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IL CINEMA DEI GIUSTI – IL BEL DOCUMENTARIO DI ROBERTO ANDÒ, “FERDINANDO SCIANNA. IL FOTOGRAFO DELL’OMBRA”, ESCE OGGI E STARÀ IN SALE PER TRE GIORNI DOPO LA PRESENTAZIONE A VENEZIA - LO STAREMMO A SENTIRE PER ORE SCIANNA, CELEBRE FOTOGRAFO SICILIANO, ANZI DI BAGHERIA, CHE RACCONTA SE STESSO E IL SUO LAVORO, LA SUA FAMIGLIA E IL SUO PAESE, LE SUE AMICIZIE E I SUOI SENTIMENTI RISPETTO AI DOLORI E ALLE SOFFERENZE DEL MONDO. E BENE HA FATTO ANDÒ A RIPRENDERLO COSÌ LIBERO, MENTRE RACCONTA TUTTO QUELLO CHE HA VISSUTO… - VIDEO

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Marco Giusti per Dagospia

 

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Lo staremmo a sentire per ore Ferdinando Scianna, celebre fotografo siciliano, anzi celebre fotografo di Bagheria, che racconta se stesso e il suo lavoro, la sua famiglia e il suo paese, le sue amicizie e i suoi sentimenti rispetto ai dolori e alle sofferenze del mondo in questo bel documentario di Roberto Andò, “Ferdinando Scianna – Il fotografo dell’ombra”, che esce oggi per Fandango, coprodotto da Rai Cultura e starà in sale per tre giorni dopo la presentazione a Venezia.

 

Ha ragione il suo vecchio amico Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna è uno dei pochi fotografi che sa parlare, benissimo, raccontare storie, spiegare, e farci sentire le sue fotografie quasi ancor prima di vederle. E bene ha fatto Andò a riprenderlo così libero, mentre racconta e racconta, oggi, tutto quello che ha vissuto.

 

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I limoni del padre a Bagheria, piccola azienda di famiglia che lo fece studiare, quello che gli disse il padre rispetto alla scelta di lavorare come fotografo, “ma che mestiere è, uno che ammazza i vivi e resuscita i morti” (allora la fotografia serviva soprattutto sulla lapide mortuaria e il fotografo doveva appunto riprendere e resuscitare il morto). Poi l’incontro con Leonardo Sciascia, che scrisse per lui il testo che accompagnava il suo primo libro di fotografie, “Feste religiose in Sicilia”, quello con Henri Cartier-Bresson, che gli aprì le porte della grande fotografia internazionale, Scianna fu il primo fotografo italiano della agenzia Magnum.

 

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Ma anche quello con Roberto Leydi, che lo portò all’Europeo, dove divenne fotoreporter in giro per il mondo. E, negli anni ’80, quello con Dolce e Gabbana, per il quali si inventò la prima grande campagna, che riprendeva i temi siciliani e per la prima volta inquadrava le modelle in maniera naturale, realistica. Anche Berengo Gardin, nel film, gli invidia la capacità di saper riprendere la moda.

 

 E, ancora, il rapporto con Giuseppe Tornatore, che a Bagheria dedicherà appunto un film, e che ha sempre visto Scianna come un mito del suo paese, uno dei primi baarioti in grado di scappare al Nord e di diventare un professionista internazionale. Ma, al di là della sua storia personale e degli incontri che racconta, quello che ci stupisce di più, proprio nel suo continuo e piacevolissimo racconto è il legame con Bagheria e la dipendenza da quel legame.

 

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E’ lui stesso a citare una frase di Ernesto De Martino che ben lo chiarifica, “Soltanto se si ha un villaggio nella memoria si può avere un’esperienza cosmopolita”. Attorno a questo villaggio nella memoria, Scianna sembra costruire tutti i suoi percorsi artistici e la sua stessa professione. E il desiderio è sempre quello di tornare ragazzino, nel paese, quando iniziò a fotografare in totale libertà, senza nessun filtro culturale. Avere uno sguardo puro, totalmente vergine, verso la realtà. In sala da oggi.

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