DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Giusti per Dagospia
Preparatevi per questo viaggio tra la terra dei vivi e quella dei morti. Preparatevi bene con gli studi sulla cultura messicana, su Frida, Rivera, Siqueiros, Emilio Fernandez detto “El Indio”, i mariachi, i cagnetti xoloitzcuintle, i luchadores, el Dia de los Muertos, rivedetevi quei quattro o cinque classici del cinema messicano visto dagli americani firmati John Huston, Orson Welles, Sam Peckinpah, Robert Aldrich, perché Coco, diretto da Lee Unkrich, il genio che ci ha dato Toy Story 3, e Adrian Molina, già storyboard artist e sceneggiatore alla sua opera prima a soli 32 anni, è non solo un altro capolavoro della Pixar, ma qualcosa di emozionante e di coltissimo che vi farà stare a occhi aperti. E’ anche un serio omaggio alla cultura messicana e a tutto quello che ha dato alla cultura americana e al cinema.
La storia è quella del piccolo Miguel, un bambinetto di un piccolo villaggio messicano, che non vuole fare il ciabattino come vorrebbero i suoi, ma si sente nelle vene la musica. Vuole diventare un mariachi, un cantante, come il suo idolo Ernesto de la Cruz, star della musica e del cinema messicano in bianco e nero anni ’50. Scopre inoltre che il suo bisnonno, il padre della vecchia nonno Coco, un po’ rimbambita, era un cantante, visto che tiene stretta una chitarra nell’unica foto di famiglia rimasta.
Se la chitarra si vede, anche se piegata all’interno, non gli si vede però il volto, che è stato strappato proprio dalla foto, dopo che lui, sembra, ha preferito la musica alla famiglia, lasciando sole la bisnonna Imelda e la piccola Coco. Da questo nasce l’odio per la musica della famiglia di Miguel e il loro divieto assoluto di cantare e di suonare. Ma Miguel non sente ragioni e nel Dia de lo Muertos decide di partecipare a una gara di musicisti. Se la mamma gli spezza la chitarrina che si era costruito, decide di rubare la chitarra di Ernesto de la Cruz.
Ma come la strappa dal muro del suo mausoleo, turba l’equilibrio tra i vivi e i morti e passa direttamente nella Terra dei Morti. E’ lì che Miguel incontrerà il suo mito Ernesto de la Cruz e un buffo personaggio, Héctor, che è stato anche lui un musicista. Per poter ritornare tra i vivi, Miguel deve ottenere una benedizione da parte di un membro della famiglia, ma nemmeno lì i suoi parenti defunti, a cominciare dalla bisnonna Imelda, vogliono dargliela se non giurerà di non suonare più.
Di più non vi diciamo, ma ricordiamo che tutto il film è un grande ragionamento proprio sul Dia de los Muertos e su quello che questo giorno significa per i messicani, perché in questo giorno i defunti vengono a trovare i vivi, ma solo chi è ricordato dalla sua famiglia può passare il ponte della Terra dei Morti.
E’ la memoria e l’affetto, insomma, a tenere ancora insieme le ossa dei morti nell’Aldilà. Ma anche lì può trionfare il mito e la falsità dei facili successi sulla realtà dei sentimenti. In tutto questo c’è un giallo da svelare, chi è il padre di Coco e cosa ha fatto di terribile?, una missione da portare a termine, un bambino da salvare, perché se Miguel non otterrà la benedizione non potrà tornare tra i vivi e già il suo corpo si sta trasformando in scheletrino.
E c’è una musica da suonare. Bello, romantico, scatenato, profondo, Coco è una delizia per tutti, pieno di riferimenti a Frida, al Santo, a tanti film e personaggi che abbiamo amato. C’è pure il cagnetto Dante, cioè uno xoloitzcuintle senza pelo, come in Frida e Sotto il vulcano. E c’è, ovviamente, tanta musica. Imperdibile. In sala dal 28 dicembre.
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