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Marco Giusti per Dagospia
Ormai arrivato a più di 100 milioni di dollari di incasso, ma con un budget altissimo di 90 milioni, quindi non considerato ancora un successo, è arrivato anche in Italia "Nope", terzo film del geniale Jordan Peele.
Ieri ha incassato 72 mila euro con 10 mila spettatori. Nella sala 2 del The Space di Grosseto dove l'ho visto ieri, davanti al nulla della zona dove trionfava il manifesto della Meloni ("Pronti") che rendeva la situazione ancor più disperata, eravamo in 8 spettatori per una proiezione che non rispettava la grandiosità della fotografia e gli effetti nel cielo del grande direttore della fotografia Hoyte von Hoytena ("Dunkirk", "La talpa", "Interstellar").
Se lo trovate in Imax e non doppiato penso sia un'altra cosa. Insisto sulla fotografia perché tutto il film è costruito sull'idea della documentazione fotografica, a partire dalle riprese in 35 a manovella con i vecchi chassis, con i filmati di Edward Muybridge, e sul rapporto tra la tecnica e la realtà. Come se la tecnica, a partire proprio dal muto, dalle prime riprese, fosse lo spettacolo e nascondesse quindi la prova flagrante di quel che vediamo.
Come il cavaliere nero che nessuno ricorda sul cavallo ripreso da Muybridge. Peele parte proprio da lì e chiuderà proprio con quella immagine, come se Daniel Kaluuya fosse il Django di Tarantino, per ricostruire lo spettacolo di quel che cercano di filmare i suoi protagonisti. Cioè la prova di un'entità aliena aggressiva nella loro proprietà di Agua Dulce in California, vicino a Los Angeles. Una proprietà dove l'O.J di Kaluuya, aiutato dalla scombinata sorella, Keke Palmer, alleva cavalli da domare per il cinema.
Film complesso, pur se innovativo e originale, magari non all'altezza dei suoi due piccoli horror politici precedenti, anche perché ha speso troppo, ha montato un film da quattro ore che ha ridotto a due, è costruito con un meraviglioso scontro con l'alieno di 50 minuti che domina la seconda parte, e una prima parte dove mette molta carne al fuoco.
A cominciare dalla tragedia, filmata nel 1998, di una scimmia da show TV, tale Gordy, che diventa violenta e fa un massacro in diretta sul set sotto gli occhi di un bambino che diventerà il proprietario di una sorta di western town confinante coi cavallari, interpretato da Steven Yeun. E dalla storia degli Haywood, i cowboy afroamericani, discendenti del cavaliere ripreso da Muybridge, che vivono addestrando cavalli per il cinema. Ma non tutti i cavalli possono essere domati e ripresi. Come non tutte le scimmie possono essere sicure per il set. Non parliamo poi di entità, animali alieni.
Il conflitto che emerge da subito nel film è fra l'alieno nascosto nel cielo di Agua Dulce e gli Haywood che vogliono riprenderlo. E in questo verranno aiutati da un coraggioso documentarista, Michael Wincott, che passa le Giornate a vedere vecchi filmati muti di polipi aggressivi e sa come usare i macchinari dei pionieri del cinema, e un tecnico messicano coi capelli biondi, l'Angel di Brandon Perea, che adopera l'inutile digitale. Inutile quando l'alieno ti taglia l'elettricità come se non Veste pagato la bolletta dell'area.
Pieno di riferimenti alla fantascienza anni 50 dell'Universal, girata negli stessi posti che vediamo qui, dove si giravano anche i piccoli western, il film deve dare consistenza ai suoi eroi principali, i fratelli Haywood, e ricostruire un eroe a cavallo nero capace di combattere contro un animale dominatore senza piegare gli occhi. Magari non è un film perfetto, ma è lo stesso un gran film.
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