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DAGO IN THE SKY - DAL BORDELLO ALLA TELA - PROMO
Maurizio Caverzan per La Verità
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La quarta stagione di Dago in the Sky registra una significativa evoluzione di contenuti, materie e formule. Non più, o meglio, non solo le praterie di possibilità offerte dalla rivoluzione digitale nella pubblicità, nella fotografia, nel culto dell’immagine e del corpo secondo i nuovi alfabeti del narcisismo individualistico che avevano tracciato il viaggio delle precedenti edizioni.
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Mettendo ora a tema il futuro, la rivoluzione digitale dispiega tutta la sua potenzialità di tappeto volante, di arma letale nelle mani di Roberto D’Agostino, il creatore del formidabile Dagospia, che qui, quasi Virgilio contemporaneo, ci conduce in nuovi gironi, zone d’ombra, territori eccentrici, arcipelaghi della psiche (Sky Arte, giovedì ore 21.15, produzione originale della rete in coproduzione con Intesa Sanpaolo).
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Gli episodi di quaranta minuti sono piccole lezioni di un corso di esplorazione con guide eminenti (tra loro Jaime D’Alessandro, Francesco Bonami, monsignor Filippo Di Giacomo, Gian Arturo Ferrari), che si snoda in una miniera magmatica, un vulcano ribollente d’immagini, suggestioni, connessioni, materie, corpi, fluidi, forme sinuose e formule complesse più visionarie che parlate, che masticano e metabolizzano la storia dell’arte e della letteratura, le scienze sociali, l’alfabeto digitale usato come media e messaggio allo stesso tempo e arricchito da un’affinata ricerca musicale.
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Nel primato dell’estetica non c’è differenza tra cultura pop e vezzosità elitarie e la novecentesca trasmissione verticale del sapere è incenerita al punto che il selfie può andare a braccetto con la Gioconda e il videogame con l’arte contemporanea. La televisione evolve da posto che mette in fila gli argomenti per una fruizione pedissequa, analogica appunto, a mondo essa stessa: calderone fiammeggiante, scomposto, rifrangente e cangiante in molteplici piani interpretativi.
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Evolve e si definisce anche il ruolo di D’Agostino, ideatore, conduttore e autore (con Anna Cerofolini), frequentatore dell’estremo, sdoganatore di scandali, omologatore di trasgressioni. Tutto visibile e riscontrabile nei primi tre episodi dedicati ai videogiochi - nuova forma d’arte secondo la lezione di Steven Johnson (Tutto quello che fa male ti fa bene) - al potere del Demonio - «un inguaribile ottimista se pensa di poter peggiorare l’uomo» (Karl Kraus) - all’arte contemporanea, ormai falsamente rivoluzionaria perché finita nel vicolo cieco della comunicazione e del marketing, scenario peraltro ampiamente previsto «dalla Chiesa, dall’alto del suo paio di millenni di potere».
Giuseppe ScaraffiaGiuseppe ScaraffiaLorenza FoschiniGiuseppe ScaraffiaLorenza FoschiniLorenza FoschiniScaraffia
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