DAGOREPORT: BANCHE DELLE MIE BRAME! - UNICREDIT HA MESSO “IN PAUSA” L’ASSALTO A BANCO BPM IN ATTESA…
"YOUTUBE STORY" DI GLAUCO BENIGNI
1- ALLORA, CHI LO COMPRA?
In quella prima settimana di ottobre 2006 a New York, Los Angeles e San Francisco, ma anche a Londra, Singapore, Francoforte... e dovunque negli ambienti interessati, direttamente o indirettamente, dalla marcia trionfale di YouTube, non si parla d'altro. «Allora chi lo compra? Yahoo!?» «Ma no! Piuttosto i concorrenti. Piuttosto lo compra MySpace... per loro sarebbe un colpaccio». «A me risulta invece che esistono trattative con Microsoft».
Le telefonate si intrecciano con gli sms, le email proliferano, le chatting riservate e i blog si sperticano in commenti e soprattutto ipotesi a sostegno di quello o quell'altro acquirente. «Viacom sì che potrebbe perché... bla, bla, bla, bla» «E allora Google!» «Google? Ma è una follia. Si verrebbe a creare una posizione dominante sul mercato del web inaccettabile».
E chi dunque? «Chi ha i soldi e la capacità di gestire quell'immenso caos, quella sterminata area di opportunità che, in fondo, sono ancora solo opportunità ?» Gli analisti tracciano grafici, i giornalisti cercano di cogliere qualsiasi rumors che proviene dalle stanze informate. Quelli della Stanford University sorridono beati. Perché? Si chiede qualcuno. Anche a Wall Street e al NASDAQ stanno tutti con le antenne tese. Sarebbe un acquisto pagato in azioni della società compratrice? Su questo c'è una certa convergenza di valutazioni. Quindi il campo si restringe. E in questo caso, il valore dell'acquirente in Borsa aumenterà oppure gli azionisti non gradiranno il gradiente di rischio contenuto in YouTube e il titolo finirà per crollare? Bisogna vedere i dettagli. Bisogna aspettare l'eventuale annuncio.
La cessione però è nell'aria. I segnali cominciano a esserci tutti. YouTube è diventata un affare grosso, troppo grosso per restare nelle mani dei Ragazzi di San Bruno. Ma anche troppo ingombrante per finire nelle mani sbagliate. Ok, che si vende in definitiva?
YouTube non ha neanche fatto un bilancio degno di questo nome. Ha speso una decina di milioni di dollari in 10 mesi, ha incassato qualche milione in pubblicità . Ufficialmente perde, e deve ancora dimostrare la sua capacità di creare profitti. E poi, le beghe legali? Chi se la compra una società che ha in corso decine di cause con i giganti dello show business? La sede vale quattro lire. Ci sono il software gestionale e l'interfaccia utente. Ma sai che ci vuole a copiarli? Quindi? Quanto vale? «600, 700 milioni di dollari» dice qualcuno. «Ma no, è già troppo!»
I telefoni di Roelof squillano in continuazione e le sue indaffarate segretarie rispondono compite: «Mr. Botha è in riunione. La richiamerà al più presto... Ma certo! Non dubiti». Ma Roelof in quei giorni frenetici, come in altri giorni frenetici del suo recente passato, parla poco, solo con pochi, e mantiene una calma olimpica. Lui sa bene cosa sta vendendo.
Vende una comunità . Una massa indistinta e anonima di utenti, spalmata soprattutto in Usa, ma estesa in quasi ogni nazione del pianeta e pronta a riservare sorprese. Vende il futuro dei media. Vende un modello d'affari al cui interno si intravede un Eldorado. E lo fa da par suo. Facendo leva sulla Sequoia Capital e utilizzando la presenza finanziaria di questa società in ogni attività digitale rilevante e in diversi consigli d'amministrazione dei maggiori soggetti attivi.
Anche il prezzo di vendita dovrà essere «innovativo». La cifra deve essere tale da lasciare piacevolmente sconcertati. Su questo Roelof non ha alcun dubbio, e ogni giorno rassicura Chad e Steve: «Tranquilli ragazzi, siete in buone mani. Dovete solo ringraziare la Dea Fortuna che vi ha baciato sulla fronte e continuare a fare i bravi».
L'8 ottobre 2006, stranamente, Chad rilascia un'intervista fiume al sito del Financial Times. Una sorta di confessione, con tanto di assoluzione, che appare sui computer di molti uomini d'affari nel mondo. Una lettera aperta ai membri della International Business Community in cui si dice che: «I contenuti inviati dagli utenti possono essere considerati allo stesso livello di qualsiasi altro contenuto prodotto da professionisti, l'importante è limitarli a un massimo di 10 minuti.
Non abbiamo cifre relative alle percentuali di video amatoriali e professionali presenti su YouTube, ma vogliamo mettere tutto ciò al servizio dell'industria. Abbiamo un sacco di accordi in via di perfezionamento. Non sappiamo quanti video abbiamo già rimosso su richiesta, ma stiamo automatizzando il processo per evitare le violazioni di copyright... Non siamo Napster...» ribadisce.
«La maggior parte dei nostri clip arriva dalle videocamere e dai telefoni cellulari dei nostri utenti... Pensiamo che esistono modi migliori di fare pubblicità che non interrompere o far precedere i clip dagli spot... Pensiamo di sviluppare un nostro autonomo sistema di pubblicità , a cavallo tra l'esperienza di Google e quella di Yahoo! e pensiamo di dividere i profitti con i nostri utenti...».
Alla domanda diretta: «State parlando di accordi strategici o acquisizioni con qualcuno dei grandi Internet Group?» Chad risponde: «No. Penso che loro procedano nei loro piani... Noi siamo finanziariamente stabili... Noi stiamo con Sequoia, i nostri finanziatori». All'altra domanda diretta: «Siete cresciuti molto velocemente. Ma state coprendo i costi?» Chad risponde: «Non sono in grado di affrontare i dettagli... Abbiamo una squadra che lavora, siamo giunti a questo punto... Stiamo sviluppando una forza vendita. Abbiamo fiducia nel futuro».
Chad è stato molto chiaro: «Non stiamo trattando con nessuno». Ma non convince. Lo stesso sito del Financial Times commenta l'intervista affermando invece che «sono in corso offerte stratosferiche, che metteranno a dura prova il carattere indipendente di Chad». Qualcosa non quadra: Chad non può essere all'oscuro delle trattative in corso. Il giovanotto, descritto dai giornalisti del Financial Times.com come uno che non aveva dormito, «con il viso contratto e il pallore tipico degli imprenditori Internet dei primi anni», sta alzando il prezzo? à contrario alle trattative in corso? O gioca fino in fondo la parte dell'innocenza digitale? I fatti che precipitosamente seguono non consentono di chiarire questi dubbi.
All'indomani della pubblicazione dell'intervista infatti si apre il mar Rosso.
à il 9 ottobre 2006 e, come un sol uomo, la Universal Music Group, la Sony-BMG Music Entertainment e la CBS annunciano ufficialmente di aver trovato un accordo con YouTube. I giapponesi della Sony, i loro partner tedeschi della BMG e i francesi di Vivendi, proprietaria della Universal Music, improvvisamente hanno sentito forte il bisogno di sanare i contrasti con i Ragazzi di San Bruno e, così come già era stato per la Warner Music, sotterrano l'ascia di guerra e acconsentono all'ipotesi che i loro artisti, la loro musica e i loro preziosi video in grado di generare miliardi di dollari l'anno siano liberamente inviati a YouTube e da lì condivisi nell'immenso web. à come se una forza invisibile e potentissima, dopo mesi di tira e molla, avesse convinto i tre Consigli d'Amministrazione a dare un segnale inequivocabile che i tempi sono cambiati. Ma perché tutti insieme e nello stesso giorno?
Dai diversi comunicati stampa si capisce che in ogni accordo esistono dettagli diversi. La Universal si riserva la facoltà di filtrare i contenuti illegali. La Sony-BMG autorizza il visionamento e l'inserimento di pubblicità a lato dei music clips. La CBS consente l'uso dei suoi programmi di prime time, di news e sport, e si riserva la facoltà di rimuovere i clip non autorizzati e di inserire pubblicità a lato. La durata degli accordi non viene rivelata e neanche la loro consistenza economica.
In sostanza però è successo un fatto fondamentale: da oggi una gran parte - non tutti - degli uffici legali che passavano il proprio tempo a cercare di incastrare YouTube possono archiviare tutte le pratiche in sospeso e dedicarsi ad altro. Tre grandi network Tv: la NBC, la CBS e la rete Allmusic MTV, sono ormai partner d'affari di YouTube. Restano fuori solo Abc e Fox. Delle quattro major della musica, ben tre - Warner, Sony-BMG e Universal - hanno sottoscritto accordi. Resta fuori solo la EMI. Senza contare l'attiva collaborazione con altri soggetti influenti della scena.
La Comunità YouTube non è più un'adolescente arrivata ieri, capricciosa e incontrollabile, da tenere sulla soglia o fuori dalla porta, ma una signorina con la dote e un brillante futuro con la quale molti flirtano. La mutazione è avvenuta: tutto ciò che era considerato moderno e razionale nel mondo dell'intrattenimento diventa improvvisamente antico.
2- «ABBRACCIAMOCI» DISSERO LARRY, SERGEY E ERIC A CHAD E A STEVE
1,65 miliardi di dollari! La cifra compare in un comunicato stampa congiunto della Google Inc. e di YouTube, guarda caso lo stesso giorno degli accordi con le case discografiche e la CBS. Impeccabile. Di cessioni, acquisizioni e takeover galattici se ne erano visti tanti, ma questo resterà negli annali. Qualcuno veramente molto bravo deve averci lavorato con una certa esperienza e destrezza. Roelof? La squadra di Roelof? La Sequoia Capital?
Sembra lo sbarco in Normandia, un'operazione in cui ogni soggetto coinvolto ha mantenuto il segreto fino all'ultimo momento. Un'operazione sincronizzata nei dettagli, in cui ogni pezzo, anche pezzi enormi, viste le sigle in campo, doveva incastrarsi perfettamente all'ora x. Resta il dubbio: perché durante il count-down, ovvero fino al giorno prima dell'annuncio, Chad ha negato l'ipotesi di un'acquisizione in corso? Avrebbe potuto arroccarsi dietro un «no comment», rivendicare il diritto alla riservatezza negli affari. E invece no. Perché?
Bene, i proprietari di YouTube non sono più quelli di prima, il timone delle operazioni passa nelle mani del Consiglio di Amministrazione e degli azionisti della Google Inc. e tra questi brillano i nomi dei fondatori Larry Page e Sergey Brin, due ex studenti della Stanford University che nel 1998 avevano inventato il più efficiente motore di ricerca della storia, ai quali si era aggiunto nel 2001 Eric Schmidt nel ruolo di amministratore delegato (CEO).
Tocca a lui pronunciarsi in pubblico: «La squadra di YouTube ha costruito una piattaforma eccitante e potente che appare complementare alla missione di Google, ovvero organizzare il mondo dell'informazione e renderlo universalmente utile e accessibile» dice Eric. «Le nostre società condividono gli stessi valori: ambedue poniamo sempre i nostri utenti al primo posto e siamo impegnati a migliorare le loro esperienze. Insieme siamo i partner naturali per offrire un impareggiabile servizio ai nostri utenti, ai proprietari di diritti e agli inserzionisti pubblicitari».
A seguito dell'acquisizione, YouTube avrebbe continuato a operare indipendentemente da Google: «Al fine di preservare il suo marchio e la sua Comunità ». La base delle operazioni rimane a San Bruno, ma in una nuova sede; ognuno dei settanta impiegati rimane al suo posto, e qualcuno di loro partecipa alla spartizione del bottino. Chad vuole aggiungere: «Unendo le nostre forze a quelle di Google, possiamo beneficiare della sua presenza globale e della sua leadership tecnologica per soddisfare maggiormente i nostri utenti e creare nuove opportunità per i nostri partner».
1,65 miliardi di dollari: la somma è piuttosto grossa, tre volte quella pagata, un anno prima, da Rupert Murdoch per MySpace. Qualcuno tenta di metterla in relazione con i 300 giorni di attività ufficiale di YouTube: i Ragazzi hanno generato un valore pari a 5,5 milioni di dollari al giorno. Congratulations! E anche mettendola in relazione con i 500 giorni, che includono i mesi di sperimentazioni, il risultato è comunque notevole: 3,3 milioni di dollari al giorno.
Sembra un fumetto con protagonista Paperon de Paperoni. Resta da capire in che modo sarebbe stata erogata la cifra e come sarebbe stata divisa. Intanto, non si tratta di vero e proprio denaro (troppo volgare e desueto), ma di una transazione stock-for-stock, ovvero di un pagamento effettuato mediante cessione di azioni di Google. I Ragazzi entrano dunque a far parte degli azionisti di Google, ognuno in ragione della propria quota. Ma Google come sta messa? Be', non male.
La società ha fatto la sua comparsa al NASDAQ di New York, dopo alcuni tentennamenti, il 19 agosto 2004. Il prezzo iniziale di ogni sua azione la mattina della collocazione era di 85 dollari. In serata era già arrivato a 103 dollari. Quello che conta però nell'acquisto di YouTube è il prezzo del titolo Google relativo alla media delle oscillazioni nel mese di novembre 2006.
Per gli amanti delle cifre aggiungiamo che nel 2006 Goo- gle dichiarò un fatturato totale di 10,6 miliardi di dollari e un guadagno netto (dopo aver pagato le tasse) di poco più di 3 miliardi di dollari, realizzato grazie a 500 milioni di utenti unici. Il dato importante però per stabilire la relazione tra Google e YouTube è la capitalizzazione. Al debutto in Borsa era poco meno di 30 miliardi di dollari, al momento dell'acquisto di YouTube è circa 100 miliardi di dollari. Prima conclusione: la provincia YouTube entra nell'Impero Google in cambio di quasi un 2%. Sembra poco ma non è così.
Il 14 ottobre vengono chiariti i «dettagli»: dell'intero ammontare delle azioni Google, pari a più di 200 milioni di titoli, circa 3,7 milioni vengono date a YouTube. Al loro interno i Ragazzi di San Bruno ritagliano ognuno la propria fetta. Arrotondando le cifre, a Chad Hurley vanno circa 740.000 azioni; a Steve Chen circa 705.000; a Jawed Karim, nonostante si sia ritirato per studiare scienze informatiche, vengono consegnate circa 138.000 azioni.
Alla Sequoia Capital XI, cioè il ramo della casa madre che aveva effettuato l'investimento di 11,5 milioni di dollari, va la fetta più grossa: 940.000 azioni. Poi spuntano diversi co-finanziatori di San Francisco che, con la sigla Artis Capital Management, hanno sostenuto Sequoia: a loro vanno 76.000 azio- ni della Google Inc.
Ovviamente i lettori saranno curiosi di sapere a quanto corrispondono in «denaro vero» le azioni ottenute per la vendita di YouTube.
E qui ci sono da chiarire alcuni aspetti. Innanzitutto, in questi casi, i beneficiari non pos- sono rivendere le azioni se non prima di un certo periodo di tempo. Quindi il loro valore è soggetto alle oscillazioni del valore del titolo. Chi si prende la briga di fare i conti in tasca ai Fondatori di YouTube è Miguel Helft, un giornalista del New York Times.com, il quale, a distanza di tre mesi dall'annuncio della vendita, ovvero quando la transazione è stata accettata e perfezionata in ogni sua forma, rivela che «basandosi sul prezzo di chiusura delle azioni Google al 7 febbraio 2007, pari a 470,01 dollari per azione, i venditori posseggono un controvalore in milioni di dollari, rispettivamente pari a: Chad 345; Steve 326; Jawed 64; Sequoia Capital XI 442 e Artis Capital Management 83». Se si fanno i conti mancano all'appello circa 400 milioni di dollari, probabilmente evaporati in spese legali, consulenze, tasse, riconoscimenti ad altri piccoli azionisti eccetera.
14/Continua...
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