marzio breda
Si schermisce: «Non mi faccia passare per il Pippo Baudo del giornalismo». Eppure ha introdotto nel panorama dell’informazione una figura che prima non esisteva, quella del quirinalista, tant’è che lo Zingarelli fissa al 1991 la datazione di questo vocabolo. Marzio Breda è da 30 anni l’ombra del presidente della Repubblica.
Cominciò sul Corriere della Sera con Francesco Cossiga. Da allora sono subentrati altri quattro capi dello Stato (Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella), ma lui è sempre rimasto sul Colle, nel palazzo dove fino a Pio IX abitarono 23 papi, la reggia più sfarzosa d’Europa, come scrisse ne La guerra del Quirinale (Garzanti):
marzio breda cover
«Ha oltre 2.000 stanze e tre chiese». Il Corriere ha confermato Breda nell’incarico di quirinalista persino dopo averlo collocato in pensione nel 2016. È ritenuto inamovibile quanto l’istituzione che racconta. Nel frattempo ha visto aggiungersi una pattuglia di colleghi della Rai, delle agenzie di stampa e dei quotidiani, 25 in tutto, accreditati a svolgere il suo stesso lavoro. Breda è nato a Conegliano il 15 luglio 1951.
francesco cossiga
Abita a Verona da mezzo secolo, da quando il padre Romano fu nominato direttore per città e provincia della Banca Cattolica del Veneto, dopo che aveva diretto le filiali di Vazzola, San Bonifacio, Legnago, Portogruaro e Venezia. È cresciuto a Palazzo Mosconi, in Corte Farina, dove c’era la sede dell’istituto di credito. Lì sua madre Mariangela preparò la cena per Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, il quale con la benedizione dello Ior aveva da poco messo le mani sulla cassaforte dei cattolici nordestini.
«Allora non si sapeva che dietro di lui ci fosse la P2. Voleva cooptare mio padre nella direzione generale. Ne ignorava il passato. Quand’era in Marina, papà fu fatto prigioniero dai tedeschi l’8 settembre 1943 e deportato in un lager in Germania. Riuscì a evadere, tornò in Veneto e si unì alla Resistenza con i partigiani cattolici della brigata Piave». Trascorsi pochi mesi dall’incontro con Calvi, Romano Breda rassegnò le dimissioni, nonostante avesse appena 55 anni e quattro figli a carico. Ai familiari disse solo: «Quei mascalzoni avrebbero preteso che imbrogliassi i clienti con gli investimenti in Borsa».
SILVIO BERLUSCONI E FRANCESCO COSSIGA
Anche a Cristina Rubinelli, detta Titti, nipote dell’ingegnere che progettò la diga del Chievo, sposata dal 1978 con Marzio Breda, per lunghi anni docente di lettere al liceo Messedaglia e ottima cuoca, è capitato di dover improvvisare qualche ricevimento inatteso, con l’aiuto della signora Irma, scesa da Montecchia di Crosara a farle da spalla ai fornelli. È accaduto con i presidenti Cossiga e Scalfaro, quest’ultimo accompagnato dalla figlia Marianna, che le si presentarono nella casa di via Ponte Rofiolo, dove a quel tempo la coppia abitava con i figli Alvise e Giuseppe. Gli illustri ospiti trovarono un menu all’altezza delle tradizioni quirinalizie: ravioli di spinaci, arrosto al marsala con patate, fondi di carciofo e piselli, bavarese con frutti di bosco e torta di mele. Suggellato da Amarone e Recioto.
SERGIO MATTARELLA FRANCESCO COSSIGA
Come arrivò al giornalismo?
Conoscevo Nin Guarienti dell’Arena. Nel 1973 cominciò a pubblicarmi qualche intervista. La prima fu con il poeta Diego Valeri. Poi vennero quelle con Emilio Vedova, Fulvio Roiter e Andrea Zanzotto, con il quale il rapporto è continuato fino alla morte. Abbiamo scritto a quattro mani In questo progresso scorsoio per Garzanti, che è un po’ il suo testamento civile.
È partito puntando in alto.
Esco dal liceo Cavanis di Venezia, vicino alle Zattere, dove passeggiava Ezra Pound, l’Omero del Novecento. Mi autografò una copia dei Canti pisani. Un’altra volta lo incrociai in una calle e gli chiesi: «Come va, maestro?». Rispose: «La morte mi corre dietro, ma io non le do confidenza».
Grande.
MARZIO BREDA
Sono rimasto in contatto con la figlia Mary de Rachewiltz, che vive in Alto Adige. Volevo laurearmi in lettere moderne, ma mio padre mi dirottò nello studio dell’avvocato Eugenio Caponi, che mi convinse a scegliere giurisprudenza. Alla fine ho svoltato: scienze politiche. Credevo che il giornalismo fosse elzeviri e svolazzi.
Quando capì che non lo era?
La sera del terremoto in Friuli, 6 maggio 1976. Ero nella nostra casa di campagna a Refrontolo, 70 chilometri in linea d’aria. Telefonai a Gilberto Formenti, direttore dell’Arena, offrendomi come volontario. «Corra, e ci detti qualcosa prima di mezzanotte», rispose. Manco mi conosceva. Pubblicò il mio pezzo da Osoppo. Lì capii che il giornalismo non è pettinare gli articoli ma andare sui fatti. Decisi che sarebbe stato il mio mestiere.
Fu assunto?
marzio breda
Magari. Nemmeno mi pagavano. Solo quando me ne andai, il caporedattore Jean Pierre Jouvet mi fece liquidare l’elenco di tutte le collaborazioni.
E dove andò?
Da Gino Colombo, il direttore veronese che stava per aprire L’Eco di Padova, edito da Angelo Rizzoli. Mi assunse all’istante in cronaca. Palestra straordinaria: terrorismo, attentati, ferimenti, Toni Negri, processo 7 aprile.
Ma dopo tre anni L’Eco chiuse.
Non per mancanza di lettori. Davamo fastidio a Carlo Caracciolo e Giorgio Mondadori, che avevano lanciato Il Mattino di Padova. La nostra chiusura fu barattata con l’apertura dell’Occhio di Maurizio Costanzo: gli editori accettarono che fosse venduto a un prezzo inferiore a quello amministrato stabilito per i tutti quotidiani dell’epoca. La copia dell’accordo fu trovata fra le carte di Licio Gelli a Villa Wanda.
cossiga
E lei che fece?
Mi fu offerto di traslocare a Oggi. Invece mi ritrovai parcheggiato al Corriere Medico. Walter Tobagi parlò di me a Franco Di Bella, direttore del Corriere della Sera. Era il 1980. Mi prese per la redazione interni, allora alloggiata nella Sala Albertini. Dall’altra parte del tavolone c’era la redazione politica, guidata da Carlo Galimberti, che aveva come vice Vittorio Feltri. Al quale, nel fare un titolo, chiedevo: «Dammi un sinonimo di comunisti». E lui: «Assassini!».
Riconosco in pieno l’uomo.
Un giorno Roberto Martinelli e Antonio Padellaro ci spedirono da Roma la lista degli iscritti alla loggia P2. Fui incaricato di passarla in tipografia. C’erano dentro tutti: Angelo Rizzoli, Silvio Berlusconi, lo stesso Di Bella. A ogni nome mi rivolgevo al capo: che faccio? «Va’ a chiederlo al direttore». E questi: «Apri parentesi e scrivi: “Ha smentito”».
Di Bella dovette dimettersi.
Marzio Breda x
Aveva un tumore. Era una pasta d’uomo. Gli subentrò Alberto Cavallari. Fu Pertini a imporlo. Ho trovato la conferma nell’archivio storico del Quirinale, che custodisce le agende dei presidenti. Cavallari, lunatico e ombrosissimo, sciolse la redazione politica, ritenendola a torto inquinata dalla P2. Ci trovammo in due, io e Andrea Bonanni, a gestire da soli le pagine del Palazzo.
Cavallari la stimava.
Per tre anni ho pranzato e cenato con lui, spesso con amici come Leonardo Sciascia, Goffredo Parise e Claudio Magris, che insieme a Zanzotto considero i miei maestri. Sono stato l’unico che è andato a trovarlo fino al giorno della morte.
Come diventò quirinalista?
scalfaro ciampi
Nell’estate 1990, reduce dal Giro d’Italia, Ugo Stille e il suo vice Giulio Anselmi mi ordinarono di seguire Cossiga in vacanza. Il direttore era stato a cena da lui e lo aveva trovato sovreccitato. Non lo mollai per 40 giorni filati. A Courmayeur annunciò: «Voglio dare la grazia al dottor Renato Curcio». Il fondatore delle Brigate rosse perdonato? Una bomba. Kossiga, come lo chiamavano gli estremisti, aveva deciso di chiudere i conti con il passato. Lo inseguii con altri giornalisti fino in Cansiglio.
oscar luigi scalfaro giovane
Lì nell’ultimo giorno di ferie sbottò: «Vi nomino tutti cavalieri». Notò il mio stupore: «Ma come, Breda, non le va bene?». E io, con una battuta scema: mi sarei aspettato almeno prefetto. Lui: «D’accordo. Prefetto di Reggio Calabria». Io: eh no, o Venezia o niente. «Allora niente». Continuai a corrergli appresso con i neocavalieri. Più di 30 voli all’estero in pochi mesi. I colleghi ci ribattezzarono Feccia alata, su imitazione del club Freccia alata di Alitalia. Cossiga mi svegliava in hotel alle 6 perché scendessi a fare colazione con lui.
Si fingeva matto o lo era?
oscar luigi scalfaro
Per me fu il profeta della catastrofe. Come dice Bernardo Valli, il più grande inviato, il giornalismo è la verità del momento. Mentre lo pratichi, non sai di scrivere la storia. Cossiga avvertì, inascoltato, che il sistema dei partiti stava per crollare, così com’era appena caduto il Muro di Berlino. Lucidissimo, nonostante un disturbo bipolare che non nascose mai, faceva il pazzo, e non lo era, per poter dire la verità. Lo seguiva lo psichiatra Giovanni Battista Cassano, lo stesso che curava la depressione di Indro Montanelli.
cossiga
Con Scalfaro si tornò nei ranghi.
Fu l’ultimo dinosauro della Dc, al potere mentre Tangentopoli faceva tabula rasa di tutti i partiti. Si trovò a duellare con Berlusconi, che per lui era un marziano. Il suo portavoce Tanino Scelba, nipote dell’ex premier Mario Scelba, chiese due volte per iscritto al Corriere la mia rimozione. Poi, anche grazie alla figlia Marianna, con Scalfaro instaurai un buon rapporto. Una sera alle 22, a fine dicembre, mi cercò al telefono: «Questo governo mi tratta come un cameriere. Mi ha mandato la legge finanziaria un’ora fa, mi costringe a firmarla senza darmi neppure il tempo di leggerla». Capii che mi parlava di Berlusconi affinché lo scrivessi, cosa che feci. Era molto diverso da come lo avevo immaginato.
Lo riteneva un vecchio parroco?
Già. Invece era ironico, curioso, buongustaio. I miei colleghi lo descrivevano intento a sorbire il brodino serale. Macché minestrina! Metteva il peperoncino su ogni pietanza, intonava canzoni napoletane, suonava il pianoforte.
GIANNI LETTA E OSCAR LUIGI SCALFARO
Tramò o no contro Berlusconi?
Ne registrò con gioia la caduta. L’artefice del complotto fu Umberto Bossi: Forza Italia gli stava portando via un mucchio di parlamentari. Certo, Scalfaro e Bossi si trovarono in perfetta sintonia. Nella sua casa di Gemonio il Senatùr teneva appesa al muro una foto con dedica del presidente. Per un cattolico d’altri tempi, qual era Scalfaro, abituato ad andare segretamente in ritiro spirituale ad Assisi ogni mese, il Cavaliere rappresentava le ballerine che sculettavano in tv, la corruzione dei costumi.
NAPOLITANO 7
Di Ciampi che mi dice?
L’ho molto amato. Mi ricordava mio padre, anche per via dei trascorsi in Bankitalia. Fu il defibrillatore istituzionale che cercò di dare un accettabile assestamento al bipolarismo che intanto si era affermato. Ha rinverdito il patriottismo, ha restituito l’autostima agli italiani. Appena eletto, disse ai suoi consiglieri: «Badate, voglio pesare le parole come se fossero grammi d’oro». E così fu.
Poi venne il doppio mandato di Napolitano.
NAPOLITANO VOTA
Un aristocratico. Fin da ragazzo si autodefiniva «atarassico» per la capacità di dominare le passioni. S’impose d’imparare l’inglese a 50 anni e ci riuscì. S’era dato l’impegno di favorire, attraverso le riforme, il traghettamento verso una democrazia più matura, diciamo pure meno barbarica. Tentativo fallito, anche se lo aveva posto come condizione per la sua rielezione.
Con Mattarella come va?
Per indole è il meno loquace dei presidenti. Insegue l’idea di Stato-comunità che fu cara ad Aldo Moro, maestro politico del fratello Piersanti, assassinato dalla mafia, e anche suo. È un mediatore paziente, ma nei momenti critici sa imporsi. La sua forza risiede nella mitezza, la trasmette con lo sguardo.
MATTIA STELLA CON SCALFARO E CIAMPI
Per Dagospia è «la mummia sicula». Un nomignolo azzeccato?
In visita a Zagabria, fu avvicinato da una scolaresca di Messina. Più tardi, lo provocai: presidente, voi siciliani dite che quella è la provincia babba, cioè talmente arretrata che lì non hanno neppure la mafia. Rispose in latino, una sola parola: «Olim». Un tempo.
Chi dopo di lui?
Nei miei sogni c’è Mario Draghi. Ma il Quirinale è il baricentro del potere. I partiti non lo lasceranno a chi non sia dei loro. Salterà fuori uno sconosciuto di secondo piano.
Romano Prodi è un papabile?
CIAMPI SCALFARO COSSIGA E NAPOLITANO
Dopo le due bastonate che ha preso? Sarebbe una follia. È percepito come divisivo.
Si parla di Walter Veltroni.
Ha lasciato la politica. È un nome spendibile.
Berlusconi si vede già lassù
Non ha più il fisico, mi pare.
Rieleggeranno Mattarella.
Lo ha escluso già due volte. Però se glielo chiedessero in coro, non si tirerebbe indietro.
OSCAR LUIGI SCALFARO
C’è mai stato un veronese che sarebbe potuto diventare presidente?
Per caratura e reputazione, solo il dc Guido Gonella.
Che cosa pensa della politica?
Tutto il male possibile.
Ma un quirinalista non stacca mai?
Mai. Al momento di andare in pensione avevo 390 giorni di ferie non godute e 100 di riposi settimanali arretrati.
Perché chiamava «parón» il corrierista Giulio Nascimbeni?
mattarella napolitano
C’entra un aneddoto. Adriana Mulassano, che con Giulia Borgese in quegli anni era l’unica donna assunta in via Solferino, un giorno cercò il giornalista veronese nella sua casa di Sanguinetto. Rispose al telefono l’anziana domestica: «El parón no’l ghe. L’è a l’ostarìa». Era un uomo di grande cultura e di grande semplicità. Gli volevo un bene dell’anima.
napolitano mattarella
Per quanti anni ancora conta di restare quirinalista?
Fino a quando mi terranno. In passato La Repubblica voleva assumermi. E Luigi Righetti, presidente dell’Arena, 20 anni fa mi propose di diventare direttore. Rifiutai. È difficilissimo lasciare il Corriere. È una bandiera. Gli devo tutto ciò che sono.
SCALFARO NEL MENU' EATALYPAOLO SAVONA CARLO AZEGLIO CIAMPI cossiga e pertiniandreotti letta ciampiMATTARELLA SCALFARO BY BENNYguido alpa ciampi
(L’Arena, 1° maggio 2021)
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