un po’ di storia. Ecco, la storia non sempre funziona, anche se il cast è notevolissimo.
Ma già un film che inizia con “Bellbottoms” di Jon Spencer (che farà pure un piccolo cammeo) e prosegue con “Knocking on Heaven’s Door” eseguito dai Guns n’ Roses, con “Let’s Go Away for a While” dei Beach Boys, con “Harlem Shuffle” di Bob abd Earl, “Egyptian Reggae” di Jonathan Richman, e dedica a Debora la “Debora” di T.Rex e quella di Beck, a Baby la “Baby” di Carla Thomas, passando per Morricone, Hans Zimmer, The Damed, il vecchio Alexis Korner, beh, è imperdibile.
E per ogni canzone o quasi c’è un perché, una spiegazione, più o meno discussa. Jamie Foxx ci spiega perché detesta “Hotel California” di The Eagles, ad esempio, e Baby perché adora “Brighton Rock” dei Queen. C’è da divertirsi e tutta la prima parte è girata, montata (Jonathan Amos e Paul Machliss) e fotografata (Bill Pope) da urlo. Edgard Wright, stravagante regista inglese di L’alba dei morti dementi e di Scott Pilgrim, ha lavorato anni su questi incastri di musica e sceneggiatura, riempie di omaggi e piccoli riferimenti ogni inquadratura, omaggi soprattutto al vecchio Driver di Walter Hil con Ryan O’Neal.
Un personaggio, non vi dico quale, dirà una frase del tipo “Se non mi rivedrete più è perché sarò morto”, e, ovviamente, non lo rivedremo più… Baby Driver è un film molto studiato e molto ironico. In qualcosa delude, perché i film di oggi non possono che deluderci, ma le parti buone sono estremamente buone. In sala dal 7 settembre.
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