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Dario Salvatori per Dagospia
quincy jones e ttre dei sette figli
Sull’ultimo numero di “7” compare una sapida intervista a Quincy Jones. Come dire la storia della musica afro-americana degli ultimi cent’anni. Jones, 88 anni, intervistato da Seth Abramovich, parla di tutto: la sua casa a Bel Air, i suoi sette figli, le ventisei lingue parlate correttamente e i mille artisti che ha incontrato, a volte producendoli, a volte arrangiando il loro repertorio: Charlie Parker, Ray Charles, Judy Garland, Billie Holiday, Michael Jackson, Miles Davis, Frank Sinatra e tantissimi altri.
Ad un certo punto l’intervistatore si accorge che nel lungo elenco manca Elvis e dunque chiede il perché di questa assenza. “Elvis? - risponde The Dude - non ho mai voluto lavorare con lui. Era un razzista.” Ora, dare del razzista ad Elvis è come sostenere che Fred Astaire fosse goffo.
Come ben sanno le svariate centinaia di milioni di fans sparsi in tutto il mondo, il suo successo si basava principalmente sullo straordinario talento e sui suoi particolari gusti musicali. Imparò a “dividere” (quello che da noi si chiama solfeggio), cantando in chiesa la domenica con la mamma fin da bambino. Il repertorio era a base di gospel e di spiritual, ideali per aprire bene la bocca e tenere la nota.
Il blues si rivelò formativo fin dall’inizio. Quando debuttò, nel 1954, incise la sua prima canzone, “That’s all right mama” prelevandola dal repertorio di Arthur Crudup, un bluesman nero non così popolare e di nuovo omaggiato riprendendo la sua “My baby left me”.
Incise “See see rider”, perché amava la versione di Big Bill Broonzy. Durante le base di registrazione, per tenere calda la voce, intonava blues come “That’s when your heartaches begin” degli Ink Spot, il tradizionale “Jooshua fit the battle”, piuttosto “Peace in the valley” e tutti si stupivano come potesse ricordare a memoria testi così lunghi, sempre con la tonalità giusta.
quincy jones e michael jackson
Quando tornò a cantare nel 1968 per lo show della Nbc dopo otto anni che non saliva su un palcoscenico, ricordò “Reconsider baby” del bluesman Lowell Fulsom e “Such a night” dei Drifters.
Elvis aveva una cultura enciclopedica su gospel e spiritual e lo dimostrò nei numerosi album dedicati a questi generi. Per non parlare del suo rapporto con i grandi afro-americani.
Fats Domino, che cantava rock and roll prima che si chiamasse in questo modo (a New Orleans era indicato come Big Beat), pavoneggiandosi con i suoi anelli, disse: “Vedete questo grosso brillante? E’ come se me lo avesse regalato Elvis incidendo i miei brani e vendendo milioni di dischi.”.
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